Patrik Schick è diventato un attaccante letale

Sembrava impossibile che il talento geniale e intermittente visto alla Sampdoria e poi alla Roma potesse diventare così completo, così continuo sotto porta. L'approdo in Germania ha cambiato le cose.

Il gol da metà campo contro la Scozia con cui si è candidato alla vittoria del Puskas Award è esattamente ciò che ci aspettiamo da uno come Patrik Schick, anzi da quella che è la nostra idea di Patrik Schick, dal giocatore che immaginiamo sia e debba essere, dalla proiezione immanente, immutata e immutabile del suo talento cristallino. In quella giocata improvvisa e improvvisata – che poi tale non è – c’è tutto ciò che Schick è secondo noi, un giocatore in cui la superiorità della componente istintiva su quella razionale si manifesta nella contro-intuitività delle soluzioni che sceglie, nella fugace estemporaneità di colpi difficili da pensare prima ancora che da eseguire, nell’irripetibilità di un singolo momento in cui prende forma l’impossibile.

Allo stesso tempo, però, c’è chi sostiene che in quel gol ci sarebbe anche il rovescio della medaglia, la sublimazione di tutto ciò che Schick non è e non potrebbe mai essere, cioè un attaccante concreto, diretto, in grado di piegare l’estetica in funzione di un’utilità, uno che segna anche i gol facili, quelli che stupiscono meno, che fanno volume. E che, probabilmente, finiscono per contare di più. Come se Schick fosse ancora, sempre e solo quello che segna alla Bergkamp contro il Crotone e che, nove mesi dopo, quasi fa bestemmiare in diretta il telecronista tifoso della Roma per un’occasione mancata in pieno recupero contro la Juve, come se non potesse essere identificato in altro modo se non attraverso questa dualità per cui la versione accecante non può esistere senza quella che ti fa schiumare di rabbia.

In realtà Euro 2020 e questa prima parte di stagione ci hanno restituito uno Schick diverso da raccontare, un giocatore che ha cambiato la narrazione che lo circondava ben al di là dei numeri e dei record che sta sbriciolando in serie con il Leverkusen – 17 gol in 15 partite di Bundesliga, nove nelle ultime cinque, secondo posto nella classifica cannonieri a meno tre dalla versione buggata del Lewandowski sotto Nagelsmann e a più quattro rispetto a quel cheat code che porta il nome di Erling Haaland. A luglio, quando il ceco stava contendendo a Cristiano Ronaldo la scarpa d’oro degli Europei, il suo vice-allenatore ai tempi del Bohemians, Tomas Trucha, disse a The Athletic che «Patrik potrà anche sembrare caratterialmente introverso, ma quando è in campo si trasforma in un killer, ha tutto ciò che serve per permettergli di brillare ed essere protagonista quando si sente a suo agio in una squadra». Queste dichiarazioni completano idealmente ciò che rivelò il direttore generale del Bayer Leverkusen – vale a dire Rudi Völler, uno che di attaccanti e di Roma se ne intende – nel settembre 2020, pochi giorni dopo il suo acquisto a titolo definitivo dalla squadra giallorossa, quando vide in Schick «un attaccante di caratura internazionale, che ha dimostrato le sue qualità sia in Serie A che in Bundesliga. La sua capacità di attaccare la profondità e le sua abilità realizzative si sposeranno alla perfezione con il nostro sistema offensivo».

Lo Schick finalizzatore d’elite è qualcosa cui non siamo abituati neanche a pensare, un’eventualità che non credevamo e non crediamo possibile, un’immagine che ci riesce difficile proiettare nella nostra mente anche se l’abbiamo vista, anche se la stiamo vedendo, partita dopo partita. Al termine della scorsa stagione, quasi come a voler anticipare ciò che sarebbe accaduto nel 2021/22 al termine di un lungo percorso di ricostruzione tecnica, fisica e psicologica, il ds del Bayer, Simon Rolfes, ha detto che Schick «ha faticato un po’ all’inizio ma ha lavorato bene, è migliorato in diversi aspetti del suo gioco e ha fatto notevoli passi in avanti. Patrik si muove tantissimo per la squadra e gioca con una notevole intensità, e così in questa stagione ha gettato le basi per quello che farà nella prossima. In lui c’è molto di più di quello che ha mostrato con noi finora».

Il cosa è in questo video pubblicato sul canale YouTube ufficiale della Bundesliga, dove possiamo ammirare le mille sfaccettature di un centravanti moderno, dinamico, funzionale, bello quanto basta, per certi versi persino spietato nella cinica regolarità con cui riesce a trovare la rete in rapporto agli appena tre tiri di media a partita: c’è lo Schick che ha imparato a colpire di testa tagliando in corsa sul primo palo, lo Schick opportunista che toglie il tempo d’intervento a portieri e difensori colpendo di punta in caduta, lo Schick fisicamente dominante nel gioco spalle alla porta a centro area, lo Shick diabolico e crudele nel banchettare su ciò che resta della difesa del Greuther Fürth, già sotto 3-1 prima dei suoi quattro gol in 25 minuti.

Ecco il video di cui abbiamo parlato finora

Per arrivare dov’è oggi, Schick ha dovuto ripensare sé stesso e il suo modo di stare in campo, ripartendo dall’ingenerosa etichetta di sopravvalutato di talento e tornando alle sue origini di seconda punta ibrida, prima di trasformarsi nel terminale offensivo di una squadra che punta alla qualificazione per la prossima Champions League. In questo senso il trasferimento in Germania, al Lipsia, è stato decisivo per ritrovare uno dei giocatori più eccitanti degli ultimi cinque anni, inquadrandolo in un contesto tattico chiaro e riportando tutto a una dimensione individuale e collettiva per cui le sue caratteristiche sono strettamente legate alla funzionalità del sistema e dei suoi interpreti.

Dopo due stagioni passate da esterno offensivo adattato nella Roma di Di Francesco, una squadra offensivamente monopolizzata da Edin Dzeko, Schick ha ritrovato – giocando accanto a Timo Werner – una coerenza tecnica di fondo, sublimata in quegli spazi in verticale liberati dai movimenti dei compagni. In quelle praterie, la sua sensibilità di tocco e le sue qualità nel dribbling e nel tiro hanno nuovamente avuto un impatto decisivo. Si può dire che Nagelsmann – che lo definì «il giocatore dei miei sogni» quando il Lipsia stava ridiscutendo con i giallorossi i termini di un eventuale riscatto – sia stato il primo ad intuire quanto e come Schick potesse diventare un attaccante vero, affidandogli il compito di occupare stabilmente la zona centrale nell’ultimo terzo di campo.

In questo modo è come se Schick si fosse ulteriormente specializzato, pur mantenendo la multidimensionalità degli esordi nel momento in cui si trattava di associarsi, con e senza palla, con l’esterno di riferimento per le classiche combinazioni interne-esterne delle squadre Red Bull, o alternandosi con lo stesso Werner nell’occupazione dinamica dell’area di rigore. «Mi piace dire che giochiamo un calcio attraente», ha detto mentre giocava a Lipsia. «Del resto se sono qui è per via dell’allenatore e della sua filosofia: quando mi sono trasferito la scorsa estate mi ha detto che mi avrebbe voluto già ai tempi dell’Hoffenheim. Grazie a lui il mio repertorio è diventato molto più vario».

Questo processo si è completato, si sta completando, a Leverkusen. Schick si è preso il Bayer nonostante la crisi vissuta nella scorsa stagione ­– appena sei vittorie in 21 partite dopo la sconfitta contro il Bayern Monaco nel turno pre-natalizio – e il cambio di guida tecnica, con Peter Bosz esonerato e sostituito da Gerardo Seoane. Il tecnico svizzero ha disegnato un 4-2-3-1 in cui Florian Wirtz è il giocatore più vistoso dal punto di vista della creatività individuale e della reattività in funzione di ciò che propone la difesa avversaria, mentre Schick è certamente l’esecutore materiale, colui che traduce la teoria in atto pratico, che dà forma, sostanza e concretezza a una manovra iper-cinetica, a una squadra che si esalta quando ha metri di campo da attaccare nel minor tempo possibile. Non parliamo, naturalmente, di un centravanti statico, ma di un giocatore che riesce ad essere, allo stesso tempo, un riferimento fisico credibile negli ultimi venti metri ma anche uno shadow striker letale nell’occupazione dello spazio alle spalle dell’ultimo difensore.

Quella di Schick è un’interpretazione del ruolo moderna, consapevole, evoluta. E richiama quell’idea e quella percezione di talento generazionale che costituiva il filtro attraverso cui identificavamo Schick fino a diventare il parametro del suo fallimento, la prova provata di un clamoroso errore di valutazione: probabilmente ci eravamo fatti convincere che fosse un talento davvero in grado di spaccare il mondo, poi le cose sono andate diversamente e allora ci siamo fatti ingannare nel senso opposto, abbiamo finito per considerarlo un sopravvalutato. Ora che il suo viaggio di catarsi e redenzione sembra essere terminato, siamo diversi noi e soprattutto è diverso lui: Patrik Schick è diventato qualcosa che non credevamo potesse diventare, il giocatore che segna anche a tu per tu con il portiere contro la Juve dopo aver segnato alla Bergkamp contro il Crotone. Un attaccante fedele a sé stesso, al suo talento, alle manifestazioni ulteriori e inaspettate di questo talento. Proprio come un gol da centrocampo.