L’Italia tra la fatica e la voglia di ripartire, ancora una volta

La vittoria in Turchia, firmata da Raspadori e Cristante, non è stata inutile: ha detto cosa è mancato nella corsa ai Mondiali e cosa serve per ricominciare dopo il fallimento.

Le amichevoli per Nazionali piazzate nel bel mezzo della stagione dei club sono normalmente salutate con un entusiasmo sotto zero. Turchia-Italia è un caso particolare, estremo, perché era attesa con fastidio e umiliazione. Il problema, ovviamente, è stato il timing: la partita si è dovuta – mai come in questo caso ha senso usare il verbo dovere come ausiliare – giocare a pochi giorni da un’eliminazione cocente, dura da digerire, soprattutto per chi è inciampato nella Macedonia del Nord. Nonostante tutto questo, Turchia-Italia 2-3 ha trasmesso dei messaggi, ha avuto un significato, ha mostrato qualcosa. Primo segnale: alcuni giocatori di questa Nazionale, primo tra tutti Gigio Donnarumma, giocano ancora con una scimmia, anzi con uno scimpanzé, o un gorilla, sulla spalla. Lo si è percepito nei primi minuti di gioco, pregni di paura e di rimpianti, ben al di là di un pallone passato tra le gambe del portiere del Psg, appostato in maniera – a dir poco – maldestra sul suo palo. Era come se l’Italia fosse ancora prigioniera di quel blocco tecnico e tattico – diventato nel frattempo emotivo – che l’ha attanagliata fin da settembre 2021, dal pareggio interno con la Bulgaria, e che poi ha pregiudicato le partite successive contro Svizzera, di nuovo Svizzera, Irlanda del Nord e infine Macedonia.

Poi, a un certo punto, è come se fosse tornata l’energia elettrica dopo un blackout generale e allora il modem, la tv, le finestre delle case in piazza hanno ripreso luce e vita in maniera sequenziale: l’Italia ha ricominciato a giocare un calcio moderno, efficace e anche piacevole, ha trovato un gol su calcio piazzato – con Cristante – e quattro minuti dopo era già sul 2-1. Merito di Raspadori, ma non solo: l’attaccante del Sassuolo è stato bravissimo e furbo ad aggirare il suo marcatore dopo che Tonali, rimasto alto, ha intercettato un rilancio a dir poco approssimativo del portiere della Turchia. Ecco il secondo segnale: nell’azione dell’1-2 si sono manifestate tante cose che sono mancate all’Italia nella partita contro la Macedonia, e forse anche in quelle precedenti. Raspadori e Tonali non in quanto Raspadori e Tonali, ma in quanto calciatori fisicamente e mentalmente freschi, veloci e spensierati, senza primati sulla spalla, forse non ancora forti come i titolari ma potenzialmente in grado di fare bene in partite del genere. Da qui discende anche il terzo segnale: Tonali è rimasto alto e così ha sfruttato l’errore del portiere turco, ripristinando l’essenza del gioco di Mancini. Non che l’Italia non abbia provato a stare alta quando ha affrontato Bulgaria, Svizzera, Irlanda del Nord e Macedonia, il punto è che ci ha provato e non ci è riuscita. Perché, e qui si torna al concetto precedente, chi è andato in campo ha dimostrato di non essere più in grado di far girare un sistema del genere. In questo senso, due soli gol – di cui appena uno su azione manovrata – realizzati nelle ultime cinque partite di qualificazione ai Mondiali, playoff compreso, sono un dato eloquente.

Quanto ha pesato in tutto questo la riconoscenza verso i campioni d’Europa? Tanto, inutile nasconderlo. A Palermo, sei giorni fa, sono andati in campo dall’inizio sette giocatori che erano titolari nella finale di Wembley (Donnarumma, Émerson, Barella, Jorginho, Verratti, Insigne, Immobile), più altri due che sono entrati nel corso della gara contro l’Inghilterra (Florenzi e Berardi). Gli unici due nuovi innesti, Mancini e Bastoni, erano i sostituti degli infortunati Bonucci e Chiellini. Con i risultati alla mano e le prestazioni negli occhi, si può dire che sia stato un errore. Non tanto perché la riconoscenza sia un sentimento di per sé sbagliato e quindi da condannare, ma perché il calcio va velocissimo e la Nazionale post-Europei aveva già mostrato di aver smarrito la serenità, la strada giusta. In questo discorso vanno considerate anche le assenze di Chiesa e Spinazzola, due elementi fondamentali perché il gioco dell’Italia risulti meno prevedibile negli ultimi metri, laddove gli Azzurri hanno manifestato le difficoltà più evidenti. Mancini, in pratica, ha deciso di non cambiare una squadra che non solo non riusciva, ma non poteva nemmeno essere uguale alla miglior versione di sé. Tutti abbiamo avuto la sensazione che la Nazionale fosse in fase di stasi, di stagnazione. Così come tutti abbiamo notato che il ct ha fatto poco, pochissimo, per invertire la tendenza.

Per Bryan Cristante, quello contro la Turchia è stato il secondo gol in 23 gare con la maglia della Nazionale: aveva già segnato nel 6-0 con cui gli Azzurri batterono la Moldavia in amichevole, a novembre 2020 (Ozan Kose/AFP via Getty Images)

Turchia-Italia 2-3 ha avuto e potrà avere delle ripercussioni sul futuro proprio perché ha riaperto un capitolo che Mancini aveva dichiarato chiuso in maniera frettolosa: quello degli esperimenti. Raspadori accanto a Scamacca e Zaniolo in un tridente asimmetrico; Tonali e Pessina mezzali a centrocampo davanti a un pivote come Cristante, decisamente più pratico rispetto a Jorginho; Biraghi nello slot di terzino sinistro; Zaccagni e Sensi in campo nella ripresa a offrire variazioni significative del 4-3-3. Ecco, magari queste soluzioni non hanno dato risposte convincenti nell’amichevole di Konya, non tutte almeno; di questi giocatori, solo alcuni potranno essere riproposti e quindi dovranno integrarsi ai sopravvissuti del ciclo precedente (Donnarumma? Di Lorenzo? Verratti? Jorginho? Barella? Chiesa?), mentre altri sono destinati a rimanere delle alternative.

Ma il punto è proprio questo: se i calciatori non vengono mandati in campo, se non gli viene data fiducia, non sapremo mai quali sono le loro vere qualità, i loro veri limiti. In Turchia è bastato un episodio favorevole perché Raspadori stappasse la partita con una doppietta, la seconda per un giocatore del Sassuolo in Nazionale dopo quella di Locatelli agli Europei. Magari questo non è l’inizio di una carriera internazionale come quella di Karim Benzema o anche di Timo Werner, ma Raspadori ha dimostrato che poteva e può essere una risorsa per la Nazionale italiana. Scamacca, Zaniolo, Tonali, Bastoni, Kean avrebbero dovuto avere e/o dovranno avere la stessa occasione, esattamente come l’hanno avuta Barella e Jorginho quando è arrivato Mancini. L’Italia e il suo commissario tecnico devono ripartire da questi giocatori e da questa idea di rivoluzione perpetua, dopotutto è così che hanno vinto gli Europei. Magari non rivinceranno in Germania nel 2024 e non riusciranno a qualificarsi per i Mondiali 2026, magari perderanno di nuovo contro la Macedonia del Nord – questa, tra tutte, è l’ipotesi più inverosimile. Ma almeno non avranno dato la sensazione di essere rimasti fermi, ad aspettare il ritorno di un passato irripetibile, anche se così vicino nel tempo.