Promesse d’Europa — Centrocampisti

Una selezione dei talenti più promettenti che non si sono ancora affermati definitivamente e potranno segnare il calcio del futuro. Il secondo episodio è dedicato ai centrocampisti.

Da una parte i nuovi palleggiatori tecnici, eredi della scuola Barça, interpreti di un calcio elegante, fatto di passaggi brevi e rapidissimi; dall’altra mediani dal fisico aitante, potenti e precisi e capaci di inserirsi da dietro, una specie di superboys con quattro occhi e otto gambe. I centrocampisti moderni, ovviamente quelli più forti e quindi ricercati e decisivi ai massimi livelli, riescono a unire queste due anime che sembrano distanti, anzi lontanissime tra loro. Certo, ancora oggi ci sono dei calciatori che hanno caratteristiche più definite, inclinazioni più evidenti: ci sono i registi che dettano i tempi con passaggi corti e quelli che invece amano lanciare in verticale i propri compagni, ci sono i colossi che stazionano a pochi metri dai difensori centrali e quelli che si accendono e poi esplodono quando possono attaccare l’area di rigore avversaria. Più passa il tempo, però, e più la definizione di centrocampista diventa trasversale, anzi universale: un po’ interdittori e un po’ fantasisti, un po’ ricamatori e un po’ stoccatori. Oggi, coloro che giocano in mezzo al campo sono atleti che tendono alla completezza. A saper far tutto.

Come per esempio Conor Gallagher (2000), che ha talento e carisma da vendere e si distingue pure per un ciuffo biondo che non smette mai di roteare nell’aria. Gallagher alterna e tacchi e assist e spallate, ha due bei piedi, grinta, tenacia, spazia per entrambe le metà campo, soprattutto quella offensiva, e ha il bel vizio del gol. Il suo cartellino appartiene al Chelsea, la squadra in cui è cresciuto, ma ora è in prestito al Crystal Palace, ed è già a sei gol (più tre assist) in 17 presenze. A novembre ha esordito nella Nazionale maggiore. Se non si sta attenti, a guardarlo si perde la cognizione del tempo e sembra di essere di fronte a Kennet Andersson ai tempi del Bologna: stessa maglietta, medesima chioma bionda, solo un po’ più basso e più tendente al movimento, a farsi trovare in ogni zona del campo.

Anche Jude Bellingham (2003) sa fare tutto e sa farsi trovare dappertutto. Ce ne stiamo accorgendo, da quasi due anni, al Borussia Dortmund. Ma ciò che rende unico il giovanissimo centrocampista inglese è la sua precocità. Nell’agosto del 2019, quando aveva 16 anni, fa due cose: diventa il più giovane esordiente di sempre del Birmingham; e poi, contro lo Stoke City, diventare il più giovane marcatore di tutti i tempi dello stesso club. Quando si trasferisce in Germania, guadagna subito la maglia di titolare e segna il suo primo gol in Champions League a neanche diciotto anni. È stato il più giovane giocatore della storia ad aver giocato in una fase finale dell’Europeo. Ma perché tutti gli allenatori che l’hanno incrociato sulla loro strada non hanno potuto o saputo fare a meno di lui, nonostante l’età? Perché è un giocatore massiccio ma in mezzo al campo sembra che danzi, è un Felipe Melo che va al doppio della velocità e garantisce il triplo dell’affidabilità, e ha anche molta più tecnica di base. All’occorrenza salta l’uomo, fa assist, va in gol. La coppia formata con Halaand è una delle cose più belle da vedere nel calcio europeo.

Sempre in Bundesliga giocano Florian Wirtz (2003) del Bayern Leverkusen e Jamal Musiala (2003), centrocampisti offensivi che appartengono, rispettivamente, al Bayer Leverkusen e al Bayern Monaco. Il primo si è già fatto notare da un paio di anni: veroniche, interdizioni, scavini e sombreri in mezzo al campo, Wirtz è la fotografia vivente di come dovrebbe essere un centrocampista contemporaneo. Un nuovo Ballack più veloce con le gambe, un ricamatore che salta l’uomo facile e ha anche una certa freddezza e buon piede in area di rigore, oltre a una visione di gioco da campioncino. È il più giovane marcatore nella storia della Bundesliga. Musiala ha una storia meno lineare, è metà tedesco e metà inglese, ed è già diventato il giocatore più giovane ad aver giocato con la Nazionale Tedesca in un Europeo. Da quando è apparso sulla scena, più o meno un anno fa, ha mostrato qualità, tecnica e senso del gol in quantità paurose. Il suo è uno stile inedito, stupendamente inclassificabile, ha qualcosa di Zinedine Zidane e Thomas Müller nello stesso meraviglioso momento.

Ryan Gravenberch (2002), regista dell’Ajax e della nazionale olandese, è soprattutto eleganza. Lunghe leve, dribbling davanti alla difesa, rischiosi ma quasi sempre riusciti, metronomo e attore del circolo veloce, stazza fisica da far paura, è un Emerson più offensivo e forse anche più sofisticato. Fa gol pesanti grazie a un bel calcio di palla. Ha sangue del Suriname e si vede dalle gambe rapide nonostante il metro e novanta. Ilaix Moriba (2003) è esploso l’anno scorso nel Barca. Guineano-spagnolo, mediano intelligente capace di segnare, ha un gran tiro, ricorda un po’ Paul Pogba. Questa stagione milita nel Lipsia, anche se fatica a trovare spazio. Da segnalare il primo gol con i blaugrana il 6 marzo del 2021, nel 2-0 contro l’Osasuna, dopo essere subentrato a Griezmann: dribbling al limite area e leppa di sinistro sul primo palo. Buone geometrie, grande presenza fisica, promette faville, anche se il carattere è piuttosto complesso.

Niente male questo gol di Moriba

Takefusa Kubo (2001) è uno dei tanti Messi giapponesi: mancino, appena un metro e settanta, quindi baricentro basso. Più che una pulce sembra la pallina di Arkanoid, avanti e indietro come una furia tra la linea laterale del campo e l’area di rigore; ultimamente galleggia nel Maiorca, ma il cartellino è di proprietà del Real Madrid – e in passato è transitato anche per il Barcellona, anche se solo a livello di Masía. Si ha l’impressione che debba esprimersi ancora al meglio nelle categorie che contano, forse gli manca un po’ di carattere. Tanta tecnica e palla incollata ai piedi, ma forse manca del cambio di passo e di grande capacità realizzativa, se paragonato a un giocatore che possa anche solo tendere davvero a Messi.

Manor Salomon (1999), nome svizzero biblico, centrocampista dello Shakhtar, è un Totò Di Natale in salsa ebraica, anche se gioca a centrocampo: rapido, coraggioso, buon tiro, è un numero 10 ostinato fino all’ignoranza tattica. Bel tiro a giro anche da fermo, rischia di diventare una meteora da serie minore alla Ciccio Tavano, eppure potrebbe anche sfondare. O comunque avrebbe le qualità per farlo. Come Aurelien Tchouameni (2000), che però è decisamente più avanti, infatti si sta imponendo nel Monaco – e nella Francia di Deschamps – come uno dei più spietati interdittori e rubapalloni d’Europa, grazie a prodigiose scivolate, spallate, tackles. Non vorrei trovarmelo davanti la mattina sulla banchina della metro per andare al lavoro: dove c’è lui non passa nessuno. Inoltre sa pure essere pungente, se impiegato in una zona più avanzata di campo.

Amine Adli (2000) fantasista franco-marocchino del Leverkusen,  è un giocatore dinamico, devastante quando parte con la palla al piede, in più possiede mancino educatissimo e ha già fatto vedere doti cristalline. Si muove come una gazzella tra gli avversari, capriolo nero del deserto occitano, buca difese come lama tagliente e sembra divertirsi molto a farlo. Deve il suo equilibrio psichico a un vecchio allenatore di nome Bancarel. Eletto miglior giocatore della Ligue 2, anche e soprattutto per i suoi otto gol e sette assist in 33 presenze con la maglia viola del Tolosa. Yari Verschaeren (2001), campioncino belga, trequartista dell’Anderlecht, ha alle spalle tutta la trafila nelle giovanili della Nazionale prima del Ranking Fifa, e almeno per quanto riguarda le – notevoli – abilità balistiche potrebbe essere l’erede di De Bruyne. Per le referenze, basta andarsi a vedere il tiro nel sette che ha insaccato proprio contro l’Italia Under 21 il 22 giugno 2019, quando non era ancora maggiorenne. Spiccate abilità tecniche, sguizza sulla trequarti come un altro suo compatriota, Eden Hazard.

Verschaeren, a 21 anni da compiere a luglio 2022, ha già accumulato 93 presenze con l’Anderlecht e sei con la Nazionale maggiore del Belgio (Virgine Lefour/Belga Mag/AFP via Getty Images)

Tra gli italiani di nascita e/o acquisiti segnaliamo: Nicolò Fagioli (2001) interno piacentino di centrocampo, è già comparso in un paio di occasioni con la maglia della Juve, sia in gare di Serie A che in Coppa Italia. Ora è in prestito alla Cremonese. Gioca la palla coi tempi giusti, va a prendersela e fraseggia, mostra di saper dominare con eleganza e serenità la metà campo, rasoio di Occam e soluzioni semplici, nel dubbio la passa all’uomo libero più vicino, preferibilmente rasoterra. Pupillo nascosto di Max Allegri, ha dalla sua anche il vizietto del gol – per un parallelo con un giocatore del passato vedi alla voce Stefano Fiore. E poi Filippo Ranocchia (2001): nel precampionato, con la maglia della Juve, ha fatto vedere belle cose, tra cui un gol di sinistro da fuori area in amichevole contro il Monza, infilando la palla a giro nell’angolo. Perugino di nascita, proprio nel Perugia ha disputato le prime partite nel calcio che conta. Ora è in prestito al Vicenza, e ha già un paio di presenze nell’Under 21. Ha ancora molto da dimostrare, ma anche tutte le carte in regola per sfondare nel grande calcio.

Infine Matias Soulé Malvano (2003), anche lui vivaio Juventus. Ha sguardo che vede lontano, fino a Mar de Plata, Argentina, il suo paese d’origine, che poi torna indietro per prendere esempio dal Berna e dribblare con le gambe affusolate qualsiasi nemico. Un certo Lionel Scaloni, ct dell’Argentina, ha sorpreso tutti e lo ha convocato per le sfide di qualificazione ai Mondiali contro Brasile e Uruguay, insieme a tanti altri giovani. Lo conosce dai tempi in cui, giovanissimo, giocava nel Velez Sarsfield, facendosi notare pure nelle Nazionali minori. Parte da destra per rientrare sul mancino, molto mite, è stato da poco chiamato nella prima squadra bianconera dopo le ottime prestazioni in Serie C, nell’Under 23. Tira belle punizioni, un po’ alla Diamanti. Purtroppo ama molto giocare alla Playstation, ma glielo si perdona, data la giovane età.

Noni Madueke (2002), ala destra del PSV di Eindhoven, gioca a piede invertito, ed è un mix tra Robben e Balotelli. Fino a qualche tempo fa usava indossare una fascia per capelli molto Anni Novanta, poi sono intervenuti alcuni hairstylist a chiedergli pietà: il suo hobby preferito è rientrare sulla gamba dominante e tagliare le difese in due come burro. Nel quadricipite ha un serbatoio di esplosivo pronto ad saltar fuori in controbalzo. Con l’Olanda c’entra qualcosa pure Xavi Simons (2003), talento dai riccioli d’oro nato ad Amsterdam, un nome di battesimo che rimanda a quel regista là, scelto dal padre Regillo, ex calciatore del NAC Breda. È per ora confinato al ruolo di riserva nel PSG. Ma se nei nomi vi è il destino delle persone, allora c’è da aspettarsi che presto il giovanotto si rimetterà la casacca blaugrana, che faccia ritorno alla casa canterana in cui è cresciuto dal 2010 al 2019. Temperamento e corsa che ricordano Davids, fisicità notevole ed elastica, come richiesto di questi tempi in mezzo al rettangolo di gioco. È un personaggio da seguire per il possibile futuro roseo in campo, ma anche per scoprire su Instagram il destino coreografico della chioma dorata.

Dopo nove anni passati nella Masía, nel 2019 Xavi Simons si è trasferito al Psg; da allora, ha disputato appena tre gare ufficiali con la prima squadra (Fran Santiago/Getty Images)

Parlando di Spagna, ci sono poi due centrocampisti iberici su cui è necessario aprire un capitolo a parte. Uno si chiama Pedri (2002), canario come David Silva e tanti altri grandi giocatori della nostra epoca. Sta mostrando da mesi una non comune capacità di palleggio e intelligenza tattica. Probabile erede di Iniesta, calzettoni abbassati, il suo terreno di caccia sono i venti metri prima e dopo il centro del campo; fa entrambe le fasi con precisione ingegneristica ed è un re del nuovo tiqui-taca. È un interno moderno e completo, nominato miglior giovane a Euro 2020 e inserito nella squadra ideale del torneo. L’altro è Gavi (2004), enfant prodige cresciuto prima nel Betis e poi nella Masía, figlio adottivo di Iván de la Peña. Il 6 ottobre scorso, a San Siro, ha scardinato un record che resisteva dal 1936, diventando il più giovane esordiente della Nazionale spagnola e disputando un match di altissimo livello con la maglia numero 9. Svaria per tutta la metà campo, indifferentemente sul lato destro o sinistro, e detta il ritmo di gioco, velocizzando i palloni che gli arrivano da Busquets. Ma ha anche ottima grinta e capacità di fermare le incursioni degli avversari.

Dalle parti di Pedri e Xavi sta crescendo pure Yusuf Demir (2003), furetto austriaco di origini turche, una sorta di trequartista falsonueve che ha già fatto vedere cose bellissime. Mancino puro, si muove nella metà campo avversaria come un campione affermato, senza mai esagerare però. Un metro e settantatre di rapidità e visione di gioco, tagli trasversali, intuizioni nei buchi, la butta anche dentro. Ultimo della lista è un altro canterano del Barça: Nico González (2002), un centrocampista che si muove sornione tra veroniche e virate improvvise con la suola, centrocampista statuario vecchio stampo, ma abbastanza rapido da reggere i ritmi del calcio moderno; con tutti gli altri – più De Jong – rischia di formare un gruppo incontenibile, che ci farà tanto divertire nei prossimi anni.