I proprietari del Newcastle hanno comprato Super Mario

Tra i 600 miliardi di investimenti del PIF, ora c'è anche il 5% della Nintendo.

L’acquisto del Newcastle finalizzato a ottobre 2021, una delle operazioni più grandi e controverse nella storia del calcio contemporaneo, era ed è solo una parte dei progetti a lungo termine del fondo PIF. L’obiettivo dell’Arabia Saudita, infatti, è quello di diversificare il più possibile i suoi investimenti, in modo da prepararsi a un futuro post-petrolio. E in questo senso, l’industria dei media e della produzione dei contenuti – un segmento a cui appartiene anche il calcio – è una strada da seguire, anzi da battere. Non a caso, l’ultima operazione riguarda uno dei colossi del settore: Nintendo, la casa di videogiochi giapponese che ha creato Super Mario, Donkey Kong e The Legend of Zelda e che ha rivoluzionato l’universo dell’entertainment.

Il fondo PIF ha acquistato il circa 6,5 milioni delle azioni di Nintendo, pari al 5% totale. Una cifra che potrebbe sembrare irrisoria, ma che è costata quasi tre miliardi di dollari. Nel commentare l’operazione finanziaria, Hideki Yasuda, analista senior di Toyo Securities, una società di investimento giapponese, ha rivelato la strategia saudita: «L’Arabia ha intensificato gli sforzi per creare la propria industria di contenuti, e questa serie di investimenti nelle società di giochi giapponesi è un modo per imparare dal Giappone, che in questo tipo di lavoro sono i migliori al mondo». La Nintendo infatti è solo uno degli investimenti arabi nel settore: il fondo saudita possiede infatti azioni in Capcom, la società dietro il franchise di Street Fighter, e Nexon, società giapponese di videogiochi online. E anche di Activision Blizzard, l’azienda produttrice di Call of Duty.

Il settore dei videogiochi è quindi una parte importante dei 600 miliardi di dollari di asset che il PIF possiede in tutto il mondo. Tra loro ci sono anche auto elettriche, società di vendita al dettaglio e resort lussuosi, oltre ovviamente al Newcastle, che è difficile non definire come un’operazione di “sportswashing”, ovvero il tentativo di migliorare l’immagine internazionale del Paese, distogliendo l’attenzione dalle sistematiche violazioni dei diritti umani in patria.