Elena Linari, molto più di una calciatrice

Intervista alla giocatrice della Roma e della Nazionale.

Elena Linari è una delle giocatrici iconiche del movimento calcistico italiano, una di quelle che ha fatto molte cose prima che arrivassero a farle anche le altre colleghe. È stata una delle prime calciatrici italiane a migrare all’estero, prima all’Atlético Madrid e poi al Bordeaux, e quindi a essere di fatto una calciatrice professionista. È stata anche una delle prime calciatrici a usare la sua visibilità come cassa di risonanza per parlare di questioni solo apparentemente slegate dal calcio e che hanno fatto di lei una promotrice di questioni politiche e sociali importanti. In una intervista a Dribbling del 2019 ha parlato apertamente della sua omosessualità e di come fosse difficile confrontarsi su questi argomenti in Italia, fermo restando che la vita privata delle calciatrici non dovrebbe interessare a nessuno perché l’unica cosa che conta quando si indossa la maglia è la prestazione sportiva. Da questo punto di vista è inevitabile confrontarla a Megan Rapinoe o ad altre atlete molto vincenti che sono state capaci di mettere il loro enorme talento sportivo al servizio di questioni legate ai diritti civili e alla società in cui queste atlete sono calate.

Quando ci siamo incontrate a Firenze per questa intervista, Elena Linari aveva da poco giocato la finale di Coppa Italia andata per un soffio in casa Juventus, e aveva di fronte a sé alcuni giorni di riposo prima di raggiungere le sue compagne in raduno con la Nazionale ad Appiano Gentile. Quei giorni di vacanza li avrebbe trascorsi a Firenze, mi aveva detto, perché la sua ragazza non era riuscita a prendere le ferie e voleva trascorrere un po’ di tempo con lei prima di iniziare la lunga esperienza dell’Europeo inglese. È inutile nasconderlo, le aspettative questa volta sono molto alte, ma il gruppo è solido e unito e dove non arriverà il talento che magari hanno a disposizione le altre grandi formazioni del calcio europeo, arriverà il grande spirito di squadra che contraddistingue le Azzurre dal giorno uno.

Ⓤ: Come hai iniziato a giocare a calcio?

Ho iniziato a giocare quando avevo cinque anni. Mia madre andava allo stadio Franchi a vedere la Fiorentina quando era incinta e quindi credo che la mia affinità con questo sport sia nata ancor prima di me. Ho messo piede in campo per la prima volta per caso, in una squadra di maschi vicino a casa. Inizialmente però facevo anche nuoto e quindi per un po’ ho portato avanti questi due sport contemporaneamente fino a quando non è arrivato il momento di compiere una scelta. Fino a tredici anni ho giocato con i bambini e poi sono passata nel femminile. Quelli erano tempi in cui di calcio femminile non si sapeva praticamente niente e da lì ho iniziato nella ACF Firenze, l’antenata dell’attuale Fiorentina. Poi ho fatto tre anni al Brescia in cui ho vinto tanto, di nuovo Fiorentina seguita dal grande salto al professionismo con l’Atlético Madrid, dove ho giocato per due anni. Poi sono rientrata in Italia, alla Roma dove gioco adesso, ma in mezzo ci sono sei mesi di esperienza a Bordeaux che non sono andati proprio benissimo.

Ⓤ: Quali sono stati i momenti critici per arrivare a essere dove sei?

I primi momenti critici della mia carriera sono arrivati nell’effettivo passaggio al calcio femminile. Nelle due società maschili in cui sono stata quando ero più piccola ho sempre avuto allenatori che sono stati molto importanti e anche una società che ha sempre cercato di non lasciarmi mai troppo isolata, di non farmi sentire un pesce fuor d’acqua. Poi però sono passata ai campionati di élite nel calcio femminile e dai sedici anni in poi ho viaggiato tanto con orari impossibili. Magari si partiva in giornata di mattina prestissimo per una trasferta, si giocava e si tornava a casa perché non ci si poteva permettere il pernottamento la sera prima. Ma a parte questo, uno dei problemi nella mia carriera è stata la divisione iniziale fra calcio e scuola.

Ⓤ: Cioè?

Ho frequentato uno scientifico bilingue, una scuola molto impegnativa che mi ha occupato tanto tempo. Quindi ho dovuto compiere delle scelte e delle decisioni non sempre facili per la mia età, a partire dal fatto che magari i miei compagni di classe uscivano a divertirsi nel pomeriggio mentre io non potevo perdere nemmeno un’ora del mio tempo con loro. Avevo un piano ben scandito per tutto: scuola, allenamento, pause, trasferte. A quei tempi ho perso tanti giorni di scuola a causa della Nazionale, giorni che poi chiaramente dovevano essere recuperati. Adesso per fortuna nelle Nazionali ci sono i vari tutor che seguono le ragazze. Noi ai nostri anni non li avevamo, i tutor eravamo noi stesse.

Ⓤ: Come ci si sente adesso dopo tutti questi anni a essere arrivate allo status di professionista in Italia?

Per me andare in Spagna è stata la realizzazione di un sogno. Da quando ho sedici anni ho sempre avuto la volontà di andare fuori, di provare un’esperienza all’estero e soprattutto di mettermi in difficoltà. A me la strada spianata non piace ed entrare nel mondo del professionismo in Spagna per me era stato un salto nel buio. E finalmente lo status di professionista è un grande vantaggio che è arrivato anche in Italia. Adesso posso dire: sono una calciatrice, mentre prima quando lo dicevo mi guardavano un po’ con il sopracciglio sollevato. Finalmente mi sento molto fortunata e appagata per tutti gli sforzi che io e tutte le mie compagne abbiamo fatto nel corso degli anni. Siamo arrivate effettivamente a un risultato.

Ⓤ: Cosa vuol dire per te essere una calciatrice professionista?

Finalmente mi sento di non perder tempo. E questo lo dico perché negli anni scorsi, prima di essere una professionista in Spagna e poi in Francia, in Italia venivo ancora considerata come una che perdeva tempo. A quel tempo il calcio femminile era dilettantismo e quindi non ci veniva riconosciuto niente. Essere professionista e fare la calciatrice comporta degli obblighi. Porta attenzioni, certo, ma comporta anche delle scelte, dei sacrifici importanti. E per le nuove leve questi sacrifici saranno molti più di quelli che ho fatto io, perché adesso diventi di fatto di proprietà di una società e quindi devi anche rendere se vuoi andare avanti. Per questo temo che entreranno a far parte del calcio femminile anche alcune dinamiche che vengono criticate nel calcio maschile. In questo senso mi auguro che l’identità che noi abbiamo cercato di portare avanti da quando abbiamo fatto il Mondiale del 2019 non venga sprecata dalle nuove generazioni che magari possono percepire di aver già ottenuto tanto.

Ⓤ: Con la Roma quest’anno hai disputato una grande stagione, che è valsa la prima qualificazione del club in Champions League.

È indubbio che avere due squadre come la Juve e la Roma in Champions League può permettere al campionato italiano di fare un grandissimo salto di qualità, di avere una visibilità maggiore e quindi di arrivare a più persone. Una partita contro il Barcellona può potenzialmente avere tanto appeal, è un’occasione per portare molte persone allo stadio. Se riusciremo a qualificarci le prospettive sono ottime per noi. Le partite a livello internazionale ci permetteranno di fare una grandissima esperienza. E questo vale per tutte le calciatrici, sia per chi questa competizione l’ha già giocata e magari ha un pizzico di esperienza in più, sia per chi la giocherà per la prima volta. È un grande banco di prova. L’anno scorso poi abbiamo fatto tante partite amichevoli con squadre da tutta Europa durante la preparazione con il fine di farci entrare nella mentalità internazionale, che è quella a cui questa società e questa squadra vogliono ambire.

Ⓤ: Veniamo alla Nazionale. Come vi state approcciando a questo Europeo?

Naturalmente ci sono delle aspettative. Quando non si è più una sorpresa, l’attenzione da parte del pubblico è maggiore. E lo è anche la voglia da parte delle persone di vedere dei risultati. Quindi ci saranno delle pressioni che aumenteranno. E una visibilità di fatto maggiore, a partire dal fatto che i diritti televisivi per l’Europeo sono stati presi da diversi canali. Questo è molto importante. Però questa è una Nazionale che è cresciuta nel corso degli anni. La squadra ha accumulato esperienza internazionale grazie allo sviluppo delle singole giocatrici che a loro volta sono cresciute molto a livello di club. Vedi per esempio le giocatrici della Juventus con i risultati che hanno conseguito quest’anno raggiungendo i quarti di Champions League – un risultato mai ottenuto prima.

Ⓤ:  Quali sono i punti di forza di questa squadra?

La nostra identità è quella di una squadra umile, una squadra che complessivamente potrà non avere lo stesso livello che hanno altre Nazionali come la Spagna, l’Inghilterra, la Francia, la Germania, però questa squadra sa molto bene quali sono i suoi punti di forza: lo spirito di sacrificio, l’umiltà, l’unione di squadra saranno elementi fondamentali in questo Europeo che a mio avviso è una competizione anche più difficile del Mondiale, perché è qui che ci sono le Nazionali più forti in assoluto. Quindi se non affrontiamo questa competizione con tutti questi elementi chiari in testa, ovviamente diventerà difficile. Ma questi sono punti su cui anche la coach Milena Bertolini insiste. Anche l’identità della Juventus in Champions League è stata proprio questa: una grande predisposizione al sacrificio da parte di tutte. Ma più in generale quando vestiamo la maglia azzurra si sente proprio l’unione di squadra. E allora per un obiettivo comune si mettono da parte tutti gli attriti che ci possono essere stati durante l’arco della stagione.

Ⓤ:  E tu cosa ti aspetti in termini di risultati?

L’Islanda e il Belgio non sono da sottovalutare, anche se sono due squadre che potrebbero trarre in inganno. Sono squadre che a livello tecnico forse non sono all’altezza di altre formazioni più blasonate, ma a livello fisico sono potentissime. Dobbiamo approfittare delle situazioni, essere ciniche.

Ⓤ:  Come si posiziona l’Italia rispetto alle squadre che hai definito blasonate?

Secondo me in Italia a volte manca una mentalità vincente, da giocatrice professionista. Quando si decide di voler fare del calcio un lavoro è necessario capire a cosa si va incontro, che rinunce è necessario fare, quali sacrifici. Da questo punto di vista all’estero sono più avvantaggiate perché a questa consapevolezza ci sono arrivate prima. In termini più pratici faccio riferimento alla messa a disposizione delle calciatrici di centri sportivi idonei, di uno staff completamente a nostra disposizione. Sembra poco ma questi possono essere dettagli che fanno la differenza. Noi ci dobbiamo avvicinare a quello standard alto per poter essere veramente competitive. E questo upgrade deve essere compiuto da tutte e tutti, insieme.

Dal numero 45 di Undici
Foto di Mattia Parodi, Moda di Francesca Crippa. Tutti i look adidas.