Ricordate quando nel 2020 Musetti riuscì a battere Wawrinka a Roma? Era settembre, gli Internazionali erano sopravvissuti allo stop imposto dalla pandemia, Lorenzo aveva superato le qualificazioni battendo dei navigati terraioli, era già un’impresa essere là, ma lui sentiva di avere una connessione con Roma. Era sera, faceva freschetto, Musetti aveva il capello lungo, disordinato, un po’ come la città, e forse anche questo rese tutto perfetto. Ecco, quella volta si riaccese la passione dei romani per un azzurro. C’era il pubblico della sera, molto diverso da quello del giorno, quando il Foro italico brulica di famiglie, di tennisti amatori, di maestri dei circoli romani che girano in pantaloncini corti. Alla sera si sta larghi sugli spalti, presenziare è più una roba da passerella che da appassionati. La crema solare e i panini mangiati di corsa? Roba volgare, alla sera c’è il pubblico dei manager, chi stacca tardi da Flaminio o Prati e arriva con lo scooterone e lo smanicato imbottito d’ordinanza, ovviamente sopra la giacca.
Quella sera Musetti fu perfetto nel rinsaldare il legame con il pubblico, qualcosa che al Foro mancava da molti anni. Fognini uscì fra i fischi quella volta che nel 2014 perse contro Rosol; lui rispose con un gesto poco elegante. L’anno dopo si fece perdonare battendo Dimitrov al Pietrangeli. Fabio chiese esplicitamente di giocare in quella specie di Colosseo dei campi da tennis, forse anche lui voleva nutrirsi della forza di quella vicinanza. Lo accontentarono, perse al tie-break del terzo set contro Berdych. Ma quello tra Fabio e Roma è un amore mai sbocciato. Anche perché lui, nel 2019, scelse Monte Carlo per la sua vittoria della vita.
Quello era un periodo nel quale si percepiva l’ansia del pubblico di non avere più italiani da tifare quando i biglietti cominciano a costare cari. Si andava al Foro sperando che il nostro ce la facesse, e ogni volta usciva sempre l’elefante: la vittoria di Panatta nel 1976. A poco serviva virare sul torneo femminile, in cui Sara Errani perse la finale nel 2014 contro Serena Williams. Prima di lei solo Raffaella Reggi conquistò finale e titolo, ma era il 1985. E fu a Taranto, non a Roma.
Così quando arrivò Matteo Berrettini, fresco della semifinale del 2019 agli US Open che lo fece scoprire al mondo, c’era grande attesa. E poi Matteo era di Roma, anche se è della Fiorentina, una cosa che nella Capitale potrebbe bastare per tifargli contro. L’anno scorso cedette a Tsitsipas, non proprio l’ultimo arrivato sulla terra, mentre nel 2020 perse di poco contro Casper Ruud sul Pietrangeli. Quest’anno sarà il grande assente a causa di un’operazione alla mano. Purtroppo per lui, sembrava fosse già vecchio visto che Sinner si era già preso la scena. Due anni fa Jannik batté uno Tsitsipas piuttosto svogliato, ma tanto bastò al pubblico per sostenerlo, per convincersi di aver trovato finalmente quello giusto. Sinner perse subito dopo contro Dimitrov e i romani tornarono a dubitare, anche perché Jannik non sembra credibile quando chiede l’incoraggiamento del pubblico. Berrettini è romano ma non incarna le sembianze di chi è cresciuto nella Capitale – forse proprio per questo è arrivato fra i migliori del mondo, vai a sapere. Perciò a diventare un tutt’uno con il pubblico del Foro sono stati Sonego e Musetti.
Musetti si lascia amare per le sue imperfezioni, per un tennis imprevedibile che sorprende e confonde. E poi le chiacchiere, i sorrisi, sembra uno cresciuto nella Capitale, uno di quelli che incontri nel traffico, che va di fretta, ti suona col clacson, poi magari subito dopo si pente e ti sorride. Il torinese Sonego invece ha lo spirito del lottatore che non cede mai alle avversità. Forse ai romani piace proprio per questo: incarna ciò che vorrebbero essere. Proprio Sonego l’anno scorso arrivò in semifinale, una roba che non si vedeva da decenni nel torneo maschile. Troppo, ma non abbastanza. Così anche quest’anno si farà la solita intervista pre-torneo a Panatta, forse anche a Pietrangeli, sperando di perdere questa abitudine.