L’Everton sta vivendo una stagione da incubo

L'arrivo di Lampard non è riuscito a risolvere i problemi dei Toffees, anzi.

Giusto per conferire una dimensione temporale al discorso che stiamo per affrontare: l’ultima volta che l’Everton è retrocesso nella seconda divisione del calcio inglese, la Coppa dei Campioni non esisteva. Non era ancora stata inventata. Era il 1951, e i Toffees finirono dietro al Chelsea solo per differenza reti. Sarebbero risaliti al piano di sopra dopo tre stagioni, per poi tornare a vincere il titolo nel 1963. Erano decisamente altri tempi. Da allora la seconda squadra di Liverpool – ma solo nell’immaginario collettivo: in realtà l’Everton è stato fondato 14 anni prima dei Reds, 1878 contro 1892 – ha vissuto sulle montagne russe: altre volte ha rischiato di retrocedere, nel 1994 per esempio si è salvato all’ultima giornata ma ha anche conquistato altri tre titoli nazionali, altrettante FA Cup e la Coppa delle Coppe 1984/85. Ora, però, questa lunghissima permanenza ai massimi livelli sembra essere davvero in pericolo: l’Everton sta vivendo una stagione da incubo, è pienamente coinvolto nella lotta per non retrocedere (si trova al quartultimo posto e ha un solo punto di vantaggio sul Burnley, però ha disputato due gare in meno) e non è riuscito a invertire il trend nemmeno con il cambio in panchina. Da quando Frank Lampard ha preso il posto di Rafa Benítez, a fine gennaio, le vittorie sono state solo tre in sette partite. Il vero problema è che solo uno di questi successi è arrivato in partite di campionato, contro un’altra squadra in grossa difficoltà – il Leeds di Bielsa. Nelle altre cinque gare di campionato, sono arrivate altrettante sconfitte.

L’ultima, quella con il Tottenham, è stata piuttosto netta e quindi indicativa dello stato dell’arte: il 5-0 incassato a White Hart Lane contro la suadra di Antonio Conte, il predecessore di Lampard sulla panchina del Chelsea, ha evidenziato problemi difensivi enormi, oltre che una sconcertante arrendevolezza. Per Lampard, intervistato nel postpartita, l’Everton «accusa la pressione di giocare in trasferta, mentre a Goodison Park il rendimento è migliorato». Può essere, e in effetti i Toffees hanno vinto una sola gara di Premier lontano da Liverpool, per di più lo scorso 28 agosto, e vengono da quattro sconfitte esterne consecutive (con 12 gol subiti). Il punto è che le cose vanno piuttosto male anche in casa: al di là della vittoria sul Leeds, l’Everton ha affrontato il Brighton, l’Aston Villa e il Manchester City nell’anno solare 2022. E ha perso tutte e tre le gare.

Nei resoconti giornalistici e nelle analisi che riguardano il calcio inglese, una delle suggestioni più comuni e ricorrenti è quella che riguarda le squadre too good to go down, vale a dire le big – vere o anche solo presunte – che si ritrovano invischiate nella lotta retrocessione nonostante i valori della loro rosa. Alcune riescono a salvarsi, altre no: l’esempio numero uno è sempre quello del mitico Newcastle 2009, caduto in Championship nonostante una rosa composta da giocatori come Mchael Owen, Fabricio Coloccini, Jonás Gutiérrez, Kevin Nolan, Damien Duff, Oba-Oba Martins. Secondo il Telegraph l’Everton «non appartiene a questo gruppo», perché «non c’è nulla di scioccante o addirittura sorprendente in questi giorni così bui. All’Everton chiunque manifesta un un fatalismo che anticipa la resa prima di ogni trasferta». Poi c’è anche la questione tattica: Lampard viene accusato di schierare una squadra troppo offensiva e quindi poco pragmatica, non in linea con le necessità di chi dovrebbe fare punti per sopravvivere. Anche eri sera, a White Hart Lane, il 4-2-3-1 disegnato da Lampard (con Allan e Van de Beek davanti alla difesa, Doucouré, Gordon e Richarlison dietro Calvert-Lewin) è apparso lungo e scollegato, così ha portato un pressing disordinato e facile da superare – soprattutto per una squadra dai meccanismi fin troppo marcati come quella di Conte.

È evidente che i giocatori, gli allenatori, tutti i componenti dell’area tecnica dell’Everton stiano risentendo delle fallimentari scelte della proprietà. Sembrava che l’arrivo di Ancelotti e tutta una serie di interessanti progetti economici – sublimati nella costruzione del nuovo stadio – avessero dato una nuova stabilità al presidente Moshiri e ai suoi dirigenti. Solo che poi il tecnico italiano è stato richiamato dal Real Madrid, e quindi il presente e il futuro sportivo dei Toffees sono stati completamente stravolti. La scelta di assumere Benítez, un idolo assoluto per i tifosi del Liverpool, è stata frettolosa, sfortunata, non accompagnata dai giusti supporti sul mercato. Moshiri ha provato a invertire la rotta a gennaio, con gli arrivi di Mykolenko, Patterson, El Ghazi e soprattutto di Dele Alli e Van de Beek, epurati di lusso al Chelsea e al Manchester United. In realtà i due grandi colpi sono stat conclusi e ufficializzati quando Benítez era già stato esonerato, anzi i giornali hanno scritto che Lampard è stato un fattore decisivo perché entrambi accettassero di trasferirsi in prestito all’Everton. Finora, però, il loro contributo è stato impalpabile. Anche perché in realtà i problemi dei Toffees sono strutturali, non certo risolvibili facilmente e/o nel breve periodo.

Lo stesso Lampard sa che le cose potrebbero addirittura peggiorare: dopo la sconfitta contro il Tottenham, ha detto che «non vincere le prossime due partite in casa ci metterebbe in grossi guai». In effetti la sfida contro il Wolverhampton e soprattutto quella col Newcastle (che nel frattempo è riuscito a staccarsi un po’ dalle sabbie mobili del fondo classifica) diranno tanto, se non tutto, sul futuro dell’Everton. Poi ci sarà anche la gara in casa del Crystal Palace, che permetterebbe a Lampard di accedere alle semifinali di FA Cup. Ma i veri problemi, ora, riguardano il campionato: un’eventuale – ma a questo punto possibile – retrocessione potrebbe avere effetti catastrofici su un club che da tempo era alla ricerca di un salto di qualità, e invece ora deve necessariamente guardare alle spalle, come nei peggiori incubi. E che sta vivendo anche un contraccolpo forte dopo l’invasione della Russia: uno dei soci più importanti di Moshiri era – ed è – l’oligarca Alisher Usmanov, sanzionato dall’Unione Europea e dagli Stati Uniti. La società USM Holdings di Usmanov ha stipulato un contratto di sponsorizzazione quinquennale del centro di allenamento che vale circa 12 milioni di sterline all’anno; nel 2017, inoltre, ha versato oltre 30 milioni di sterline per una prima opzione sui diritti di denominazione relativi al nuovo stadio dell’Everton. Ora che i rapporti con Usmanov e tutte le sue aziende sono stati ufficialmente interrotti, cadere in Championship potrebbe dare il colpo di grazia anche al bilancio.