San Siro è tutte le anime di Milano

Il quartiere dove sorge lo stadio è difficile da contenere in un solo immaginario: da un lato c'è una borghesia silenziosa, ville con giardino, strade ordinate; dall'altra case popolari e una vita ancora attiva anche se, talvolta, problematica.
di Davide Coppo

San Siro è un quartiere prima che uno stadio, per Milano. In Serie A non ci sono squadre con questa omonimia tra impianto sportivo calcistico e zona che lo ospita, a parte qui e Genova. Anche con questo fatto si spiega la discrezione calcistica dei milanesi, che sono sì passionali e appassionati, ma con un certo distacco ed eleganza senza troppe tensioni, senza grandi murales, con certamente le bandiere ai balconi ma privi di santi patroni da adorare.

San Siro il quartiere, naturalmente, almeno alla vista, è dominato da San Siro lo stadio. Intorno un tempo era tutto parcheggio, poi è diventato tutto cemento e fermate del tram. Una decina di anni dopo sono arrivati i tornelli tecnologici, nuovi cancelli grigi più alti e massicci a sostituire quelli più vecchi rossi e ormai scrostati, belli ma non più a norma, troppo facili anche da scavalcare qualche ora prima delle partite. Come ultima cosa è arrivata la metropolitana, liberando i milanesi dalle code interminabili in automobile e soprattutto dai poveri tram presi d’assalto e dagli autobus perennemente incastrati nel traffico delle auto, liberando soprattutto i motorini che vogliono correre via verso casa o verso una piazza o un locale suonando il clacson dopo le vittorie.

E poi San Siro non è solo calcio perché è anche ippodromo, sia trotto che galoppo, cavalli e scommesse. Quello del trotto, proprio dietro il settore arancio, ovvero i distinti, è stato chiuso nel 2015, quello del galoppo è invece ancora attivo, ha compiuto 100 anni nel 2020, nel 2022 sono previsti i lavori di ristrutturazione. Anche qui ci sono già polemiche, come ci saranno per qualsiasi cosa verrà decisa per lo stadio, buttarlo giù o mantenerlo oppure trasformarlo in qualcosa di altro, forse un mezzo albergo, come successo a Highbury a Londra.

Solitamente i quartieri sede del calcio sono zone popolari. Questioni di opportunità, di disponibilità di spazi, di centri storici troppo stretti e del rifiuto da parte delle classi abbienti, borghesi o pure di più, di prendersi sotto casa un impianto sportivo capace di generare traffico, rumore, a volte caos e altri danni. Non è così per San Siro: a nord, e in parte anche a ovest, lasciandosi alle spalle la curva occupata dai tifosi dell’Inter, si entra in un’enclave silenziosa di ville e parchi, giardini e parcheggi interni, telecamere e ordine. Oppure condomini con piscine e clubhouse, campi da basket o calcio privati, ricoperti di clinker. Sono gli abitanti che periodicamente si guadagnano un certo spazio sulle cronache cittadine per lamentare gli eccessivi decibel dei concerti, domandando e imponendo quei limiti che convinsero Springsteen a cancellare Milano dal suo tour del 2009 dopo una denuncia per disturbo della quiete pubblica: aveva superato di 22 minuti, a causa dei bis, il limite orario previsto dai regolamenti.

Dall’altra parte della strada, oltre alla via Harar a cui ancora non è stata cambiata toponomastica, la San Siro popolare: qui il quartiere chiamato sempre Harar, commissionato seguendo il piano INA-Casa, e rappresentato dai grattacieli orizzontali di Gio Ponti, Luigi Figini e Gino Pollini, proprio dietro la curva sud. A differenza della parte borghese, questa metà di San Siro ha una vita oltre i cancelli: scuole, chiese, panetterie ancora antiche, oltre ai ristoranti e ai kebabbari e ai bar spesso caratterizzati da dettagli tanto ippici quanto calcistici.

Muovendosi verso il centro la situazione si fa più complessa: ad aprile 2021 c’erano stati scontri tra alcuni ragazzi e la polizia in piazzale Selinunte, c’entra un video girato senza permessi, una crew di rapper che comprende Rondo da Sosa e Neima Ezza. Siamo in Zona 7 e si chiamano Seven Zoo. C’entrano le case Aler, la società lombarda che gestisce gli alloggi popolari, che qui dà il peggio di sé. Ma è tutto uno spostarsi sui confini, una volta attraversato piazzale Brescia si torna nei palazzi borghesissimi di De Angeli, di nuovo il silenzio e la cura e le strade vuote, a poche decine di metri dal loro opposto.

Poi c’è Lotto, la metropolitana più vicina allo stadio prima della creazione della “lilla”, il piazzale con il lido pubblico dei milanesi, il tennis e un traffico impossibile da comprendere in modo logico. Da Lotto, verso lo stadio, il grande vialone che conduce fino alla curva nord, teatro di inseguimenti e scontri per decenni, quando le curve potevano e volevano farlo, prima dei Daspo e di altri cambiamenti, non solo anni Ottanta e Novanta, ma anche Duemila. Qui qualche insulto sui muri si trova ancora, oppure colori sociali per esaltare uno scudetto o un gruppo organizzato, a ricordare che quella struttura di cemento e acciaio è effettivamente ancora utilizzata, e sta tornando a riempirsi di persone, nonostante la discrezione, e due anni di attesa.

Dal numero 40 di Undici
Foto di Mattia Parodi
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