Il Barcellona e Spotify stanno facendo una rivoluzione

La nuova partnership tra il club azulgrana e la piattaforma di streaming è molto oltre l'idea della sponsorizzazione classica. E infatti potrebbe riscrivere il rapporto tra calcio, musica ed eventi.

A settembre Gerard Piqué potrebbe entrare in campo con il nome della madre dei suoi figli, Shakira, stampato sul petto. O magari con il suo logo tondo e affilato appiccicato sui sacri colori azulgrana. Non si tratterebbe di una delle tante sottomaglie realizzate per esultare dopo un gol, o per allontanare le voci che ogni tanto ritornano su una loro presunta separazione: questo crossover si deve all’accordo firmato dal Barcellona con Spotify, a una nuova sponsorizzazione multimilionaria (ovviamente) da cui entrambe le società hanno da guadagnarci (altrettanto ovviamente) e che potrebbe farci vedere qualcosa di nuovo nel legame tra industria calcistica e musicale. La partnership è destinata a legare i due brand in maniera molto profonda: il logo di Spotify apparirà sulle maglie delle squadre maschili e femminili e dei kit d’allenamento del Barça a partire dall’annata 2022-2023; il marchio delle ondine sonore in verde troneggerà anche al Camp Nou, dal momento che Spotify ha acquistato anche i naming rights dello stadio. Insomma, lo storico impianto casalingo del Barça si chiamerà – senza troppa fantasia – Spotify Camp Nou.

L’accordo tra le due società apre scenari molto interessanti dal punto di vista della creazione dei contenuti e lascia anche immaginare prospettive interessanti per potenziali nuovi accordi tra piattaforme come Spotify e grandi club come il Barça. Ma prima di tutto, com’è normale che sia, si tratta di una questione di soldi, della volontà di potenza di due colossi dei rispettivi settori che provano ad arricchire un po’ di più il loro business. Per il Barcellona i criteri di necessità e urgenza sono noti: il club azulgrana ha bisogno di nuove entrate, deve rimpolpare il bilancio e risolvere dei problemi finanziari mostruosi – infatti i debiti arrivano al miliardo di euro e anche di più, il monte ingaggi è fuori dai parametri della Liga, senza contare le altre difficoltà che periodicamente emergono tra le cronache sportive. I circa 65 milioni di euro che Spotify ogni anno, per quattro anni, fanno dunque parecchio comodo. Certo, siamo esattamente dall’altro lato della barricata rispetto alla storia del Barça e al primo mandato presidenziale di Joan Laporta, quando solo la purezza della scritta Unicef poteva avere l’onore di stare sulla maglia blaugrana. Nel 2022 le esigenze sono un po’ diverse, i contesti sono cambiati e non c’erano molte alternative per garantire la competitività della squadra ad alti livelli, in Spagna e in Europa. I tifosi culé più romantici o più integralisti capiranno. E, se non capiranno, dovranno farsene una ragione.

Da parte sua, anche Spotify aveva un po’ di problemi da risolvere. Negli ultimi mesi si è parlato moltissimo delle critiche legate al podcast di Joe Rogan, uno dei più seguiti sulla piattaforma, accusato di diffondere fake news, argomentazioni No Vax e altri complottismi di vario genere. Ci sono anche diversi artisti che hanno criticato l’azienda nata in Svezia nel 2006 per i compensi, troppo bassi, riconosciuti a cantanti e musicisti. E che ora, ovviamente, non saranno felici di sapere che Spotify darà ogni anni 65 milioni al Barcellona. Insomma, l’azienda svedese deve far passare in secondo piano le notizie sui suoi problemi e mettere in luce la nuova partnership con uno dei club sportivi più famosi del mondo. È quello che ha detto anche Alex Norström, Chief Premium Business Officer di Spotify, presentando il nuovo accordo: «Ci sono pochi partner che possono aiutarci a far crescere il marchio Spotify: il Barcellona ha tifosi ovunque, dalla Spagna a Mumbai, da Jakarta a Rio de Janeiro, è davvero un’opportunità unica».

Avere a disposizione la platea globale dei tifosi azulgrana è un vantaggio competitivo enorme per Spotify rispetto ai competitor. Ma il Barcellona è un club in difficoltà anche perché non sempre ha fatto le cose per bene negli ultimi anni: il quotidiano catalano Sport ha rivelato un dettaglio di colore su questa notizia che in realtà potrebbe essere l’ennesimo capitolo di una cattiva conduzione del business da parte della dirigenza catalana. Quando Spotify si è seduto al tavolo con il Barça, ha chiesto prima di tutto di conoscere il database del club: voleva sapere quanti, sui 350 milioni di follower connessi ai profili del Barcellona, avessero dato il proprio consenso a condividere i dati personali. «Con sorpresa dei dirigenti di Spotify, meno dell’1% è realmente “controllato”, cioè meno di tre milioni. Forse economicamente il club starebbe meglio se avesse accesso, giusto per fare esempio, i dati di 200 milioni dei suoi follower».

Ora veniamo alla parte più intrigante di questo nuovo accordo, che certamente non è la trasmissione di denaro da una società a un’altra. In questa joint venture si intrecciano un club gigantesco per storia, seguito, immagine e identità, e uno dei più importanti servizi in streaming on demand destinati agli utenti che ascoltano musica e podcast. Sul lato “artistico”, quello relativo alla creazione di contenuti, questa nuova partnership lascia intuire un potenziale innovativo enorme, basta guardare l’immagine diffusa dal Barcellona sui suoi profili social – si vedono Alexia Putellas, Piqué, Pedri in compagnia di superstar della musica come Justin Bieber, Shakira, The Weeknd.


Le partnership dell’industria musicale con quella calcistica raramente sono andate oltre dei rapporti piuttoso superficiali: Spotify aveva già investito nel Borussia Mönchengladbach in passato; Deezer aveva stretto accordi con Manchester United e St. Pauli; il Bayern Monaco ha avviato una collaborazione con Apple Music a gennaio 2016. Ma nessuna di queste sembra diversa o notevole per qualcosa in particolare. Il nuovo legame tra Spotify e il Barça può invece esplorare in maniera più approfondita il coinvolgimento di tutte le parti in causa, tifosi compresi. Si può immaginare ad esempio di legare show e partite, quindi mettere insieme l’evento sportivo con le performance live di artisti e creator, musicisti, ma anche podcaster: sarebbe un passo in più verso la “eventizzazione” del calcio, sulla scia di quanto accade da anni negli Stati Uniti, dove lo sport è un business difficile ma funzionante. E che di certo non produce i buchi neri finanziari che si vedono nel calcio europeo.

C’è poi l’aspetto legato alla creazione di contenuti d’intrattenimento targati Barcellona. «Immagino prodotti leggermente diversi dai contenuti di Netflix o Amazon», spiega a Undici Sam Carp, di SportPro, media company attenta alle dinamiche di business dello sport. «Il Barcellona ha già i suoi Barça Studios, ha la Barça Tv ed è pronto per una produzione di contenuti di ogni tipo: con Spotify nasceranno molto probabilmente nuovi podcast con protagonisti i calciatori, ma anche lo staff e i dirigenti del club. E magari ci saranno contenuti musicali a cui gli artisti lavoreranno al fianco dei giocatori». Due settimane fa scrivevamo che i podcast condotti dagli atleti hanno successo perché c’è un pubblico che vuole sapere come sono e cosa fanno i loro idoli fuori dal campo: in questo senso, il Barcellona sa di poter lavorare sul potenziale di una rosa da 25 giocatori conosciuti – chi più, chi meno – in tutto il mondo. Non sappiamo ancora cosa conterranno i contenuti legati a questa nuova partnership, ma è difficile pensare che si possa limitare a un logo stampato su una camiseta. Per quanto l’idea di Piqué che gioca con indosso il volto o il nome di Shakira resti piuttosto suggestiva.

Il punto è che siamo entrati in una nuova era. E già da molto tempo. Il Barcellona, per esempio, possiede da anni la sua media house, cioè un quartier generale in cui creare i contenuti giusti per raggiungere il suo pubblico e rendere visibile il brand in tutto il mondo (con contenuti in diverse lingue). In Italia progetti di questo tipo li hanno già avviati Roma, Inter e Milan, e in generale tutti i grandi club hanno iniziato a realizzare in casa dei materiali multimediali di altissimo livello. Un po’ di tempo fa. il responsabile delle strategie digitali del Real Madrid – Rafael de los Santos – aveva detto che «sebbene siamo una squadra di calcio e dedichiamo la nostra attività a questo sport, in realtà siamo una società che produce contenuti. Per queesto credo che la nostra grande sfida sia diventarne i produttori». I grandi club sono brand con un’identità e un’immagine ben definita, riconoscibile, e il modo in cui si raccontano e comunicano con il pubblico – non solo i tifosi che vanno allo stadio – è sempre più centrale nelle strategie di ogni dirigenza. Insomma: il Barcellona, come l’Inter e il Milan e tutte le altre, non può esistere solo in campo. Deve esistere sui social, nei documentari, nelle serie tv. E adesso anche su Spotify.