Karim Benzema, predatore del gol

L'ossessione realizzativa del centravanti del Real Madrid lo rende letale in ogni situazione, ma non pregiudica l'accecante qualità del suo calcio.

La cultura cabila (i.e. dei cabili, popolo berbero dell’Algeria settentrionale) gode di una ricca tradizione orale di favole e racconti – in francese, i contes – che vengono tramandati di generazione in generazione. Hamid Benzema, che è originario di Tigzirt, piccola città costiera che si affaccia sul Mediterraneo, è cresciuto ascoltando quelle storie, prima di emigrare a Bron, nella periferia a est di Lione. Lì, in qualche sbiadita notte di trent’anni fa, quelle stesse storie deve averle raccontate al piccolo Karim che, abbozzolato nel letto, lottava contro il sonno per scoprire il finale. Avrà allora conosciuto, Karim, le avventure di M’Hend lo sciacallo, uno dei personaggi più ricorrenti nelle favole cabile: solitario, famelico e dotato di grande astuzia, è spesso ritratto nel tentativo di sopraffare gli altri animali, con esiti alterni. In uno di questi racconti, il giovane sciacallo viene trovato, disperso e affamato, da un vecchio pastore. Questi lo cresce e lo alleva come un animale domestico fino a che, un giorno, lo sciacallo si ritrova da solo a sorvegliare la casa: l’assenza del padrone risveglia in lui i vecchi istinti selvaggi e lo porta a sbranare tutte le galline del pollaio, per poi disperdersi e ritornare allo stato brado. È una favola cruenta, ma dalla morale molto chiara: è impossibile per un uomo sfuggire alla propria natura, che prima o poi prenderà il sopravvento, proprio come per uno sciacallo diventare un guardiano di galline.

Chissà se Karim, diventato ormai adulto, si sia mai chiesto quale sia la sua natura. E, qualora lo abbia fatto mercoledì scorso, chissà se ha notato qualche analogia con lo sciacallo, dopo aver sbranato l’ennesimo portiere come una gallina. Lo sciacallo non è un animale nobile, una delle sue caratteristiche principali è quella di cibarsi di carogne, e per questo nel gergo comune così è chiamato chi si approfitta delle disgrazie altrui: secondo questa chiave di lettura si può interpretare, a prima vista, il terzo gol di Benzema in Chelsea-Real Madrid, con il francese che sfrutta l’erroraccio di Edouard Mendy – con la complicità di Rüdiger – per concludere a porta vuota la più facile delle marcature.

Tuttavia, lo sciacallo resta pur sempre un predatore e, in quanto tale, è guidato da un fiuto primordiale, sente l’odore della preda ancora prima di vederla, la sorprende nel momento propizio con un tempismo che non è dato dal calcolo, ma dall’istinto. Allo stesso modo, Benzema quel gol l’ha fiutato molto prima che in noi si manifestasse anche solo remotamente l’ipotesi che si potesse realizzare. Ce ne accorgiamo solo ex-post, riguardando l’azione con gli occhi di chi si è fatto sfuggire i dettagli rivelatori: la corsa forsennata, che parte dalla propria trequarti all’inseguimento di un pallone a prima vista irraggiungibile, l’accelerazione dopo il secondo rimbalzo, solo inizialmente innocuo, ma un istante dopo ambiguo e beffardo, lo sradicamento della sfera su cui si avventa con il corpo già preparato a spazzare via quello di Rüdiger. Questo gol completa la sua tripletta a Stamford Bridge: per bellezza e spettacolarità non ha nulla a che vedere con i due splendidi – e difficilissimi – gol che l’hanno preceduto, ma Benzema dice nell’intervista post-gara che è il più importante dei tre.

Prima del gol da sciacallo, ovviamente, ci sono anche i due meravigliosi colpi di testa che hanno indirizzato la partita

La cosa più sorprendente di tutte è che la stessa scena l’avevamo vista poche settimane prima, durante il match di ritorno degli ottavi di finale di Champions League. Quella notte, al Santiago Bernabéu, l’azione era stata ancora più cruenta, se possibile: la rincorsa al portiere che s’intensifica proprio dove gli altri di solito abbandonano, l’assalto furioso a Donnarumma, il tiro sparato e l’esultanza rabbiosa, con i pugni agitati al vento e la bocca spalancata in un grido risoluto.

È solo un caso? Eppure, se guardassimo indietro, ci accorgeremmo presto che i due gol raccontati finora non sono episodi isolati, ma vanno a confluire nella categoria dei gol che a questo punto chiameremo dello sciacallo, una cartella già esistente nel desktop di Karim Benzema. In maniera ancora più strabiliante, noteremmo che questi gol sono avvenuti tutti nella fase finale di Champions League, tutti in gare dal peso specifico enorme. Per esempio, nella finale del 2018, la partita che condannò Loris Karius alla damnatio memoriae. Nell’istante appena prima del patatrac, Benzema si appresta a risalire blandamente verso il centro del campo ma poi ha un sussulto improvviso, si volta di scatto: ha appena sentito l’odore del passaggio del portiere, ne ha anticipato lo spostamento d’aria. A quel punto basta solo metterci la gamba. Ed è gol.

La faccenda diventa ancora più spiazzante se si pensa a quel che era successo nel turno precedente, nella semifinale di ritorno Real Madrid-Bayern Monaco: qui la dinamica è ancora più insondabile, impossibile da spiegare senza chiamare in causa l’operato di forze magiche e sovrannaturali. Su un debole retropassaggio di Tolisso, Benzema insegue la palla diretta a Ulreich, portiere dei bavaresi, che esce per rinviare. Al replay si può vedere come gli sguardi dei due si incrocino per un istante: è lì che succede l’inspiegabile. Il corpo di Ulreich sembra diventare improvvisamente trasparente, la palla gli scorre tra le gambe ma è come se gli passasse attraverso, diventando facile preda di Benzema. Il video che raccoglie tutto i gol dello sciacallo – tranne l’ultimo contro il Chelsea – parla di magical spells; di sicuro, se un evento ripetuto più volte nel tempo non può essere considerato una coincidenza, è chiaro che non possiamo guardare a Benzema come mero approfittatore delle disgrazie dei portieri avversari, bensì come responsabile.

L’idea di mettere le facce dei portieri fregati da Benzema come copertina del video è abbastanza sadica

Il fatto è che, arrivato ai pressi della porta, al francese sembra appartenere una brama ancestrale, una fame selvaggia di gol talmente potente da emettere influssi maligni e fatali per i portieri, che per loro sfortuna non hanno ancora scoperto nessun rito apotropaico. Nel tentativo di dare una spiegazione più terrena, Jonathan Liew del The Guardian attribuisce all’origine di questo tipo di gol «la fame di Benzema nel dare la caccia a una causa persa», quella che lo ha portato dalle banlieues di Lione ai vertici del calcio mondiale, senza mai arrestare la corsa, fino a diventare uno degli attaccanti più forti del mondo. Si può forse parlare di riscatto sociale, ma non certo di rivalsa calcistica – come in molti fanno oggi per esaltare il suo exploit – perché i numeri Benzema li ha sempre fatti, al pari delle prestazioni. È vero però che il suo percorso, per quanto lineare possa sembrare giocando da tredici anni nella stessa squadra, ha viaggiato su binari differenti portandolo a cambiare varie facce e piegare diverse resistenze, provenienti anche dall’ambiente interno: il suo primo soprannome a Madrid, El Gato, gli era stato affibbiato in un’accezione non positiva, a seguito di una dichiarazione di Mourinho che si doleva dell’assenza dell’allora titolare Higuaín, costringendolo a schierare il francese: «Se non hai un cane per andare a caccia con te, e hai un gatto, devi uscire con un gatto. Prenderai di meno, ma prenderai qualcosa lo stesso».

Forse è in quel momento che Benzema ha rivelato per la prima volta a sé stesso la forza della sua determinazione, perché Mourinho poco dopo si è dovuto ricredere, e Higuaín si è seduto in panchina. Da lì, Benzema non ha più smesso di crescere: in questo senso, ci piace pensare che il periodo passato “all’ombra” di Cristiano Ronaldo non sia stato un sacrificio del suo talento ma, al contrario, sia servito a rifinirlo, quel talento, e fare di Benzema ciò che è ora: un giocatore pieno di sfaccettature, interminabili nuances, ed è per questo motivo che lo definiamo completo. Un attaccante, cioè, capace di far coesistere la brutalità della belva affamata di gol con la classe immacolata del genio, il predatore di portieri con lo splendido atleta che infila due gol con altrettanti colpi di testa splendidi, che segna in tutti i modi, che sembra danzare sul campo da calcio tanta è la sua grazie nei fondamentali.

Karim Benzema è il sacro e il profano che coesistono in maniera armoniosa, al punto che le tracce di brutalità in lui le troviamo nelle intenzioni, mai nel suo gioco. Guardiamo l’ennesimo gol dello sciacallo, realizzato in una remota partita di Champions League del 2010 contro l’Auxerre: Benzema è di nuovo lì, a intercettare furtivamente il passaggio del portiere; lo guarda; lo scavalca con un pallonetto morbido come le nuvole. Benzema, in breve, sarà sempre , perché quella è la sua natura: converrà allora sapere al prossimo portiere che se lo ritrova davanti, mentre è indeciso se spazzare in out o appoggiarla al difensore più vicino, che uno sciacallo non potrà mai essere un guardiano di galline.