L’anno del Chelsea

L'arrivo di Tuchel, la vittoria in Champions, il ritorno di Lukaku e un nuovo consolidamento: il 2021 dei Blues è stato indimenticabile e solo apparentemente caotico, perché dietro ai successi c'è un progetto coerente e pure sostenibile.

La storia recente del Chelsea sembra fatta di improvvisazioni e colpi di fortuna, di risposte estemporanee a eventi incidentali: lo stop del mercato comminato al club londinese nel 2019, il progetto-Lampard fondato sui giovani e poi subito accantonato con i faraonici acquisti dell’estate 2020, il licenziamento dell’ex capitano divenuto manager e l’arrivo di Thomas Tuchel, poco meno di un anno fa. Il tutto, ovviamente, nel bel mezzo della pandemia, della recessione economica, non proprio una delle situazioni migliori per poter cambiare continuamente direzione e programmi. Inoltre, in una delle zone più chic di Londra (il Chelsea rappresenta l’omonimo quartiere della zona occidentale del centro cittadino, anche se in realtà il suo stadio si trova nel borgo di Hammersmith e Fulham) hanno vissuto anche situazioni più specifiche e piuttosto delicate: la progressiva sparizione di Abramovich e il suo esilio forzato da Regno Unito per ragioni politiche, la conseguente fine – piuttosto ingloriosa – dei piani per costruire il nuovo Stamford Bridge.

In realtà, dietro questo caos apparente, il progetto dei Blues – guidato con mano ferma e sicura e severa da Marina Granovskaia, probabilmente uno dei migliori dirigenti calcistici del mondo in senso assoluto – è ordinato e armonico, efficace e proiettato nel futuro. Basta snocciolare qualche dato per rendersene conto: pur avendo investito 120 milioni sul mercato estivo 2021, il Chelsea ha chiuso la sessione in attivo di circa due milioni di euro;  questo dato incredibile è destinato a ripetersi, visto l’eccellente rendimento dei giocatori di proprietà dei Blues, soprattutto quelli che sono cresciuti nell’Academy di Cobham e che oggi sono una parte fondamentale della rosa di Tuchel, oppure sono in prestito ad altre società. Giusto per fare qualche nome: Reece James, Mason Mount, Callum Hudson-Odoi, Ruben Ruben Loftus-Cheek, Trevoh Chalobah e Andreas Christensen sono tutti inseriti nelle rotazioni della prima squadra; Conor Gallagher, Ethan Ampadu e Billy Gilmour sono solo alcuni degli elementi in erasmus nel Regno Unito e/o in altri Paesi europei, quindi tra qualche mese potranno rientrare alla base per integrare la rosa, oppure diventeranno i successori dei vari Tomori, Zouma, Pasalic, Abraham, garantendo ricche plusvalenze ai Blues.

Dal punto di vista della sostenibilità economico-sportiva, dunque, il 2021 del Chelsea è stato un anno che ha ribaltato qualsiasi teoria, qualsiasi narrazione sulla volubilità e sul caos genetico che caratterizzano il club londinese fin dall’estate 2002, quando Roman Abramovich ne è diventato proprietario. Per dirla meglio: quest’anno solare ha dimostrato come una buona organizzazione di fondo – unita ovviamente a una grande disponibilità economica – possa portare a grandi risultati, come un progetto organico possa rendere davvero vincenti, per di più ai massimi livelli, le intuizioni che servono a risolvere i momenti di difficoltà. Non si può raccontare diversamente il trionfo di Tuchel e dei suoi uomini in Champions League: non è stata un’impresa inaspettata e fortunata come quella centrata da Di Matteo nel 2012, piuttosto un successo meritato, costruito in pochi mesi dal tecnico tedesco, che ha lavorato su e con idee tattiche rivelatesi perfette per esaltare le qualità dei giocatori a sua disposizione, e per nascondere i loro difetti.

Tuchel ha agito in maniera lineare, per non dire elementare: visto che il grande problema del Chelsea di Lampard era la tenuta in fase passiva (23 gol subiti in 19 partite di Premier prima dell’avvicendamento in panchina), l’ex allenatore del Psg ha inserito un centrale in più, passando in pianta stabile alla difesa a tre. I frutti di questo cambiamento si sono visti subito: nelle prime dieci gare di campionato con il nuovo manager, il Chelsea ha subito solo due gol, pur avendo affrontato avversari come Tottenham, Manchester United, Liverpool. Questo eccellente rendimento difensivo ha caratterizzato anche la corsa in Champions League: i Blues hanno incassato due reti in sei partite contro Atlético Madrid, Porto e Real Madrid, e hanno tenuto a zero anche il Manchester City nella finale di Porto – pochi giorni dopo aver battuto la squadra di Guardiola, sempre senza subire gol, anche nella semifinale di FA Cup.

Queste cifre e queste evidenze tattiche non devono far pensare al Chelsea di Tuchel come una squadra speculativa, prettamente difensiva. È molto più corretto definire i Blues come una squadra in grado di rimanere costantemente equilibrata in tutte le fasi di gioco, soprattutto nelle transizioni: dopo la doppia vittoria contro l’Atlético Madrid, tra febbraio e marzo 2021, Jonathan Wilson ha scritto sul Guardian che «il Chelsea è stato eccezionale nel controllo del possesso nella partita d’andata, mentre al ritorno ha alternato questo tipo di gestione a delle ripartenze fulminanti, delle azioni in contropiede in perfetto stile tedesco che hanno distrutto la squadra di Simeone ogni qual volta che ha provato a portarsi un po’ in avanti». Per dirla in maniera semplice: Tuchel ha mischiato sapientemente tutte le sue (enormi) competenze, dando vita a una squadra innanzitutto solida ed efficace nei ribaltamenti in campo aperto, ma anche in grado di dominare il gioco gestendo il pallone tra i piedi. Il Chelsea campione d’Europa è stato una sorta di evoluzione, un completamento del Psg vice-campione del 2020: in Francia, Tuchel aveva  disposizione una rosa di talenti offensivi con qualità più alte ma anche più spiccatamente verticali, quindi la sua era una squadra inevitabilmente più diretta – per non dire frenetica – in fase offensiva; a Londra, invece, il tecnico tedesco ha trovato un organico con caratteristiche diverse, con eccellenze meno accecanti ma più diffuse – Thiago Silva, Rüdiger, Havertz, ma soprattutto Jorginho e Kanté – e quindi ha dovuto/potuto costruire un sistema in cui l’attesa e la pazienza giocano un ruolo importantissimo, sono doti fondamentali perché possano aprirsi gli spazi giusti per colpire.

Gli highlights della finale di Champions League

L’arrivo di Tuchel ha portato il Chelsea a diventare una squadra tatticamente complessa e quindi completa, ha determinato un surplus di valore che si è aggiunto alla qualità assoluta – di per sé già molto alta – di un gruppo eterogeneo, assemblato negli anni, ma che alla fine si è riconosciuto in questa nuova identità. E che, per la nuova stagione, è stato potenziato nell’unico reparto e nell’unico modo in cui era necessario aggiungere qualcosa: è arrivato Romelu Lukaku, un attaccante che occuperebbe un posto (molto) in alto e (molto) a destra in un immaginario grafico cartesiano che incrocia tecnica e fisicità, e che perciò era – ed è – idealmente perfetto per una squadra come quella costruita da Tuchel, che per sua natura deve alternare il dominio del pallone all’attacco degli spazi. Anche questa operazione, se vogliamo, è stato gestita alla Chelsea: era difficile immaginare un attaccante più adatto di Lukaku, che però resta un calciatore acquistato dai Blues nel 2011, venduto nel 2017 dopo alcune esperienze in prestito e poi ricomprato per 115 milioni di euro dopo quattro anni. Una storia non proprio lineare, per usare un eufemismo.

La nuova stagione è iniziata alla grande, come se fosse la prosecuzione di quella precedente: pur non segnando moltissimo (quattro gol prima della distorsione accusata a fine ottobre), Lukaku ha guidato la sua squadra a vincere otto partite delle prime undici in stagione, e ancora prima del suo arrivo i Blues avevano sollevato al cielo anche la Supercoppa Europea. Poi però sono arrivati gli infortuni e le positività al Covid dell’ex centravanti dell’Inter e di altri elementi importanti della rosa (Kanté, Werner, Havertz, Chilwell) e alcuni risultati tutt’altro che esaltanti (i pareggi con Burnley, Everton e Wolves, più quello in Champions contro lo Zenit). La sensazione è che il Manchester City abbia preso il largo in vetta alla classifica di Premier, ma c’è la ragionevole certezza che il Chelsea sarà in corsa fino alla fine per rimontare la squadra di Guardiola, per ripetersi in Champions League, insomma per vincere tutti i trofei a disposizione – i Blues hanno anche raggiunto la semifinale di League Cup e tra poco entreranno in gara anche nella FA Cup.

È proprio questo il senso del 2021 del Chelsea, l’aspetto più profondo e significativo emerso nell’anno solare che sta per finire: con Tuchel e grazie a Tuchel, ma anche per merito di una dirigenza che ha imparato a rispondere alle avversità, i Blues hanno trovato una stabilità che forse non gli era mai appartenuta, se non nel primo ciclo di Mourinho. È ovvio che tutto è dipeso – e quindi dipenderà ancora – dai risultati, dai trofei che sono arrivati e/o continueranno ad arrivare, ma è evidente che il Chelsea del 2022 è una squadra equilibrata e consapevole, espressione di una società che manifesta le stesse identiche doti. Che ha imposto un modello solo in apparenza ispirato al caos, ma che invece è in grado di rinnovarsi, di rivitalizzarsi, di imporsi ciclicamente ai massimi livelli. Non più e non solo per la sua potenza di fuoco economica, ma anche per la sua modernità, per la sua attenzione ai dettagli, al presente, al futuro.