Piccole tragedie estive nei vecchi preliminari di Champions League

Gli incubi estivi dei tifosi di tutta Italia sono stati popolati dai giocatori dell'Helsinborgs e del Werder Brema, dal fantasma di O Mago Maicosuel.

Il 23 agosto 2000 è una delle giornate più calde di quell’estate milanese: la temperatura arriva fino a 34° e rende ingestibile un’attesa già difficile di suo. C’è da scommettere che due settimane prima a Helsingborg, città svedese separata dalla Danimarca da una striscia di mare di appena quattro chilometri, il clima fosse decisamente più fresco. Non abbastanza, tuttavia, da fare in modo che l’Inter non incappasse in una clamorosa sconfitta per 1-0 contro la squadra locale. Al ritorno, i fantasmi si fanno concreti: l’Inter è bloccata da un palo e una traversa, Recoba sbaglia un rigore. La partita finisce 0-0 e passa alla storia come uno dei peggiori incubi di fine estate dell’Inter e delle italiane in Europa. Oggi l’Helsingborgs è una neopromossa ed è all’ultimo posto in classifica dell’Allsvenskan, il massimo campionato svedese.

Il ricordo amarissimo di questo match si iscrive in una mitologia ormai sparita dall’immaginario degli italiani: quella dei preliminari estivi di Champions League. Un appuntamento immancabile per tutti quei vacanzieri che, sotto l’ombrellone, rifiutavano l’iperproduttività della Settimana Enigmistica che impone di non spegnere il cervello, che vi opponevano la leggerezza che non si prende troppo sul serio della Gazzetta dello Sport. Fino a qualche anno fa, infatti, superando le prime quindici pagine piene di notizie di calciomercato – più o meno fondate – dei quotidiani sportivi, arrivare a controllare i risultati dei preliminari voleva dire ricordarsi che il calcio continua a giocarsi su un prato verde, e non negli incontri tra le società e i procuratori. E tornare ad assaggiare calcio vero in un periodo dell’anno in cui persino le amichevoli tra la nostra squadra del cuore e improbabili selezioni di ex galeotti ora ai servizi sociali, diventavano motivo di interesse. Era anche un rituale che assumeva significati diversi. Permetteva, per esempio, a squadre spesso confinate all’anonimato (vedi, appunto, l’Helsingborgs) di finire sotto le luci della ribalta del calcio europeo. Da bambino, dopo aver ottenuto dei soldi da mio padre solo attraverso la promessa che li avrei spesi per la Gazzetta, filavo dritto a vedere i risultati dei primi turni preliminari. Scoprendo una precoce passione per la geografia, mi divertivo a indagare microscopici stati europei, imparando le loro bandiere e cercando la localizzazione precisa di città più che improbabili. A volte pensavo anche a cosa dovesse voler dire, essere un tifoso dello Skonto Riga, del Levadia Tallinn o dello Sheriff Tiraspol (prima che fosse mainstream): qual è il ruolo che ha il calcio nella vita di chi nel calcio conterà sempre poco o nulla.

Il motivo dell’affievolirsi di questo interesse è semplice: le riforme delle competizioni promosse dall’UEFA negli ultimi anni hanno fatto sì che alle squadre provenienti dai principali campionati europei fosse riservato l’accesso direttamente alla fase a gironi. Risparmiando loro, quindi, l’ingombro dei preliminari. L’ultima squadra italiana a giocare uno spareggio Champions è stato il Napoli, vincitrice con un 4-0 complessivo contro il Nizza nella stagione 2017/18. Questa nuova formula ha ovviamente favorito l’Italia, permettendoci di schierare ogni anno quattro squadre sicure ai gironi di Champions. Ma ci ha privato di un’epica alimentata da alcuni dei momenti più sportivamente drammatici del nostro calcio. I preliminari esistono ancora, ma sono un evento lontano da noi, in cui le piccole squadre si affrontano solo tra di loro, in pratica.

Chi avrebbe gradito l’entrata in vigore anticipata di questo nuovo format, per esempio, è l’Udinese dei primi anni Dieci. Nel 2010/11 una squadra trascinata da Di Natale e piena di giocatori che sarebbero diventati delle stelle di livello internazionale (Handanovic, Benatia, Cuadrado e Alexis Sánchez, tra gli altri) arriva quarta in campionato e accede ai preliminari di Champions. Dove però, orfana proprio di Alexis Sánchez volato a Barcellona, viene eliminata dall’Arsenal perdendo sia all’Emirates (1-0) che allo stadio Friuli (2-1). Ma il vero dramma si consuma l’anno dopo. In quella stagione iniziata con la sconfitta contro l’Arsenal, l’Udinese riesce a ripetersi. Anzi, si migliora: raggiunge un incredibile terzo posto in campionato. A quel tempo, dopo che la Serie A è stata superata nel ranking per campionati dalla Bundesliga, neanche il terzo posto garantisce l’accesso alla fase ai gironi, piuttosto condanna i bianconeri a giocare i preliminari.

Al ritorno dalle vacanze c’è il Braga: un accoppiamento teoricamente più benevolo rispetto a quello dell’estate 2011. In Portogallo finisce 1-1, con le reti di Basta e Ismaily. Lo stesso risultato si replica la settimana successiva, in Friuli: ad Armero (che per due volte solo davanti al portiere del Braga mancherà il raddoppio) risponde Ruben Micael. Si va ai rigori, e l’unico errore arriva da un giocatore arrivato in Italia proprio in quell’estate, dal Botafogo: Maicosuel, soprannominato O Mago. Quella sera, però, i poteri non funzionano: Maicosuel prova il cucchiaio, Beto non si muove e blocca, trasformando in realtà uno dei pensieri peggiori che possa passare nella mente di un rigorista. È la fine di un ciclo, non solo simbolicamente: quell’anno l’Udinese riesce nell’impresa di vincere 3-2 ad Anfield in Europa League, però viene eliminato ai gironi per la differenza reti. L’anno dopo, la fine di agosto è di nuovo amara: ai playoff di Europa League arriva una sorprendente eliminazione contro i cechi dello Slovan Liberec. L’ultimo sussulto europeo, prima di anni che vedranno la squadra friulana vegetare mestamente a metà classifica.

Udinese-Braga, la crudeltà è anche nella sintesi: si vedono solo due rigori, il cucchiaio sbagliato di Maicosuel e quello decisivo segnato dai portoghesi

E se si parla di simbologia e di epica tragica, l’esempio più valido è quello occorso alla Sampdoria nell’estate 2010. L’anno prima la premiata ditta Cassano-Pazzini ha vinto il testa a testa con il Palermo per l’ultimo posto Champions, diventando anche protagonista dell’ennesima tragedia senza senso della Roma e, di riflesso, del mio principale trauma sportivo. Il premio per quest’impresa è il Werder Brema. L’andata nella città dei musicanti dei fratelli Grimm è di quelle da dimenticare: solo al 90esimo, infatti, Giampaolo Pazzini segna il gol del definitivo 3-1 per i tedeschi che tiene in vita la Sampdoria di Di Carlo.  Al ritorno, a Genova, la sinfonia è diversa. Ancora Pazzini, in soli 13 minuti di gioco, segna i due gol che qualificherebbero i doriani; poi Cassano, all’85esimo, sembra mettere il punto esclamativo sul passaggio del turno. Al 93’, sulla palla dell’Ave Maria, Markus Rosemberg raccoglie il possesso, salta due uomini andando verso l’ala destra e lascia partire un diagonale rasoterra che batte Curci. In teoria si va ai supplementari, in realtà in quel momento per la Sampdoria si spegne una luce che non si riaccenderà più durante tutta la stagione.

Nell’extra-time Claudio Pizarro segna da fuori area il gol che porta il Werder Brema ai gironi, con i blucerchiati che sembrano spariti dal campo. Retrocessa in Europa League, anche lì la Samp uscirà subito ai gironi, perdendo contro squadre non irresistibili compagini come Metalist e Debrecen. Ma soprattutto, una stagione iniziata sotto una cattiva stella culminerà con una clamorosa retrocessione, quella del gol di Boselli al 97’ nel derby e del coro su Chevanton (“din don…”) che segna al Napoli, salva il Lecce e condanna i blucerchiati. Un epilogo che sa di monito: anche se il resto del mondo è in vacanza, è sempre meglio non sottovalutare agosto. A volte può essere davvero il mese più freddo dell’anno. Lo hanno sperimentato sulla propria pelle anche altre squadre: il Parma nel 1999 e nel 2001, il Chievo nel 2006, il Napoli nel 2014, la Lazio nel 2015 e la Roma nel 2016, tutte eliminate – come l’Inter, la Sampdoria e l’Udinese – quando era ancora piena estate, ancora prima che si approssimasse l’autunno.

Il secondo gol di Pazzini è di una bellezza stordente