Magic Johnson e i Los Angeles Lakers, uno spettacolo che ha portato il basket nel futuro

La nuova serie Winning Time, ambientata nell'era dello Showtime, racconta il cambiamento di uno sport e una trasformazione culturale.

Dice Max Borenstein, co-creatore con Jim Hecht, scrittore e produttore esecutivo, che Winning Time – disponibile dal 2 giugno su Sky e NOW – non è solamente una serie sul basket. «Sapevamo fin dal primo momento di non potercelo permettere. Doveva essere qualcos’altro». E così la storia dei Lakers e della loro rinascita diventa una cornice e resta quasi in secondo piano; i protagonisti sono Jerry Buss e Magic Johnson e allo stesso tempo, come in un gioco di prestigio, non lo sono. Il tono del racconto è una via di mezzo tra tante cose: mockumentary, comedy e biopic. L’elemento più importante è il ritmo della narrazione. E ovunque, anche se ha diretto solo un episodio, si nota la firma di Adam McKay. Con la puntata pilota, vengono messe le basi per il resto della stagione. McKay è il playmaker, l’uomo-chiave. Il regista in campo e fuori dal campo. Usa la camera come un’estensione dei suoi occhi e della sua idea; zooma quando vuole zoomare, e sfrutta ogni cosa, anche le transizioni da una scena all’altra, per costruire l’anima della serie.

«Trovare il cast giusto», dice Borenstein, «è stato molto difficile. Winning Time racconta una storia vera, e ci sono dei volti estremamente riconoscibili. Ma essere somiglianti non è mai stato l’unico requisito; avevamo bisogno anche di attori capaci di muoversi e di stare in campo. In più, tutti dovevano avere un certo carisma». Il fascino del leader, la parlantina del politico e il sorriso del venditore. Il basket è come la vita, e cambia, muta, si trasforma. Non è mai uguale né prevedibile. Con il corpo puoi fare una finta, mentre con gli occhi corri già al canestro: ma devi essere bravo e saper giocare, a volte, non basta. «Abbiamo rispettato la memoria e la storia di tutti quelli coinvolti; o almeno, è quello che abbiamo cercato di fare», sottolinea lo sceneggiatore Rodney Barnes. «Winning Time, però, si concentra anche su altro: si concentra sul periodo storico e sui cambiamenti che la società stava attraversando».

Negli anni Ottanta, il basket è stato come un terremoto per il mondo dello spettacolo. Tutto, all’improvviso, ha assunto un ruolo e un peso completamente diversi. Una partita non era più solo una partita, e un tiro da tre punti non era più solo un tiro da tre punti: era una magia, un’affermazione, un gioco di ruoli e di intese, e una dimostrazione di talento e capacità. Per qualcuno, addirittura, si trattava di politica. «Winning Time prova a mostrare il preciso momento in cui il basket ha smesso di essere solamente uno sport e ha cominciato a influenzare la cultura americana diventando, di fatto, anche una forma di intrattenimento», dice Borenstein. «Ci troviamo a Los Angeles, a Hollywood: e non è un caso. Il protagonista è Magic Johnson, con il suo fascino e la sua presenza: e nemmeno questo è un caso. Quando abbiamo deciso di girare questa serie, abbiamo cercato un modo per mettere in risalto tutte queste caratteristiche».

E così, proprio nelle prime scene, il Jerry Buss interpretato da John C. Reilly ci apre la porta della sua casa, ci sorride, e ci racconta velocemente chi è, dove siamo e qual è il suo sogno. «Buss era un intrattenitore», ribadisce Barnes. «E non si limitava a parlare con le persone: le coinvolgeva in tutto quello che diceva, e le convinceva. Conosceva perfettamente l’importanza di questo gioco, e non sottovalutava né la sua posizione né quella del resto della squadra. Era una mosca bianca, un’eccezione: soprattutto rispetto agli altri proprietari». Perché, per lui, non era mai solo una questione di affari. Buss era un outsider: rumoroso, insistente e sicuro di sé stesso. Era affamato di vita e di piaceri. «Con questa serie», riprende Borenstein, «non vogliamo rivolgerci unicamente a un pubblico di appassionati; vogliamo parlare a tutti. Winning Time è come una finestra sul tempo, sul passato: e attraverso questa finestra, lo spettatore può sia seguire la storia dei giocatori sia vedere le trasformazioni della nostra cultura e della nostra società. Io sono cresciuto a Los Angeles e sono sempre stato un grande fan di basket. Uno dei miei primissimi ricordi è legato proprio a una partita di Magic Johnson. Volevo inserire la stessa passione e lo stesso calore della mia infanzia in questo racconto, e volevo andare anche oltre: aggiungere strati e strati di interpretazioni e di significati, individuare le sfumature e analizzarle».

Winning Time si sofferma sui dettagli: i vestiti, le auto, gli arredamenti; e poi la musica, i giornali, le televisioni e le acconciature. È una radiografia: da una parte quello che eravamo, dall’altra quello che siamo diventati. «I giocatori sono persone, e hanno emozioni, problemi e paure. Non puoi raccontare una partita senza raccontare anche questo: senza dare spazio alla fragilità». C’è bisogno di spessore, dice Barnes. «Abbiamo dovuto trovare un equilibrio. Non potevamo tradire la verità dell’epoca, con tutti i suoi estremi ed eccessi. Ma allo stesso tempo non potevamo nemmeno dimenticare la nostra cultura». La cronaca, insomma, non viene riscritta, ma leggermente ammorbidita. E tutto funziona.

Funziona per quello che viene detto e il modo in cui viene detto, e funziona anche per la confezione che il reparto della fotografia è riuscito a creare. «È merito di Todd Banhazl», dice Borenstein. «Ha trovato questa particolare estetica, e insieme ad Adam McKay ha sviluppato un modo per connettere immediatamente il pubblico con questo periodo storico. A un certo punto, ha trovato questa camera, la Ikegami, che si è rivelata essere semplicemente perfetta per evocare l’atmosfera degli anni Ottanta». I colori delle immagini sono accesi, caldi, saturi; le linee quasi sfuocate, spesse, mischiate dalla luce e dai neri. Si respira un’aria precisa.

Il trailer ufficiale della serie

Le riprese di Winning Time sono andate avanti per circa otto mesi. E in un certo senso, racconta John C. Reilly, è stato un bene perché «abbiamo avuto il lusso del tempo per poter entrare nella parte, imparare a conoscere questi personaggi e trovare la nostra dimensione». I Lakers, dice, hanno creato quella che oggi è la nostra idea di intrattenimento. «E lo so: suona come un’affermazione piuttosto esagerata, ma è esattamente quello che è successo». Per lui, Jerry Buss non è il villain, ma l’eroe. «Per quello che è riuscito a fare con la sua vita e con la sua carriera, e per quello che è stato in grado di realizzare. Ha influenzato il mondo. Certo, la sua vita non è stata un esempio di correttezza e rettitudine. Ma Jerry era un uomo del suo tempo. Quello che ha fatto è stato una diretta conseguenza di quello che ha vissuto».

Quincy Isaiah, che interpreta Magic Johnson, è l’altro grande pilastro di Winning Time: se Reilly è la voce, lui è il corpo. «Ho studiato, e ho letto, visto e ascoltato. Ho provato a capire Magic per arrivare all’essenza del suo carattere. E a quel punto ho cercato dei punti di contatto». Per un attore, continua, «questa è una grande occasione, perché puoi interpretare l’uomo prima ancora della leggenda. Però, se devo essere onesto, ho accettato questo ruolo principalmente perché avevo bisogno di un lavoro». «E lo stesso», si unisce Reilly, «vale per me. Ero in un momento particolare, di profonda crisi. Quando mi ha contattato Adam McKay non volevo nemmeno rispondere. Poi, per fortuna, mi sono deciso. E ora eccoci qua». A raccontare una storia che non sembra finire mai, a parlare di un gioco che non è solo un gioco e dell’impatto profondo che ha avuto sugli Stati Uniti e il mondo intero.