Il sindacato mondiale dei calciatori ha indicato sette Paesi in cui non è consigliabile andare a giocare

In alcune nazioni, secondo FIFPro, le garanzie e le tutele contrattuali sarebbero davvero minime.

Secondo la narrazione comune del calciomercato, i calciatori individuano le proprie destinazioni in base alla quantità di soldi che gli viene offerta, alla consistenza del progetto tecnico, alla possibilità di esserne più o meno protagonisti. Insomma, hanno una scelta ampia e trasversale in cui i fattori geografici e logistici c’entrano poco, in base a gradimenti personali o culturali – in questo senso, per esempio, si pensi all’atteggiamento dei giocatori britannici, alla loro ritrosia storicamente verificata nel trasferirsi all’estero. Questa condizione appartiene sicuramente ai giocatori di primo livello, a quelli che – banalmente – possono davvero scegliersi una squadra. Per tutti gli altri, e sono molti di più, la situazione è decisamente più difficile: si tratta di trovare un ingaggio, di sopravvivere, per dirla brutalmente, e allora è inevitabile che lo sguardo finisca per andare verso Paesi in cui il calcio è meno sviluppato. Solo che in certi luoghi le garanzie possono cambiare, anzi cambiano, nel senso che sono decisamente minori. È per questo che FIFPro, il sindacato mondiale dei calciatori, ha stilato una blacklist di nazioni e/o campionati in cui i giocatori non dovrebbero trasferirsi, per evitare brutte sorprese.

L’avvertimento riguarda Algeria, Cina, Grecia (Super League 2), Libia, Romania, Arabia Saudita e Turchia, e le motivazioni sarebbero riconducibili a «violazioni contrattuali sistematiche e diffuse». Insomma, stipulare contratti con i club di questi Paesi si rivela quasi sempre una brutta idea, perché – per esempio – in Romania «l’inadempienza nel pagamento degli stipendi è un problema ricorrente e di vecchia data; inoltre, ci sono diversi club che avviano procedure che hanno gravi conseguenze per i giocatori, per esempio delle insolvenze senza fine con poche o nessuna possibilità di ottenere quanto dovuto, figuriamoci dei risarcimenti». Nella seconda divisione greca, invece, «i club falliscono spesso senza onorare i propri debiti. Negli ultimi due anni, la Grecia è stata il paese con il maggior numero di giocatori che cercano di ottenere parte dei loro stipendi non pagati dal Fondo per la protezione dei giocatori della FIFA».

Le stesse situazioni si ripetono anche in Algeria, Cina e Arabia Saudita, mentre in Libia la situazione è ancora più complessa: il problema principale è quello dei club che «tengono bloccati i giocatori nel Paese rifiutandosi di fornirgli la documentazione per potersi trasferire all’estero». Insomma, sono frequenti i casi di atleti diventati “prigionieri” delle loro scelta di trasferirsi in Libia, o comunque di accettare un’offerta da una società libica. Una condizione che, evidentemente, non riguarda i grandi giocatori, quasi come a voler evidenziare il gap di cui abbiamo parlato all’inizio, quello tra grandi giocatori e calciatori normali, un esercito di persone che ha bisogno di maggiori tutele professionali, è evidente.