Non sarà una disavventura

Cosa ci dice il video di Bakayoko alle prese con la polizia a Milano.

Il video di Tiémoué Bakayoko alle prese con la polizia nel centro di Milano è finito su tutti i siti di tutte le testate online. Una a caso ha titolato con «Bakayoko vittima di uno scambio di persona. Polemiche sul razzismo». Scambio di persona è un eufemismo sublime, Rosa Parks chiedeva esattamente questo: che non ci fossero più «scambi di persona» quando le chiedevano di lasciare il posto a un bianco sui bus dell’Alabama. Un altro sito, di un quotidiano sportivo, dice addirittura: «Fermato dalla polizia, armi in pugno. Bakayoko, attimi di terrore a Milano». È una cosa che se la leggessi velocemente penserei che il centrocampista del Milan è impazzito durante la finestra di calciomercato, meno male che c’era la polizia a vigilare. Ma la parola più utilizzata nei titoli, negli occhielli, nei testi dell’articolo, è disavventura.  Una disavventura sembrerebbe una scenetta urbana divertente. Solo che non in questo caso non si tratta di una scenetta urbana divertente, infatti sta facendo il giro del mondo. In quei trenta secondi assistiamo a un abuso di polizia, e a una forma molto specifica di abuso di polizia: una «profilazione etnica», «una pratica discriminatoria», come ha commentato Amnesty International. Una storia della quale non avremmo saputo nulla se non ci fossero stati due elementi: uno smartphone e una persona famosa. Gli anonimi testimoni hanno filmato una candid camera su com’è il razzismo della polizia italiana.

Una persona nera è in auto, viene fermata per un controllo non giustificato da nient’altro se non dal colore della sua pelle. Lo ha confermato la Questura di Milano, non io, hanno spiegato all’Ansa che cercavano «una persona di colore con una maglietta verde», ne hanno vista una, hanno agito di conseguenza. Nel momento in cui scrivo anche io ho una maglietta verde. Dunque, riassumendo: Tiémoué è stato fermato per controllare se quelle caratteristiche che, in quel momento, corrispondevano alla sua figura, lo rendessero responsabile di un crimine.

Ma, prima ancora di fare qualsiasi verifica, lo hanno sbattuto contro un’auto, hanno tirato fuori le pistole, non si sente l’audio, perché il video è girato da lontano, ma quanto sarebbe interessante sentire quell’audio. Se questa è una disavventura, viene da chiedersi: quante disavventure hanno le persone con le forze dell’ordine italiane (il 17 luglio, per altro, sarebbe stato il trentacinquesimo compleanno di un ragazzo chiamato Federico Aldrovandi). E quante ne toccheranno ancora alle persone nere non famose, o a quelle famose che incontrano poliziotti non bravi con le facce o che non li hanno comprati al Fantacalcio.

Se ci fosse un po’ di coscienza politica nel calcio italiano, sarebbe bello leggere un comunicato, una presa di posizione, che almeno aiutasse a correggere il lessico di questa storia: abuso, discriminazione, razzismo. Non a nome dei calciatori per la sicurezza dei calciatori (prima o poi qualcuno che ti riconosce arriva), ma a nome dei calciatori per chi calciatore non è, e si trova dal lato sbagliato di una profilazione razziale. Perché ci sono due modi di raccontare questa storia. Il primo è un gruppo di poliziotti sfortunati e un po’ tonti, che hanno rischiato di arrestare per sbaglio una persona famosa ma per fortuna se ne sono accorti in tempo. Il secondo è una combinazione di circostanze (persona famosa, smartphone, strada pubblica, poliziotti tonti, perché sono tonti in ogni versione di questa storia) che ci ha permesso di vedere con chiarezza e per l’ennesima volta come funzionano gli incontri tra le forze dell’ordine e le persone di colore in Italia.

Il video risale al 3 luglio, pochi giorni dopo cje Chiara Ferragni ha chiesto al sindaco di Milano più sicurezza, perché alcune persone che conosce sono state rapinate. È seguito dibattito: i reati a Milano sono quasi tutti in calo, ma ci sono persone che hanno la percezione del contrario. Chi ha ragione: i numeri o l’influencer? Alla fine avevamo deciso che avessero ragione entrambi. I numeri, in fondo, sono i numeri. Ma la percezione è reale, dobbiamo farci i conti, se le persone hanno paura di essere derubate è dovere della politica intervenire e occuparsi di quella paura. Giusto. Ma, come insegnano al primo modulo di sociologia, tutto quello che viene percepito come reale, sarà reale nelle sue conseguenze. E il video ci mostra un assaggio di com’è Milano quando viene governata secondo la paura.