Milan-Napoli è come un derby

Com’è tifare Napoli a Milano? Il racconto di un tifoso azzurro che ha vissuto a Milano, e che ha imparato a sentirla come una strana casa.

Le prime settimane in cui ho vissuto a Milano, ci arrivai nel gennaio del 1996, le ho passate, per la gran parte, camminando. Camminavo da solo, avvertivo l’urgenza di prendere possesso della città, sapevo fin da allora che vi sarei rimasto a lungo, e così è stato. Facevo queste lunghe passeggiate, partendo da Piazza Vesuvio – il primo posto in cui ho abitato, guarda caso – e andando a zonzo, a volte verso il centro, altre, seguendo la circonvallazione esterna, verso i Navigli e più giù fino a Porta Romana, e da lì risalendo i viali fino a Porta Venezia. Mi piaceva molto spingermi fino alle periferie, un giorno Baggio, l’altro Affori, poi Lambrate, poi la zona di Mecenate. Entravo nei cortili, negli scenari raccontati dai poeti che amavo, Giovanni Raboni, Vittorio Sereni, Franco Loi, Elio Pagliarani, Milo De Angelis. Giravo spesso con i loro libri in tasca, erano il mio stradario, pensavo che la poesia mi avrebbe insegnato la città, mi avrebbe accolto insieme ai binari del tram, ai mercati comunali, ai locali, ai bar. Raboni e Sereni erano interisti, il secondo aveva lo studio al 37 di via Paravia, chi lo ha conosciuto mi ha raccontato il motivo della scelta: da lì poteva andare a San Siro a piedi. Franco Loi e Milo De Angelis, invece, erano milanisti. A detta di Milo – e io sono d’accordo – le più belle poesie sul calcio sono quelle scritte da Loi in dialetto milanese. Appena potessi, ovunque mi trovassi, l’istinto disegnava una mappa nuova e mi portava verso San Siro. Arrivare al Meazza, vederlo spuntare così, tra le case, dietro i palazzi, dalla nebbia, è una sorpresa che non ha eguali, succede qualcosa del genere – per esempio – quando si cammina a La Boca, a Buenos Aires, e, casa tra le case, ti arriva addosso la Bombonera.

Ero tifoso del Napoli, lo sono rimasto, lo sarò per sempre. Nella vita succede qualsiasi cosa e cambiamo continuamente, ma la passione per la squadra per la quale tifavi da piccolo non cambia (salvo rari e deprecabili casi). Non avevo dubbi sul fatto che il mio cuore azzurro sarebbe rimasto tale, ma io ho sempre avuto qualcosa in più del tifo: l’amore per il gioco. E allora capitare a Milano diventava – possibilità tra le possibilità – desiderio di mischiarmi a chiunque seguisse il calcio, di conoscere storie vecchie e nuove. Ho incontrato, frequentato, sono diventato amico di tifosi del Cagliari, del Pescara, del Palermo, dell’Inter, del Milan, del Bari, della Juve, del Toro, del Napoli (naturalmente). Abbiamo commentato le partite, siamo andati a giocare a calcio, a 7 e a 5, due volte a settimana per anni. Insieme a queste persone sono andato a San Siro, a vedere partite in cui giocava il Napoli, ma più spesso a vedere l’Inter o il Milan, perché per prenderti la città, in qualche modo, devi prenderti le squadre, devi osservare cosa fa la gente sugli spalti, devi scambiare due parole col tuo vicino di gradinata, metterti a raccontare, prestare ascolto.

Mi chiedevano di Maradona, erano ammirati, specie i più anziani, quelli più giovani sentivano solo di aver perso qualcosa di incredibile, un miracolo appena successo. Io volevo ascoltare le loro storie, volevo conoscere il modo di tifare di ogni quartiere, come tifavano i milanisti, cosa si raccontavano gli interisti, andavo nei loro bar, mi piaceva. Mi presentavo, dichiaravo il mio tifo, tiravo fuori il taccuino e la penna, facevo qualche domanda, ma poi non scrivevo nulla, rimanevo incantato ad ascoltare. Un vecchio, in un bar in via Lorenteggio, avrà avuto ottant’anni, mi ha raccontato l’esordio di Rivera, si commuoveva e mi commuovevo anche io, il pallone faceva da transfert sentimentale. Non lo amiamo forse per questo? Molti anni dopo lo stesso Milo De Angelis mi ha descritto le sue prime volte a San Siro, con la stessa emozione.

Ero già stato a San Siro in passato per seguire il Napoli, ma non ci avevo mai messo piede da cittadino di Milano. La cosa capitò a febbraio del 1996, ero a Milano da meno di venti giorni, ho comprato un biglietto – per errore non del settore ospiti – e sono andato a vedermi Inter -Napoli in mezzo agli interisti. Il Napoli era una squadra veramente triste in quel periodo, lo sarebbe rimasta per molti anni, e perse sonoramente per 4-0, doppiette di Ganz e di Branca che non ho più dimenticato. Col tempo ho ripensato spesso a quella partita, la certezza che il Napoli avrebbe perso ce l’ho avuta dall’inizio, e mi sono dedicato ad altro, mi sono scritto il modo di esultare o soltanto di guardare la partita di quelli che mi stavano accanto, confrontandoli con il mio stato d’animo che passava dalla delusione all’apatia. Ricordo soprattutto l’uscita dallo stadio, il pezzo di strada a piedi, nel freddo pungente di febbraio. Camminavo in mezzo agli interisti e ai napoletani, e ai misti, e pensavo – forse per la prima volta – di essere cittadino di Milano, cittadino di San Siro. La tristezza della sconfitta era mitigata in qualche modo dalla città che mi teneva per mano, che mi diceva, tra gli alberi spogli di Piazzale Lotto: tutto andrà bene, questo è il tuo posto nuovo. Quell’anno sono ritornato a San Siro due volte, con un amico milanista, siamo andati a vedere un Milan-Parma, ricordo la mia felicità al gol di Baggio, e poi vedere Savicevic dal vivo era uno spettacolo; e più avanti un Milan-Cremonese, verso la fine del campionato, partita in cui il Milan fece sette gol, ma dagli spalti parvero 200.

Laggiù, nella memoria di quelle prime volte, vedo me stesso contento per l’amico, ma deluso perché la passione per il calcio mi faceva sorridere, ma il sentimento da tifoso mi stringeva lo stomaco. Il divertimento non contemplava la mia squadra, dov’era sparita? Dove stava sprofondando? Ero fortunato, vivevo nella città in cui giocavano due squadre con una grande storia e forti, e che sempre – bene o male – lo sarebbero state. Nei bar delle mie colazioni, alcuni amatissimi e che non ci sono più, ho imparato a stare zitto nei primi secondi nell’attesa che il barman, a seconda del turno, interista o milanista, parlasse. A quel punto, dopo un paio di minuti, potevo entrare con un commento, dire di un rigore, di un gol sbagliato, di una parata incredibile. Mi ascoltavano sapevano che ero loro amico, che tifavo altrove, ma che provavo simpatia da residente per le loro squadre. È andata così per quasi 25 anni, fino a che non me ne sono andato. Ho visto partite nei club dell’Inter e del Milan, ho visto derby allo stadio, ricordo ancora un gol di Ronaldo il fenomeno. Ho visto partite deludenti del Napoli e poi partite sempre migliori, certo c’è voluto del tempo, ho fatto in tempo a perderne parecchie, un 5-2 dal Milan, in un gennaio troppo freddo per essere sopportabile, un 1-1, sempre col Milan, con gol di Pippo Inzaghi e di Campagnaro, e così via. Poi per un sacco di tempo a San Siro non ci sono andato più, ma San Siro è il mio stadio, vale quanto il Diego Armando Maradona di Napoli. San Siro ha avuto una parte gigantesca nel mio modo di arredare Milano, spesso mi sono sentito più a casa nei suoi anelli che sul divano.

Nei 73 confronti diretti a Milano tra Milan e Napoli, il bilancio è nettamente favorevole ai rossoneri: 32 vittorie, 26 pareggi e solo 15 successi degli azzurri (Marco Luzzani/Getty Images)

Più passavano gli anni, più diventavo cittadino milanese, più restavo tifoso del Napoli, le cose insieme continuano a commuovermi, e gli ultimi anni a Milano sono stati divertenti. Il Napoli è venuto a San Siro a giocare bene, anzi benissimo, a vincere. A quel punto, nei miei bar preferiti, di nuovo cambiati, qualche volta i baristi hanno lasciato a me la prima battuta, una volta mi hanno perfino accolto con la Gazzetta aperta sulla faccia di Callejón. Milano mi ha voluto bene e io ho ricambiato. Ho visto partite di Champions League con i miei amici interisti, e con quelli milanisti, li ho confortati e ho applaudito alle loro vittorie, ho spillato birre. Ho visto partite del Napoli in appartamenti a Dergano, a Baggio, a Rogoredo, ad Affori, con quei tre quattro napoletani, che diventavano invasati come me per una trasferta in Slovacchia di Europa League.

Quando parlo di me stesso dico che metà del mio cuore è di Milano, perché a Milano sono grato, è il posto dove sono cresciuto, dove sono accadute molte delle cose che mi hanno portato dove sono adesso. Vivo a Venezia da tre anni, quando torno mi commuovo di continuo, scendendo o salendo da un tram, attraversando via della Moscova, o via Pellegrino Rossi, buttando l’occhio al Monumentale, inciampando a Porta Ticinese, cambiando linea in metropolitana. Ci sono due cose che ancora non riesco a fare, la prima è andare fino a Don Grioli, l’ultima casa in cui ho vissuto, la più amata. La seconda è arrivare fino a San Siro, non è ancora il tempo.

Scrive Franco Loi: “Sansir l’era ’n cadin d’erba e culur, / ch’i giugadur pareva ch’je tucavum” (San Siro era un catino d’erba e colori, / i giocatori pareva li toccassimo), è l’attacco di una poesia in cui parla del primo derby a San Siro dopo la Liberazione. C’è qualcosa di più incantevole e semplice di dire, come prima cosa dopo la Liberazione: i giocatori pareva li toccassimo? In quella nuova possibilità, in quella speranza, in quella vicinanza, in quell’attesa per il nuovo – raccontata da Loi – c’è molto di quello che hanno fatto San Siro e Milano per me. Milano è riuscita a consolarmi, quando con il Napoli in B, qualcuno mi aggiornava per una sconfitta a Como con gol di Bressan, mi piangevano gli occhi, ma poi potevo entrare all’Anteo per dimenticare. Milano ti aiuta a sparire, per farlo comincia a somigliarti e tu a lei. E quando le somigli ti rendi conto di essere stato sempre così, uno che ha pianto per una sconfitta, tante volte, ma mai più del tempo necessario a rendere quelle lacrime già ricordo.

Questi sono alcuni dei motivi, per i quali quando ci si avvicina a un Inter-Napoli o un Milan-Napoli (come accadrà in questi giorni), divento fragile ed emozionato, mi pare sempre che una delle mie città giochi contro l’altra e penso di fare un torto tifandone una soltanto, ma è un torto lieve, Milano lo sa che tifo Napoli, glielo ho sempre detto e mi perdona.