I Mondiali di scacchi sono una figata

E lo sono da sempre: intrighi internazionali, richieste assurde dei giocatori, sfide anche politiche. L'ultima finale è stata più tranquilla, ma ha dimostrato per l'ennesima volta che gli scacchi sono uno sport davvero divertente.

La International Chess Federation – riconosciuta generalmente con l’acronimo di FIDE (Fédération Internationale des Échecs) – è famosa per il sacro rispetto di antiche norme e venerate consuetudini. Eppure, lungo tutta l’attesissima finale Mondale, ha concesso che i due contendenti – il norvegese Magnus Carlsen ed il russo Ian Nepomniachtchi – potessero essere sottoposti a qualsivoglia domanda da parte dei propri follower. Si è trattato di un repentino e anche inatteso cambio di rotta, soprattutto rispetto alle inveterate e rigide tradizioni del mondo degli scacchi, che ha destato sconcerto tra i custodi del passato, ovvero quelli perennemente infastiditi dal nuovo che avanza. Questo spiraglio di innovazione è stato invece assai apprezzato da coloro che vorrebbero rendere più glamour e cool uno sport che, per essere sinceri, viene spesso considerato generalmente noioso dalla platea internazionale. A meno che i due finalisti non siano ‘duellanti’ del calibro degli indimenticati Fischer e Spassky, nell’epica, celebrata finale di Reykjavìk del luglio del 1973.

L’occasione quindi era piuttosto ghiotta, anzi davvero imperdibile. A poche ore dal quinto confronto, dopo quattro patte consecutive, l’autore dell’articolo che state leggendo – un po’ perché appassionato di lungo corso, un po’ per allinearsi al variopinto mood dei bizzarri e curiosi interrogativi postati da followers con una certa fantasia – ha chiesto a Magnus Carlsen se, in occasione dei festeggiamenti per il suo 31esimo compleanno, celebrato in sordina proprio nel corso della finale, fosse intenzionato a dividere di scacchiera una fetta della sua meritata birthday cake con Nepomniachtchi. Tra l’ilarità generale dei presenti, Magnus ha sottolineato che bastava recuperare diversi momenti delle precedenti finali mondiali per capire che il suo contendente avrebbe fatto bene, per pura precauzione, a rifiutare l’eventuale dolce offerta del festeggiato.

Saggia osservazione quella di Carlsen, che non può essere derubricata come una semplice battuta di spirito: se si compie una rapida carrellata sui World Chess Championship del passato, scorrono in memoria una costellata e variegata serie di episodi assurdi e geniali, grotteschi e stupefacenti, perfetti per una sceneggiatura dei fratelli Coen o del primo Wes Anderson, piccoli eventi che dimostrano la vitale bellezza e la febbrile inquietudine che caratterizza lo svolgimento di queste sfide infinite. Quindi non è un caso se  la letteratura, con esiti più o meno riusciti, si sia occupata a lungo del mondo degli scacchi, vista la dimensione romanzesca di questa competizione. Un capolavoro, immortale, fra i tanti: La difesa di Luzin del grande Vladimir Nabokov, eccelso scacchista lui stesso.

Da un punto di vista prettamente cronologico, per questo viaggio nel passato non può non iniziare dal mondiale di Baguio (Filippine), quello del 1978. Viktor Korchnoi, che dagli anni Sessanta agli anni Ottanta è stato uno dei grandi protagonisti della scena scacchistica internazionale, temeva di essere ipnotizzato da Vladimir Zukhar, membro dell’entourage dell’altro finalista (Anatoly Karpov) e presunto parapsicologo. E allora indossò degli improbabili occhiali a specchio, spiegando che era proprio un modo per difendersi da quel grottesco personaggio e dalle sue presunte abilità ipnotiche. Il Grande Maestro sovietico, naturalizzato svizzero, non si accontentò di quel trucco da agente del KGB, ma pretese e ottenne che l’inquietante e diabolico Zukhar si sedesse lontano dalla scacchiera, in settima fila; inoltre riuscì a farlo affiancare da un suo assistito, un novello esorcista che avrebbe annullato la nefasta influenza del parapsicologo-ipnotizzatore. Una storia che, per la sua dimensione spionistica e vagamente esoterica, sarà raccontata sul grande schermo con un film dedicato alla finale, descritta dagli sceneggiatori come «la partita più drammatica della storia degli scacchi», in uscita il 30 dicembre 2021. Ecco il trailer del film:

Per chi volesse approfondire la storia di Korchnoi, c’è questo articolo del Guardian, lungo e bello, dove vengono raccontate la sua vita e la sua carriera

Molto più recentemente, il campionato del mondo di scacchi 2006 – conteso tra il russo Vladimir Kramnik e il bulgaro Veselin Topalov – venne diffusamente definito dalla stampa con il curioso, ma azzeccato, nomignolo di toiletgate. Il manager di Topalov, Silvio Danailov, nel giorno di riposo tra la quarta e la quinta giornata, protestò con gli organizzatori per le frequenti visite di Kramnik alla toilette. Danailov osservò che queste erano l’unico locale non sottoposto a riprese audio o video, e disse che la frequenza di tali visite erano «strane, se non sospette». Il giorno successivo, il Comitato d’appello decise che, sebbene la frequenza delle visite di Kramnik alla toilette fosse stata esagerata nelle proteste, i bagni privati sarebbero stati chiusi e ne sarebbe invece stato aperto uno comune. Il manager di Kramnik, in tutta risposta, si mostrò preoccupato dal rischio che un membro del team di Topalov tentasse di impiantare un dispositivo elettronico nel bagno di Kramnik, per accusarlo di barare.

Sono episodi ai limiti del paranormale, con qualche virata nel grottesco, che però non raggiungono, nemmeno lontanamente, le vette di follia toccate in occasione del campionato del mondo di scacchi del 1972, passato alla storia con l’appellativo di Sfida del Secolo. Il match, disputato tra il detentore del titolo Boris Spasskij e lo sfidante Bobby Fischer, giocato in piena Guerra Fredda, venne descritto come un incontro non solo sportivo, ma anche politico e culturale tra i due blocchi. Gudmundur Thorarinsson, presidente della Federazione Scacchistica islandese negli anni 70’, si trovò addirittura a dover rassicurare la stampa sulla reale esistenza dell’imprevedibile e fantasmatico Bobby (assente alla cerimonia d’apertura della finale a Reykjavík). Quell’irascibile misantropo di Fisher, tramite i suoi avvocati, aveva infatti presentato le più stravaganti richieste alla Federazione Internazionale per partecipare alla finale: da un ristorante sempre aperto fino alle chiavi di una pista da bowling per giocare in qualsiasi momento. La leggenda vuole che sia stato Henry Kissinger in persona, consigliere per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti d’America, a convincerlo a sedersi al tavolo di gioco. L’entourage di Spasskij, d’altro canto, pretese che la postazione di gara, incluse sedie e quanto era attorno, venisse controllata: temevano la presenza di impianti a raggi X e di cimici, quest’ultime in grado di svelare le valutazioni dello staff degli analisti.

Ora questi antichi ‘fasti’, dove è difficile distinguere ciò che appartiene all’epos e ciò che invece rientra a pieno diritto nell’irrazionale, sembrano essere definitivamente abbandonati. In un clima decisamente più disteso, Magnus Carlsen è riuscito a difendere il titolo di campione del mondo per la quarta volta, intascandosi il 60% del ricco montepremi da due milioni di dollari, “vendicandosi” della sconfitta inflittagli da Ian Nepomniachtchi nella Junior World Championship del 2002 (categoria Under 12). Il Mozart degli scacchi, soprannominato così per il precocissimo talento e per l’apparente naturalezza con cui ottiene i suoi straordinari risultati, è campione del mondo in carica dal novembre del 2013, ha controllato la contesa con estrema facilità, senza subire minimamente la pressione dell’evento. In un paio d’occasioni, Carlsen è sembrato addirittura “infastidito” dalle scelte sbagliate dell’avversario, risultando in assoluto controllo fin dal primo confronto. D’altro canto lo stesso sfidante sconfitto ha seguito alla lettera gli insegnamenti del Macbeth – «Non bisogna affliggersi per ciò che è stato e non ha rimedio» – e ha digerito piuttosto bene la pur prevedibile sconfitta, sottolineando la superiorità dell’avversario nel gestire situazioni complesse.

La finale di quest’anno si è svolta a Dubai come evento dell’Expo 2020, il sito Chess.com – l’emittente principale del gioco da tavolo, in collaborazione con la piattaforma streaming Twitch – ne ha acquistato i diritti ed è diventato partner ufficiale della trasmissione. Il sito, oltre ad aver permesso di seguire gli incontri gratuitamente, ha ingaggiato diversi Grandi Maestri (l’italo-americano Fabiano Caruana e l’ex campione del mondo Anand Viswanathan) e altri ospiti speciali per commentare in diretta ogni singola mossa, aumentando le possibilità d’interazione con una chat dal vivo quanto mai funzionale. Questo in teoria, ma in pratica gli esiti potremmo definirli altalenanti. Nonostante il risultato finale abbia rispettato i favori del pronostico, l’evento ha suscitato particolare entusiasmo ed eccitazione tra gli appassionati, inserendosi di default sulla linea d’onda provocata dal successo della serie La Regina degli Scacchi, trasmessa su Netflix. Il leggendario Garry Kasparov, considerato a ragione uno dei più forti scacchisti di sempre, dopo la vittoria di Magnus in gara 6 ha twittato: «Incredible game. 7 hours, 45 minutes of peak concentration at the highest level of competition. Remember this when you hear chess isn’t a sport, or that physical condition isn’t so important». Come dargli torto?

Per quanto possa sembrare assurdo però, nelle intense settimane di preparazione alla sfida mondiale, le attenzioni sono state catalizzate, in maniera quanto mai tirannica, da un terzo scacchista non presente a Dubai: stiamo parlando del giovanissimo Alireza Firouzja, che nel corso degli europei a squadre disputatisi in Slovenia lo scorso novembre ha guadagnato – a soli 18 anni e cinque mesi, sei mesi prima di quanto fece Magnus Carlsen a suo tempo – l’ingresso nel club esclusivo dei 2.800 punti ELO, vale a dire il sistema di valutazione per calcolare il livello di abilità, ed è diventato il 14esimo giocatore di sempre a raggiungere questo prestigioso traguardo. Nato a Babol, nella provincia del Mazandaran, è indubbiamente l’astro nascente del movimento scacchistico internazionale. Dall’avvio della Fide World Cup 2021 gioca con i colori della Francia, per via di una scelta  maturata dopo vari dissapori con la Federazione iraniana, legati soprattutto al divieto di giocare contro avversari israeliani. Ora nel suo nuovo Paese è primo nella graduatoria Elo, perché ha più punti anche di Maxime Vachier-Lagrave, capofila storico del movimento scacchistico francese. Firouzja è solo l’ultimo di una serie di Grandi maestri che di recente hanno cambiato nazionalità: nella “campagna acquisti” si sono distinti gli Stati Uniti, che hanno portato nella loro squadra Fabiano Caruana, Wesley So e Lenier Dominguez. Nel novembre del 2021, Alireza ha vinto a Riga il torneo FIDE Grand Swiss, qualificandosi per il Torneo dei candidati 2022, competizione biennale il cui vincitore acquisisce il diritto a sfidare il campione del mondo in carica per il suo titolo. L’attesa per l’incontro tra i due re degli scacchi, quello del presente e quello del futuro, è già enorme.