Prima della gara contro lo Zorya, marchiata a fuoco con un gol e un assist, l’andamento della stagione di Nicolò Zaniolo e della sua Roma era sintetizzato da questo video realizzato da un telespettatore durante Roma-Bodo Glimt 2-2, partita di Conference League. La immagini, grezze e rudimentali come tutte quelle riprese con uno smartphone che inquadra un teleschermo, mostrano un’azione sul finire del primo tempo in cui Zaniolo sta conducendo un comodo contropiede in superiorità numerica: davanti a lui c’è la porta del Bodo con il solo Haikin a difenderla; accanto a lui sta correndo Tammy Abraham, pronto a ricevere un assist solo da spingere in rete; alle sue spalle, infine, si vede un difensore in affannosa e disperata rincorsa di un giocatore troppo più veloce di lui anche con la palla al piede. Appena entrato in area di rigore, però, Zaniolo ha un’esitazione: invece di calciare con il destro in diagonale o servire Abraham appostato sul dischetto, cerca di spostarsi il pallone sul sinistro, facilitando il recupero di quel famoso difensore e perdendo palla in maniera anche piuttosto comica. Lo stadio fischia, i norvegesi di lì a poco segneranno il gol dello 0-1. José Mourinho, a fine partita, si lamenterà dell’arbitraggio, ma ribadirà anche che «davanti ci sono state difficoltà tremende, con troppe palle perse da Zaniolo e Abraham».
Questa polaroid fa il paio con quella post Roma-Verona del luglio 2020, quando Mancini e Veretout fecero capire di non gradire il poco impegno di Zaniolo in fase di non possesso, per di più dopo che Paulo Fonseca, in conferenza stampa, aveva sottolineato come contasse «la squadra, non il singolo». Proprio come allora, le reazioni social dei tifosi della Roma hanno mostrato una divisione netta, profondissima: da una parte chi invoca la tribuna per Zaniolo, considerato sopravvalutato e troppo egoista; dall’altra chi cerca di contestualizzare, riconducendo una scelta di gioco concettualmente sbagliata alle inevitabili difficoltà di Zaniolo, un calciatore immerso in un percorso di ricostruzione tecnica, fisica e psicologica dopo due infortuni gravissimi. «Zaniolo ha detto di voler diventare una bandiera del club come lo sono stati Totti e De Rossi. In questo momento, però, il suo obiettivo deve essere quello di tornare più forte di prima e riprendere da dove aveva lasciato» ha scritto James Horncastle su The Athletic; nello stesso articolo, lo definì «un simil-Gerrard» per il modo di stare in campo, oltre che «la speranza di Roma di aver trovato l’erede di Totti», quasi come per assecondare quella sorta di iconografia deteriore che lo accompagna da quando, nel dicembre 2018, segnò con un cucchiaio alla Totti contro il Sassuolo. Era il suo primo gol in Serie A.
Questa polarizzazione sulla figura di Zaniolo potrebbe essere inserita preventivamente in quel processo di autodistruzione che sembra interessare la Roma da un paio di stagioni, è una delle tante facce della tossicità di un ambiente incapace di godersi un potenziale talento generazionale. In realtà tutto è riconducibile a ciò che Zaniolo è stato ed è oggi, cioè un calciatore moderno a tutto tondo, le cui valutazioni e percezioni risultano condizionate – in alcuni casi persino alterate – anche da quella che è la sua immagine oltre il campo. Nell’epoca in cui persino gli infortuni, anzi la tendenza a infortunarsi, vengono visti come una “colpa” del calciatore, come la diretta conseguenza di sua una mancanza di professionalità in senso assoluto, la chiacchierata vita sentimentale di Zaniolo, i suoi tatuaggi, la sua sovraesposizione social e mediatica, vengono ricondotti a quell’ideale di sopravvalutazione che accompagna chi ha avuto avuto la fortuna e il merito di bruciare le tappe, passando in pochi mesi dalla finale del campionato Primavera (con la maglia dell’Inter) a essere identificato come uno dei grandi talenti – se non il più grande in assoluto – del calcio italiano, con tanto di referenze verificate in Serie A e in Champions League.
La distanza tra reale e percepito è stata restituita anche da Mourinho in occasione della conferenza stampa prima della gara con il Sassuolo dello scorso 12 settembre, quando il portoghese ha detto che Zaniolo «mi sembra un calciatore super professionale e che sta imparando bene. Le informazioni che avevo avuto su di lui prima di arrivare raccontavano di un ragazzo con poca maturità, ma invece posso dire solo il contrario». Il portoghese, poco dopo, ha aggiunto che «Nico è più facile da paragonare oggi con quello che era prima dell’infortunio. Però ha due anni in più e non c’è solo il Nicolò prima e dopo infortunio, c’è anche il Nico con due anni in più e con tanto tempo per pensare». Si tratta di un dettaglio ulteriore, e non secondario, all’interno di una narrazione che non sembra tenere conto di come Zaniolo, a 22 anni, non sia più la giovane promessa che giocava sulle ali dell’entusiasmo, del coraggio e della giovanile incoscienza, piuttosto è un calciatore fatto e finito. Che, tra l’altro, ha dovuto affrontare non pochi ostacoli di carattere fisico e mentale in un percorso di crescita diventato improvvisamente più difficile del previsto.
Zaniolo era the next big thing perché giocava con la leggerezza tipica del predestinato, tanto da non sembrare nemmeno italiano per la precocità, l’affermazione del talento, la capacità di incidere in contesti di alto livello praticamente pochi mesi dopo il suo esordio da professionista – il 12 febbraio 2019, con la doppietta al Porto in Champions League, era diventato il più giovane italiano di sempre a segnare due gol in una stessa partita della massima competizione continentale. Oggi, invece, è circondato da un carico di aspettative e pressioni che hanno cambiato la percezione che abbiamo di lui, che in qualche modo alimentano gli stereotipi del sopravvalutato, del calciatore pompato dai media, del giocatore che non ha la testa giusta e che, a causa di un presunto diverbio con Mourinho, si ritrova in panchina nella delicatissima trasferta di Genova. Come se i due infortuni ai legamenti crociati di entrambe le ginocchia non fossero mai esistiti, come se l’hype che si era guadagnato in una prima parte di carriera scintillante, differentemente da quanto accaduto a Haaland, Mbappé o Bellingham, fosse diventato un freno, uno stigma, un peccato di cui emendarsi per poter trovare il suo posto in un calcio come quello italiano, fatto di ritualità fisse ed immutabili e di tradizioni antidiluviane. «L’ho convocato in Nazionale prima del suo esordio in Serie A perché l’abbiamo visto giocare con l’Under-19 e ci aveva impressionato. Adesso sta migliorando partita dopo partita in un modo rapido e imprevedibile. Ha delle qualità che sono mancate per molti anni nel calcio italiano», disse Roberto Mancini quando si trattò di spiegare perché un 19enne che doveva ancora disputare la sua prima partita in Serie A fosse già legittimato a entrare nel giro dell’Italia.
E se è vero che spesso tendiamo a esagerare con iperboli, paragoni e pronostici di grandezza non sempre rispettati, è altrettanto vero che era – ed è – impossibile non esaltarsi guardando Zaniolo giocare. Così come veniva assolutamente naturale pronosticargli quel grande avvenire che ora sembra più lontano a causa di una molteplicità di fattori non sempre dipendenti dalla sua volontà, legati a un’ascesa forse troppo rapida che ci ha impedito di individuare quei limiti che oggi emergono prepotentemente, quasi a voler segnare una cesura e una contrapposizione netta con una fase di carriera che sembra lontanissima e che, invece, appartiene appena a un paio di stagioni fa. Quando, cioè, si scriveva e si parlava di Zaniolo come del box-to-box del futuro, del nuovo universale per eccellenza con il fisico da decatleta, dell’unico giocatore europeo di una Serie A mai così poco incline a scommettere e a lavorare sul talento.
Oggi i numeri della stagione di Zaniolo sembrano quasi impietosi nel fotografare come e quanto stia facendo fatica dopo un anno di sostanziale inattività, eppure le critiche sembrano essere più una sorta di controcanto di reazione agli elogi degli inizi più che il risultato di un’analisi di campo. Perché anche in questo momento di difficoltà individuale e collettiva, Zaniolo può essere considerato il giocatore più forte della Roma, anzi un giocatore di cui la Roma ha bisogno, quello che, insieme con Lorenzo Pellegrini, pone la sua squadra su un piano teoricamente superiore rispetto a tante altre. Dopo la partita contro il Porto, Daniele De Rossi disse che Zaniolo «ha una forza fisica incredibile per un ragazzo della sua età, alla quale combina una grande tecnica», una caratteristica che gli infortuni non sembrano aver intaccato eccessivamente e che sta dimostrando anche in questa stagione di alti e bassi. Tornato al gol in partite ufficiali a fine agosto contro il Trabzonspor, nel derby è stato il giocatore offensivamente più continuo dei giallorossi, guadagnandosi il rigore del 3-2 e sfiorando il 3-3 con un tiro di destro che pochi mancini naturali al mondo sono in grado di scagliare con quella forza e quella precisione; contro l’Empoli, gara che ha seguito la mancata convocazione in Nazionale per la Final Four di Nations League, i suoi strappi palla al piede in conduzione sono stati fondamentali nei momenti di partita in cui la squadra di Andreazzoli ha messo in difficoltà la Roma alzando la linea di pressione e la velocità del proprio palleggio; contro la Juventus, prima di dover abbandonare il campo per un problema muscolare, è stato il vero granello di sabbia negli ingranaggi difensivi di Allegri, l’unico elemento in grado di mandare fuori giri scalate e rotazioni difensive di un sistema organizzato per blocchi bassi e che non ha poi avuto problemi a contenere una squadra incapace di trovare soluzioni alternative nell’ultimo terzo di campo; contro il Torino, e siamo al match di poche ore fa, il suo velo dopo un intelligente taglio in diagonale ha permesso ad Abraham di trovare il gol del vantaggio, quello che ha deciso la partita.
Frammenti, sprazzi del giocatore che Zaniolo era e che promette ancora di essere, a patto di accettare il cambio di paradigma imposto da contesto e circostanze, senza parlare di “caso Zaniolo” ad ogni esclusione dalla formazione titolare e senza raccontare di un giocatore sopravvalutato dopo ogni prestazione che non aderisce a un’idea che avevamo di lui che oggi non è, non può essere, la stessa: «Quando vedi Zaniolo che poteva essere in campo e invece è in panchina ed esulta così significa che vuole essere un giocatore di questa squadra. Ora giovedì o domenica, o in entrambe le volte, tornerà utile e giocherà», ha detto Mourinho dopo il 2-0 contro il Genoa. Detto, fatto: con lo Zorya e il Torino è andato di nuovo in campo, ed è stato decisivo. Perché magari il percorso di Zaniolo nel frattempo è cambiato, ma il punto di partenza e la destinazione, anzi gli obiettivi finali, sono rimasti gli stessi. Ora occorre solo sapere se, come e quando riuscirà a raggiungerli tutti.