Salviamo Federico Chiesa

Nonostante sia cambiato tutto, la nuova Juventus di Allegri somiglia molto alla vecchia. Il giocatore più penalizzato è proprio Chiesa, nell'anno in cui avrebbe avuto bisogno del contesto giusto per esplodere definitivamente.

Se Federico Chiesa vivesse in un fumetto o in un cartone animato, sarebbe uno di quei personaggi con le saette tutto intorno al corpo, uno di quelli che, quando corrono, fanno le scintille sotto i piedi. Certo, il suo gioco velocissimo finisce per risultare spesso disordinato, fin troppo istintivo, ma è proprio questa caratteristica a renderlo speciale. Anzi: a renderlo unico. Per capire cosa intendiamo, basta riguardare la sintesi di Italia-Spagna degli ultimi Europei, oppure l’azione personale che ha fatto impazzire Hysaj e poi ha portato al gol segnato da Ronaldo nell’ultima sfida tra Juventus e Napoli all’Allianz Stadium: tutte le volte che Chiesa ha un po’ di campo da aggredire, indipendentemente dal fatto sia occupato o meno da un avversario, lui abbassa la testa e prova ad aggredirlo. A travolgerlo, a prenderselo tutto. Come detto, la sua velocità stupefacente – che resta molto elevata anche quando ha la palla tra i piedi – fa sì che questi tentativi di conquistare il prato avanti a sé abbiano un discreto successo, nel senso che gli riescono spesso, perché i difensori che devono fermarlo fanno una fatica enorme a riuscirci, talvolta non riescono nemmeno a frenarlo. Alcune volte le sue azioni personali falliscono, succede a tutti, ma intanto Chiesa ha creato delle difficoltà a color che devono affrontarlo, ha messo sotto stress il sistema difensivo avversario.

In questo primo scorcio di stagione, la sensazione diffusa è che Federico Chiesa sia regredito, o comunque non sia più progredito. Il suo rendimento, al di là di cifre grezze che restano piuttosto scarne (tre gol, due assist e un rigore procurato in 15 gare complessive, di cui 12 da titolare), è molto inferiore a quello della scorsa stagione: sono calati i passaggi complessivi, i passaggi chiave, i tiri per partita; l’unica statistica che è cresciuta è quella relativa ai dribbling tentati per match (da 1,6 a 2,1). Al netto di quello che potrebbe essere un semplice e umano calo di forma individuale, è inevitabile pensare che il cambio di contesto intorno a lui possa aver influito: se Pirlo e poi Mancini sembravano aver trovato la chiave giusta e il sistema migliore per sfruttare le qualità di Chiesa, il primo approccio con Massimiliano Allegri è stato molto diverso, decisamente più negativo.

Le differenze sono geografiche, riguardano il posizionamento di Chiesa, la porzione di campo in cui si trova ad agire: i dati dimostrano che, in questa stagione, Federico crea meno occasioni pericolose e dialoga meno con i compagni, ma allo stesso tempo continua a cercare costantemente – anzi: ancora di più – il duello uno contro uno; se il suo gioco, come abbiamo visto, consiste essenzialmente nell’attaccare gli spazi con la sua esplosività, con i suoi scatti brucianti e le sue progressioni palla al piede, vuol dire che Chiesa, in questo momento, gioca troppo lontano dalla porta per poter essere davvero decisivo. Ovviamente tutto parte dalle scelte tattiche collettive, cioè dall’atteggiamento della Juventus: il ritorno alla difesa bassa e posizionale voluto da Allegri ha allungato il campo all’indietro, ed è un discorso che ovviamente incide sui difensori, ma ha un impatto anche sui centrocampisti e sugli attaccanti bianconeri; in questo nuovo sistema, quindi, a Chiesa non viene più richiesto di rifinire o finalizzare un’azione avviata da altri, piuttosto di costruirla, di portare in avanti il pallone. Per ovviare a questa problematica, cioè per avvicinare Chiesa all’area avversaria, Allegri ha optato per la strada più semplice, cioè ha schierato Chiesa come seconda punta accanto a Morata (come avvenuto a Londra contro il Chelsea e a Roma contro la Lazio), ma anche accanto a Kean, Dybala o addirittura accanto a Bernardeschi. Neppure questa modifica è bastata per far detonare di nuovo l’ex attaccante della Fiorentina, al netto del gol segnato e della buona prestazione offerta nel match di andata contro il Chelsea: da attaccante puro, Chiesa si ritrova imbottigliato in spazi inevitabilmente più coperti, perché presidiati da un numero maggiore di difensori avversari.

Nel corso della sua scintillante carriera in panchina, Massimiliano Allegri è stato enormemente – e giustamente – incensato per la sua elasticità, per il suo anti-idealismo, per la sua capacità di rimodellare continuamente le sue squadre in base alle indicazioni che gli arrivavano dalle partite, dal lavoro quotidiano in allenamento. Banalizzando fin troppo il discorso, basti pensare che nelle sue prime tre stagioni alla Juventus, tra il 2014 e il 2017, ha utilizzato tre moduli di riferimento, a volte anche ibridandoli e alternandoli – vale a dire il 3-5-2, il 4-3-1-2 e poi il 4-2-3-1. Tutti questi cambiamenti sono stati pensati e attuati per permettere ai migliori giocatori della rosa – Pirlo, Marchisio, Vidal e Pogba, poi ovviamente Barzagli, Bonucci e Chiellini, infine Cuadrado, Dybala e Mandzukic alle spalle di Higuaín – di rendere al meglio, senza che la squadra perdesse in equilibrio, in compattezza. Per Allegri, questo tipo di approccio era il modo migliore per sfruttare l’organico più ricco e profondo del campionato, e i numeri e l’albo d’oro gli hanno dato ragione.

Nel nuovo corso bianconero, la situazione è molto diversa: la Juventus ha ancora una rosa molto valida, ma non la più forte in assoluto del nostro campionato; inoltre, la difesa bianconera risulta spesso meno robusta e concentrata rispetto al passato, e quindi forse organizzare la squadra in maniera reattiva, partendo dall’idea di difendersi tenendo il baricentro basso, non è la strategia più funzionale. Infine, ci sono dei talenti offensivi che andrebbero valorizzati di più, attraverso un sistema di gioco più sofisticato, che li coinvolga in maniera più continua, che li tenga sempre in ritmo, che li faccia giocare con intensità: Kulusevski, Kean e soprattutto Federico Chiesa. Ovvero, il giocatore finora più penalizzato dalle scelte del nuovo allenatore.

Da quando è approdato alla Juventus, Federico Chiesa ha accumulato 58 presenze e 17 gol in tutte le competizioni (Isabella Bonotto/AFP via Getty Images)

Allegri, insomma, sta continuando ad allenare la Juventus come se fossimo nel 2016, o nel 2018. È una tendenza che gli sta facendo sconfessare sé stesso, l’allenatore elastico che è o che ha deciso di essere: la Juventus reattiva – ma si può dire anche speculativa – vista a Londra e in altre partite di campionato e Champions League è una squadra granitica nelle sue convinzioni. Del resto anche il calcio difensivo può essere ideologico, e in questo caso lo è: le scelte tattiche di Allegri stanno generando risultati altalenanti e stanno limitando un campione verificato come Chiesa, un giocatore che è stato protagonista – se non addirittura il migliore in campo – nella semifinale e nella finale di un Campionato Europeo, che ha dimostrato di poter e saper decidere partite di cartello in Serie A e in Champions League. Pensare che debba farlo anche adesso, in un contesto che non può appartenergli, criticarlo perché non riesce a essere determinante giocando a cinquanta o a sessanta metri dalla porta, magari in posizione centrale e non su una delle due corsie, vuol dire aver dimenticato cos’è Federico Chiesa, cosa può essere se viene messo nelle condizioni giuste. Vuol dire cedere alla tentazione di dividere il calcio in maniera netta, binaria, da una parte i fuoriclasse e dall’altra tutti quelli che non lo sono. Non è così, esistono molte sfumature intermedie e Chiesa abita ancora in una di queste: è un giocatore di qualità che magari non riesce a decidere tutte le partite da solo, che ha bisogno di essere servito, azionato in un certo modo, perché possa essere efficace. Ma che, nei momenti giusti, può diventare addirittura devastante.

Il fatto che, a novembre ormai finito, Allegri non abbia ancora capito come bilanciare le sue convinzioni e la necessità di sfruttare Chiesa, è una macchia  ingombrante sul curriculum dell’allenatore della Juventus. In questo modo, Allegri danneggia tutti: la sua stessa società, che vede svalutarsi uno degli asset più importanti a livello tecnico ed economico (Chiesa ha compiuto da poco 24 anni e, secondo Transfermarkt, vale 70 milioni di euro); danneggia uno dei calciatori più forti d’Italia, privandolo della possibilità di continuare a crescere in un contesto che ne assecondi le doti, proprio nell’anno in cui avrebbe dovuto consacrarsi, dopo aver vinto gli Europei, dopo aver trascinato di peso i bianconeri in Champions League e alla vittoria in Coppa Italia; infine danneggia sé stesso, perché sta imbrattando la sua essenza, il suo manifesto ideologico: dopo aver passato una carriera a raccontare – e a mostrarci – che i giocatori più forti decidono le partite, e che il compito degli allenatori è metterli nelle condizioni migliori per riuscirci, oggi ha deciso di costruire la Juventus intorno a giocatori che non sono Federico Chiesa. Magari è ancora in tempo per cambiare idea, visto che questa scelta non è che abbia prodotto grandi risultati, almeno finora.