Guida agile alla Coppa d’Africa 2022

Il torneo è pronto a partire dopo le polemiche e in mezzo ai dubbi: l'Algeria campione in carica è ancora la favorita d'obbligo, ma dovrà vedersela con Senegal, Egitto, Marocco e con il Camerun padrone di casa.

Nel 1984, in un memorabile discorso tenuto a New York durante la 39esima sessione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, Thomas Sankara invitava gli africani ad aprire gli occhi sulle insidie del neocolonialismo: «L’imperialismo è un sistema di sfruttamento che non si presenta solo nella forma brutale di coloro che vanno con dei cannoni a conquistare un territorio, ma più spesso si manifesta in forme più sottili, come un prestito, un aiuto alimentare, un ricatto». In tanti, nelle ultime settimane, hanno intravisto questo mostro dai mille volti anche nel calcio, nascosto tra le pieghe della crociata combattuta dall’ECA (l’associazione che riunisce i più importanti club europei) per far slittare ancora una volta la Coppa d’Africa, già rinviata un anno fa a causa della pandemia.

Sébastien Haller, centravanti dell’Ajax e della Costa d’Avorio, è stato categorico, sbottando nei confronti di un giornalista che gli aveva chiesto se preferisse rimanere in Europa o giocare la Coppa d’Africa: «Questa domanda dimostra tutta la mancanza di rispetto per l’Africa. Faresti questa domanda ad un giocatore europeo prima di un Europeo? Certo che giocherò la Coppa d’Africa». Gli ha fatto eco Ian Wright, ex attaccante dell’Arsenal e della Nazionale inglese: «Sento sempre critiche sulla Coppa d’Africa. È una vergogna che va avanti da molto tempo», ha tuonato in un video postato sui social. Le parole più indignate, però, le ha pronunciate Samuel Eto’o, neopresidente della federazione calcistica del Camerun, che finalmente ospiterà il torneo dopo la revoca di due anni e mezzo fa, causata da problemi logistici: «Euro 2020 si è giocato in piena pandemia, con gli stadi pieni, in più città e non ci sono stati problemi. Perché la Coppa d’Africa non si può giocare in Camerun? Che mi diano un unico valido motivo per non giocare».

In un certo senso, con la rivendicazione della dignità e la riaffermazione dell’orgoglio panafricano, la conferma della trentatreesima edizione in questa finestra invernale (boreale) sembrerebbe aver restituito alla Coppa d’Africa i profondi significati delle origini, quando il calcio anticipò l’indimenticabile stagione delle indipendenze. Lo ha spiegato bene anche Patrick Motsepe, il presidente della CAF: «Siamo pronti a mostrare al mondo il miglior calcio africano e l’ospitalità dell’Africa. Questo è un torneo speciale per tutti i popoli Africani. Sarà un grande successo». Le premesse, del resto, ci sono tutte. L’Algeria campione in carica è anche la maggiore indiziata alla vittoria finale. In questi due anni il ct Belmadi non ha fatto grandi rivoluzioni, confermando praticamente in toto l’ossatura della squadra campione due anni e mezzo fa, senza però rinunciare a qualche aggiunta di qualità, come Said Benhrama, reduce da un’annata sfavillante in Premier League con il West Ham. «Ho ancora fame di titoli», ha avvisato l’allenatore nato in Francia, che secondo un recente sondaggio sarebbe addirittura più popolare del presidente algerino. Mahrez e compagni viaggiano con il vento in poppa: le Fennecs sono reduci da una impressionante striscia di 34 partite internazionali senza sconfitta, a pochi passi ormai dall’eguagliare il record dell’Italia di Mancini. Ma c’è di più: la recente conquista della Coppa Araba, giocata senza i big e vinta in finale con la Tunisia, ha portato l’ennesimo pieno di autostima dalle parti di Algeri.

Se questo sarà o meno solo l’antipasto per un altro trionfo delle Volpi del Deserto, dipenderà molto soprattutto da Marocco, Senegal, Egitto e Camerun. Delusione dell’ultima Coppa d’Africa, quando furono eliminati agli ottavi di finale dal modesto Benin, i Leoni dell’Atlante hanno salutato il guru Hervé Renard e si sono affidati alle cure di Vahid Halilhodzic. Un vero e proprio colonnello di ferro, conosciuto per i suoi metodi pratici e autoritari, che si è dedicato soprattutto a liquidare la vecchia guardia, lanciando una nouvelle vague di talenti guidata ovviamente da Achraf Hakimi. Il repulisti del bosniaco non ha risparmiato neanche una stella assoluta come Hakim Ziyech, messo all’indice per tutelare la serenità dello spogliatoio: «Abbiamo lavorato bene con questo gruppo per due anni e non permetterò a nessuno di venire a rovinarlo», ha spiegato in conferenza stampa l’ex allenatore del Nantes.

Per infortunio e positività al Covid, invece, il Senegal dovrà fare a meno di Koulibaly – almeno per la prima parte del torneo. Ma il ct Cissé resta fiducioso, anche perché i Leoni della Teranga sono la selezione africana con il ranking FIFA più alto da ben trentasei settimane consecutive. Fondamentale per i meccanismi del 4-3-3 di Cissé, piuttosto scolastico e pensato per esaltare al massimo le doti da contropiedista di Mané, è stato riuscire ad ottenere la convocazione di Ismaïla Sarr, arrivato a Dakar solo dopo un lungo braccio di ferro con il Watford. Reduce dalla sconfitta in finale nel 2019, quando fu colpita a freddo da un gol dell’algerino Bounedjah, per la generazione dorata del Senegal è forse l’ultima, grande occasione per passare all’incasso.

In cerca di rivincite c’è anche l’Egitto di Salah, ancora scottato dall’eliminazione rimediata due anni fa, agli ottavi della Coppa d’Africa casalinga, per mano del Sudafrica. Per riuscirci, i Faraoni hanno cambiato guida tecnica, affidandosi ad una vecchia volpe come Carlos Queiroz, chiamato in corsa dopo l’esonero improvviso di El Badry. Il portoghese Toni Conceição, invece, ha raccolto il testimone di Clarence Seedorf sulla panchina del Camerun nell’ottobre del 2019. E da allora ha lavorato per regalare un’identità di gioco offensiva ai Leoni Indomabili, puntando forte su una spina dorsale composta dal neointerista Onana, dal napoletano Anguissa e dal tandem Choupo-Moting-Aboubakar. Sembra esserci riuscito piuttosto bene, perché il Camerun è una squadra che cerca sempre di mantenere il controllo della partita, praticando un calcio a tratti molto intenso e verticale.

L’Egitto di Salah è la Nazionale più decorata nella storia della Coppa d’Africa: ha vinto il trofeo per sette volte, l’ultima delle quali nel 2010. Con la maglia della sua rappresentativa, l’attaccante del Liverpool ha disputato due edizioni del torneo, raggiungendo la finale nel 2017 (Khaled Desouki/AFP via Getty Images)

Sembra meno attrezzata la Costa d’Avorio di Kessié e Beaumelle, storico secondo di Renard, al primo appuntamento da commander in chief in un momento di grande ricambio generazionale per gli Elefanti. Stesso discorso per il Ghana, che mette in vetrina il gioiellino Abdul Fatawu Issahaku, uno dei wonderkids più intriganti del torneo. In patria addirittura c’è sostiene sia l’erede naturale di Abedi Pele. Sui giovani punta tutto anche la Nigeria, in preda al caos dopo l’esonero di Gernot Rohr a poche settimane dalla Coppa, e orfana pure di Victor Osimhen – che si è autoescluso piuttosto a sorpresa dal torneo dopo essere risultato positivo al Covid. La speranza di Augustin Eguavoen, l’ex capitano arrivato in plancia di comando solo per scaldare il posto al portoghese José Peseiro (già annunciato per il post torneo), si chiama Samuel Chukwueze, reduce da un semestre in chiaroscuro con il Villareal: «Tutti parlano di Salah, ma Chukwueze non è da meno”, ha detto il ct nigeriano, forse esagerando un po’.

Chi, infine, sembra pronto ad esplodere è il Mali. La semina a livello giovanile, del resto, è stata di quelle importanti : lo scheletro delle Aquile di Bamako, infatti, è composto dai giocatori che tra il 2015 e il 2017 hanno fatto incetta di titoli (Coppa d’Africa u17) e medaglie a livello juniores, compreso un bronzo al Mondiale Under 20. Fuori Marega, il peso dell’attacco finirà, inevitabilmente, sulle spalle di Ibrahima Kone, ma l’attaccante del Sarpsborg ha già dimostrato di saperlo reggere nelle qualificazioni mondiali, dove ha già messo a segno cinque reti. Nel gruppo F i maliani se la vedranno anche con il Gambia, una delle due matricole di questa Coppa d’Africa insieme alle Comore, la nazionale del territorio più piccolo ad essersi mai qualificata per la fase finale di una Coppa d’Africa. Gli Scorpioni sono una delle squadre più “italiane” del torneo: oltre al romanista Darboe, al bolognese Barrow, al sampdoriano Omar Colley e allo spezzino Ebrahima Colley, il ct belga Saintfiet ha convocato anche due giocatori dalla Lega Pro (Sibi e Bobb). Non è un caso: il legame tra Gambia e Italia si è parecchio intensificato negli ultimi anni. Merito soprattutto di Luigi Sorrentino, avvocato e procuratore, che dal 2012 ha portato in Italia diversi calciatori gambiani, avviando anche diverse collaborazioni con realtà locali. Saintfiet, ai microfoni di Eurosport, ringrazia sentitamente: «Il non plus ultra sono i giocatori che arrivano dall’Italia: hanno una preparazione tattica superiore agli altri».