Finché c’è Djokovic, non c’è partita

La settima vittoria dello Slam sull'erba è frutto della sua abitudine a certi palcoscenici, a un torneo che cambia ma resta sempre uguale a sé.

Ci si aspettavano i fuochi d’artificio dalla finale tra Novak Djokovic e Nick Kyrgios, alla fine è stata la solita finale Slam vinta dal tennista serbo, bravo e attento come nessuno a leggere e interpretare i momenti chiave della partita. Che non è mai stata seriamente in discussione, nemmeno quando Kyrgios ha vinto il primo set, e non possiamo dire che sia avvenuto a sorpresa. D’altronde per Djokovic era la finale Slam numero 32, una quota che gli ha permesso di superare Federer, a quota 31, con Nadal fermo a 30 finali major. Kyrgios ha dimostrato di aver meritato la finale, rimarrà quel grande punto interrogativo sulla semifinale mai giocata con Rafa, però per vincere uno Slam serve altro, e qui Djokovic ha ricordato a tutti perché è considerato il più forte tennista maschio di sempre.

Il match ha seguito un andamento prevedibile, con Kyrgios perfetto in battuta e Novak che è partito lentamente, come se fosse anestetizzato. Gli slow start tipici del serbo in questo torneo, due set di vantaggio a Sinner nei quarti e uno a Norrie in semifinale, lasciavano però tutti tranquilli. Per pareggiare il 6-4 iniziale di Kyrgios, a Djokovic è bastato alzare il livello di concentrazione, ridurre praticamente a zero i gratuiti e dominare i suoi game al servizio. Un break a zero e un po’ di aiuto della buona sorte sulla palla break gli bastavano per vincere il secondo set per 6-3 e pareggiare il conto facendo iniziare un’altra partita. Forse proprio alla fine del secondo set c’è stata l’unica vera possibilità per Kyrgios di evitare un destino già scritto. Sul 5-3 Djokovic serviva per il set, ma prima un doppio fallo, poi una palla corta che Kyrgios riusciva a trasformare in un gran punto e infine un sciocchezza lo portavano sullo 0-40. Qui si vedeva tutta la differenza tra chi è abituato, e ci tiene veramente a vincere un match, e chi invece non riesce a convincersi che sia l’unica cosa che conta davvero. Kyrgios giocava le tre palle break come se fossero punti qualsiasi e le falliva con una rapidità che tranquillizzava ulteriormente Djokovic. Aveva pure una quarta possibilità, Kyrgios, ma Djokovic mostrava quanto si debba stare attenti in questi momenti, salvandola con una intelligentissima palla corta.

Con l’inizio del terzo set si entrava dunque nella fase in cui Nick non riusciva più a fare ace con facilità, per riuscirci era costretto a indirizzare la palla in angoli irraggiungibili anche per Djokovic, una cosa proibitiva e sicuramente insostenibile nella lunga distanza. Oltretutto, Kyrgios iniziava i suoi dialoghi con arbitro e box, il tennista silenzioso del primo set e mezzo era scomparso. Iniziava a prendersela con l’arbitro, reo di non aver tenuto a freno qualche intemperanza del pubblico quando lui si preparava a servire, e prendeva il warning. In quel momento il match era perfettamente in parità, il punteggio era di 40-40 sul 2-2 del terzo set, ma nessuno avrebbe puntato soldi sulla vittoria di Kyrgios, quotato a 6 dai bookmakers di Londra alla vigilia della finale. L’australiano consumava altre energie mentali prendendosela con il suo angolo, colpevole di rilassarsi nei game in cui Nick era avanti 40-0 o 40-15. Nel più importante di questi, il nono, Nick riusciva a dilapidare un vantaggio di 40 a 0 finendo per cedere il turno di battuta, con Djokovic lesto a chiudere 6-4 e spegnere le ultime speranze per i tifosi di Kyrgios, che in quel momento individuava nel suo box la colpa di quel fallimento: “Perché fate così? Perché vi rilassate ogni volta che sono sul 40-0 o sul 40-15? Rispondetemi!”. Chiaramente Nick stava parlando a se stesso.

Il quarto set lo avevamo visto già varie volte nelle tante finali Slam vinte da Djokovic: un set che mantiene a lungo il punteggio in perfetta parità ma che è di fatto controllato dal tennista serbo. L’unico dubbio in genere riguarda il momento in cui arriva il break, o se ci sarà il rischio supplementare del tiebreak. In questo caso c’è stato il tiebreak, ma c’era anche l’ultimo assolo di Djokovic, o meglio l’ultima dimostrazione della desuetudine di Nick di giocare questi punti, così il serbo andava largamente avanti nel punteggio e chiudeva poco dopo tirando un bel sospiro di sollievo. Se ha mai dubitato di poter vincere ancora Slam, quel sospiro lo ha tranquillizzato. Dopo non aver potuto giocare in Australia e aver perso al Roland Garros, Wimbledon era infatti l’ultima occasione per Djokovic di vincere uno Slam nel 2022, stante il divieto di accesso negli USA per giocare gli US Open, preclusi ai non vaccinati. Kyrgios non è riuscito a diventare il primo maschio australiano a vincere uno Slam dal 2002, quando Lleyton Hewitt vinse proprio a Wimbledon. Djokovic invece ha vinto il suo settimo Wimbledon, il quarto consecutivo. Gliene manca solo uno per raggiungere Federer a quota otto.

Gli highlights della finale

Ma che torneo è stato oltre la finale? Si è trattato del solito Wimbledon, che ha incrementato il montepremi per far pensare meno i giocatori al fatto che non avrebbero gareggiato per i punti. Djokovic ha incassato due milioni di sterline, Kyrgios poco più della metà. Persi per strada Nadal e Berrettini, i più accreditati per arrivare fino in fondo, Wimbledon ha confermato la superiorità dei “cannibali” Slam quando affrontano avversari non pronti, proprio come al Roland Garros, dove Nadal aveva regolato Ruud in una finale senza sussulti. Nessuno degli altri tennisti avrebbe potuto competere con Djokovic, neanche il miglior Tsitsipas, battuto proprio da Kyrgios con pieno merito. L’australiano è arrivato anche con fortuna in finale. Meritava lui perché è stato il protagonista di questo torneo, in campo quanto fuori. Ha iniziato al primo turno salvando la palla che avrebbe mandato la wildcard inglese Jubb a servire per il match, si è poi scaldato nella partita far-west con Tsitsipas per poi regolare Nakashima negli ottavi e Garín nei quarti senza tanti problemi. Fuori dal campo, è stato strepitoso nelle riconciliazioni con Nadal («Spero di vederti presto in campo») e Djokovic («Andiamo al pub e sfondiamoci»), tutto rigorosamente affidato al verbo solenne del suo account Instagram.

Di Nick Kyrgios è anche la frase del torneo. Quando Djokovic, nel suo discorso durante la premiazione, gli ha detto che «questa finale ti renderà sicuramente affamato per raggiungerne altre», lui ha risposto: «Assolutamente no, sono troppo stanco». Il pubblico ha riso di gusto. Kyrgios infatti è un tennista che non vuole dedicare tutto se stesso al tennis, non vuole sprecare tutto il suo tempo a colpire palline, la famiglia ha un ruolo importante per lui e ha dichiarato di non voler viaggiare per più di 4 o 5 mesi l’anno. Adesso andrà a giocare negli USA e poi, dopo agosto, per rivederlo in campo dovremo aspettare la sua Australia nel gennaio 2023. Per noi in fondo può bastare così.

La vittoria di Wimbledon rilancia Djokovic nella rincorsa al record degli Slam, ma intanto lo fa sprofondare in classifica al numero 7, mettendo così a rischio la sua partecipazione alle ATP Finals. Salvo novità, non potrà giocare i Masters 1000 di Cincinnati e Montreal, potrebbe partecipare alle ATP Finals in quanto vincitore di uno Slam a patto di terminare la stagione in top 20, questo a meno che un altro tennista non vinca gli US Open per finire l’anno davanti a Djokovic nel ranking. Dovrebbe farcela. Se Novak riuscirà a qualificarsi per le ATP Finals di Torino potrà fregiarsi di aver compiuto un’altra grande impresa; se non dovesse farcela, probabilmente gli basterà questa iniezione di fiducia arrivata nel torneo che sognava di vincere da bambino, dove ancora una volta ha confermato di essere il migliore al mondo, ché i punti nel tennis non dicono sempre tutto.