L’Atalanta di Gasperini ha perso la magia?

Dopo anni meravigliosi, il ricambio generazionale non sta dando i frutti sperati, e ora anche la società si trova a un bivio. Si potrà ripartire?

Al termine della gara interna contro il Lipsia, quella che ha sancito l’eliminazione dell’Atalanta ai quarti di finale di Europa League, il saluto dei giocatori di Gasperini sotto la loro curva sembrava quasi un congedo. La chiusura di qualcosa. La fine di un percorso. Forse perché la squadra bergamasca ci ha abituato a un rendimento fuori scala rispetto alla sua storia e ai suoi standard, e allora perdere l’ultimo obiettivo rimasto vivo in questa stagione è un evento che ha un significato. Una cosa simbolica, più che effettiva: dopotutto il Lipsia è una squadra fortissima e i quarti di finale sono comunque un risultato quantomeno rispettabile. Però poi c’è da metabolizzare un ottavo posto in campionato – se confermato a fine anno sarebbe il peggior risultato da quando l’allenatore è Gasperini – e ci sono diverse criticità piuttosto evidenti: i veterani della rosa non rendono come in passato, alcuni fanno fatica a giocare con continuità, la squadra ha perso la capacità di dominare le partite, di imporre il proprio ritmo a diversi avversari. E anche il cambio al vertice della società sembra suggerire che l’anno prossimo qualcosa dovrà necessariamente cambiare per mantenere il rendimento degli ultimi campionati.

Molti giornali locali e nazionali, e molti tifosi con loro, si sono posti la stessa domanda: il ciclo di Gasperini all’Atalanta è finito giovedì sera? Il focus dell’attenzione è sull’allenatore, perché è lui, con il suo lavoro, l’artefice più immediatamente riconoscibile di un’epopea eccezionale, di questo passaggio straordinario della storia atalantina. Ci siamo abituati a pensare che, in un sistema di gioco codificato e rigido come quello impostato dal tecnico piemontese, gli interpreti contino relativamente poco: basta trovare giocatori in grado di eseguire lo spartito e reggere l’intensità, poi si procede con il pilota automatico. Invece nell’ultimo anno e mezzo qualcosa sembra essersi inceppato proprio a partire dalle assenze di alcuni uomini chiave. Gasperini ha dovuto fare a meno dei due giocatori più importanti e rappresentativi del suo ciclo, Alejandro Gómez e Josip Ilicic. Poi l’infortunio lungo di Zapata, i continui problemi fisici di Muriel e la cessione di Gosens hanno privato l’allenatore di una quota insostituibile di puro talento.

Spuntata in attacco e priva dei colpi estemporanei dei suoi migliori giocatori, la squadra di Gasperini si è rivelata più piatta di quanto potessimo immaginare nelle previsioni più negative. Lo si è visto anche nella partita di inizio aprile persa in casa contro il Napoli, una sconfitta arrivata al termine di una partita equilibrata, ma che alla fine – anche e soprattutto nel risultato – ha dimostrato come la struttura difensiva dei nerazzurri possa diventare insospettabilmente fragile, mentre in attacco le imprecisioni e l’assenza di giocatori con visione e qualità sopra la media finiscono per ingolfare anche le azioni più promettenti.

Il messaggio che arriva dalla stagione 2021/22 è che l’Atalanta stia vivendo una regressione tecnica legata soprattutto ai singoli, al loro valore. Che il secondo ricambio generazionale del ciclo gasperiniano – il primo è quello relativo alla successione di Conti, Kessie, Gagliardini, Petagna, Caldara, Cristante, Spinazzola – non è stato all’altezza delle nuove esigenze del club, per quanto riguarda classifica, continuità di rendimento e status meritatamente acquisito. Pessina e Malinovskyi, il frenetico Boga, lo stesso Mæhle, non sono riusciti a prendere il posto di Gómez, Ilicic, Gosens – figure più uniche che rare soprattutto nel panorama calcistico italiano, anzi è curioso che si siano trovati insieme nella stessa squadra. Il vuoto lasciato dal Papu, in particolare, sembra quasi incolmabile: nelle ultime stagioni nerazzurre il fantasista argentino era sempre più centrale – anche geograficamente – nel gioco disegnato dell’Atalanta, giocava due o tre o quattro ruoli nella stessa azione offensiva, connetteva tra loro i vari elementi dell’undici di Gasperini. È anche una questione di leadership in spogliatoio e in campo: l’argentino era una sorta di moltiplicatore della forza dei suoi compagni. La sua assenza, col tempo, ha reso ancora più evidenti i limiti di una rosa che, in quanto a puro valore tecnico, non aveva e non ha le risorse per stare al vertice della classifica con continuità.

La difficoltà nel cambiare i pezzi pregiati della squadra è il primo, vero grande rischio per una società che vive sul player trading per aggiornare e migliorare la sua formazione. In un contesto di calcio iper-codificato, sostituire un elemento con un altro non è mai un passaggio automatico, nemmeno per chi ha un settore scouting raffinato come l’Atalanta. A Bergamo il calciomercato è diventato negli ultimi anni la nuova fonte primaria per la costruzione della prima squadra: se prima si privilegiavano i giovani in uscita dalla Primavera – magari dopo un percorso di crescita in tutto il settore giovanile – oggi con Gasperini ci sono soprattutto atleti scovati, studiati e acquistati in ogni angolo del mercato calcistico mondiale. La nuova dimensione del club ha imposto un sistema di reclutamento globale, alla ricerca dei giocatori più adatti alle idee di Gasperini, in modo da farli rendere al meglio e rivenderli, sempre e comunque nell’ottica di una sostenibilità economica sul lungo periodo. In questa dinamica, però, basta davvero poco per avere un’annata storta: un acquisto sbagliato, così come un innesto che si rivela giusto con una sola stagione di ritardo, può inceppare il meccanismo. È capitato al Borussia Dortmund, al Porto, al Siviglia, club che rispetto all’Atalanta hanno una storia più radicata ad alti livelli. Quest’anno, per esempio, Lovato non ha trovato posto in prima squadra, e nessun esterno ha colmato davvero il vuoto di gol lasciato da Gosens, assente prima per infortunio e poi ceduto all’Inter; Musso non è stato tatticamente all’altezza dell’eredità di Gollini e già circolano voci su una sua possibile cessione. E in attacco Pessina, Malinovskyi, Miranchuk e Boga non hanno avuto un rendimento paragonabile a chi li ha preceduti.

Da quando è arrivato a Bergamo, nell’estate 2016, Gian Piero Gasperini ha accumulato 147 vittorie, 72 pareggi e 65 sconfitte in 284 gare di tutte le competizioni (Marco Luzzani/Getty Images)

C’è ancora spazio per un po’ di ottimismo in un’ottica di lungo periodo. L’identità radicata di questa squadra ha tutto ciò che occorre per sopravvivere a una stagione negativa. Su queste basi e questi principi l’Atalanta può ripartire, magari accettando un altro anno di transizione, per provare a ricostruire se stessa. Resta da capire le intenzioni della società. Perché la stagione dell’Atalanta sul campo non è scindibile dalla stagione dell’Atalanta fuori dal campo: a febbraio la famiglia Percassi ha venduto la maggioranza del club a una cordata americana, capeggiata da Stephen Pagliuca, tra i malumori degli azionisti minori, membri storici del cda. Se la nuova dirigenza dovesse decidere di puntare ancora su Gasperini, sulla sua idea, sul suo calcio, potrebbe trovare terreno fertile per altre stagioni vincenti (vincenti nella dimensione dell’Atalanta), a patto però di alimentare da subito questo filone con nuovi investimenti, perché la squadra ha bisogno di ritrovare vecchie certezze e nuovi stimoli.

Luca Percassi, ancora amministratore delegato del club, ha detto che il modello virtuoso della sostenibilità finanziaria del progetto rimane la stella polare anche con i  nuovi soci americani. E non potrebbe essere altrimenti. Ma la nuova dirigenza forse sta pensando di ripartire cambiando più che conservando. È già certo che lascerà il responsabile dell’area tecnica Giovanni Sartori, l’uomo che in questi anni ha costruito la squadra migliore possibile per le esigenze di Gasperini. Al suo posto ci sarà Lee Congerton, uomo mercato gallese che – da quel che si legge in orbita Atalanta – potrebbe essere affiancato dal direttore sportivo dell’Hellas Verona, Tony D’Amico, uno che ha aiutato a costruire le squadre che hanno lanciato le carriere in panchina di Ivan Juric o Igor Tudor. Non è un caso: sono i due nomi più probabili per la sostituzione di Gasperini, sono i suoi epigoni, è anche logico che le indiscrezioni parlino di loro. Quella di domani sarà – dovrà essere – un’Atalanta diversa dal passato,  almeno nei nomi. Ci sono tutti gli strumenti per tornare a fare meglio rispetto alla stagione che sta per finire. La parte più difficile sarà tornare a essere eccezionali anno dopo anno, come negli ultimi cinque.