Cercare il talento è una cosa seria

Intervista a Johannes Spors, Group Sporting Director di 777 Partners e general manager del Genoa, l'uomo che fonda il mercato su un modello innovativo, fondato sulla valorizzazione dei giovani.

Navigando su internet, è possibile imbattersi in uno dei primi rapporti stilati dagli scout della Juventus su Alessandro Del Piero. È un documento scritto a penna e con una grafia in maiuscoletto chiara e piuttosto gradevole, è datato 29 ottobre 1991 e fa riferimento alla partita Inter-Padova del Campionato Primavera. Un Del Piero non ancora 17enne viene presentato dall’osservatore Venturi come «una punta dalla struttura fisica non eccezionale, ma dal bagaglio tecnico eccellente. Inoltre si tratta di un giocatore intelligente, predisposto al sacrificio. […] È da questi talenti che potrebbero uscire i giocatori da Juventus».

Quest’ultima locuzione, da Juventus, e la totale assenza di numeri – le uniche cifre in tutto il foglio sono quelle relative alla statura di Del Piero – segnano l’enorme differenza con gli scouting report del nostro tempo, almeno per come ce li immaginiamo. Oggi, infatti, essere da Juventus ha un significato molto diverso: prima era una definizione puramente qualitativa, ora è un calderone di requisiti tecnici, fisici ma anche anagrafici ed economici, tutte cose che si esprimono con i dati, che rendono un atleta potenzialmente giusto, o sbagliato, per il calcio che vuole praticare Allegri. E per gli obiettivi a breve, medio e lungo termine del club bianconero.

Lo stesso discorso, naturalmente, vale per qualsiasi altro club. Anzi, per alcune squadre vale ancora di più. Stiamo parlando di quelle società che, per ragioni economiche e strategiche, hanno un modello di mercato fondato principalmente sui giovani, sulla loro valorizzazione. E che quindi devono avere un reparto scouting in grado di riconoscere e intercettare il talento. Di farlo prima e meglio degli altri. Tra questi club c’è il Genoa, che alcune settimane dopo il cambio di proprietà a settembre 2021 – da Preziosi alla holding americana 777 Partners – ha affidato la direzione generale a Johannes Spors, 39enne tedesco ex responsabile scouting dell’Hoffenheim, del Lipsia e dell’Amburgo ed ex direttore tecnico del Vitesse, club olandese di Eredivisie. Oggi Spors è diventato Group Sporting Director di tutta la multiproprietà di 777 Partners, che oltre al Genoa possiede – totalmente o in parte – le quote del Vasco da Gama, dello Standard Liegi, del Red Star FC in Francia., del Siviglia. Proprio in virtù del suo passato, Spors può essere considerato come un moderno cercatore di talento, un esponente di quella nuova generazione di professionisti che sanno costruire squadre proiettate verso il futuro, piene di giocatori emergenti. Lo abbiamo intervistato per cercare di capire qualcosa di più del suo lavoro, com’è cambiato il ruolo degli osservatori e dei direttori sportivi rispetto al passato.

Ⓤ: Qual è, oggi, la definizione di talento calcistico? 

Per me la domanda da porsi è diversa: cos’è il talento per te? E per il tuo club? Ogni società e ogni ambiente hanno bisogno di qualcosa di diverso. Perciò, un giocatore di talento diventa tale nel momento in cui è funzionale allo stile di gioco che hai deciso di proporre. Ogni volta che ho lavorato per costruire una squadra, con l’allenatore e il resto dello staff abbiamo concordato un linguaggio tecnico-tattico comune, dei principi su cui fondare il nostro progetto.

Ⓤ: E allora proviamo a cambiare la domanda: qual è la definizione di talento calcistico per Johannes Spors? 

Nel Genoa avevamo deciso di proporre un gioco aggressivo, intenso, quindi abbiamo bisogno di calciatori adatti. In questo senso, la caratteristica fondamentale è la velocità. Esistono due tipi di velocità: quella della testa e quella delle gambe. Quando non hai gambe veloci, la tua testa non può bastare a risolvere le situazioni complesse che scandiscono una partita di calcio. Ma la differenza la fa chi possiede gambe veloci e anche la capacità di comprendere il gioco prima degli altri. Questo, per me, per noi, vuol dire avere talento.

Ⓤ: Cosa provi quando riesci a trovare un giocatore che ha le caratteristiche giuste?

È il momento in cui sono più felice di fare questo lavoro. Non succede spesso, ma a un certo punto senti che quel calciatore è quello giusto. Magari osservi 99 ragazzi diversi, nessuno ti colpisce davvero. E poi sei allo stadio, oppure davanti allo schermo del tuo computer, ed ecco il giocatore che ti fa dire: “Cazzo, è lui! È quello giusto!”. È una grande vittoria.

Ⓤ: Hai parlato di stadio, ma anche di schermo del pc. Si deduce che la tecnologia abbia assunto un ruolo importante in questo processo.

La tecnologia è diventata cruciale, decisiva, nello scouting. È uno strumento fondamentale prima, durante e dopo la fase di mappatura del talento. Ha permesso di cancellare i confini, ora gli osservatori non sono più costretti ad andare in giro per il mondo per visionare un giocatore, per farne un’analisi qualitativa. Le nuove tecnologie sono importanti anche nella valutazione quantitativa: i dati e le piattaforme che li forniscono sono diventati sempre più accurati, e ti permettono di inquadrare meglio un giocatore. Ma è importante sapere che certi numeri offrono delle risposte se le domande che ti fai sono formulate bene. Altrimenti sono solo cifre senza contesto.

Ⓤ: Quali sono gli errori che un osservatore calcistico commette in questo percorso?

La scelta di un giocatore si basa su quanto può essere utile alla squadra qui e ora, ma anche su quanto può migliorare. Solo che ogni giocatore ha caratteristiche biologiche diverse rispetto a tutti gli altri, e quindi il suo sviluppo seguirà un percorso non tracciabile preventivamente. E poi c’è anche il suo vissuto: quando prendo un calciatore dall’Africa o dal Sudamerica, non posso aspettarmi lo stesso bagaglio di un ragazzo cresciuto nell’Academy di un club di Premier League. Sono tutti fattori che portano a sovrastimare o sottostimare le loro possibilità di crescita. Lo scouting serve proprio a minimizzare questi rischi. O a limitarli, quantomeno.

Ⓤ: Finora abbiamo parlato essenzialmente di giovani. Ma c’è un limite d’età minima per essere dei calciatori di talento, oggi?

In realtà no, non c’è nessuna deadline. Ma non credo che una squadra possa essere costruita solo con i giovani, ci sono altri aspetti importanti come l’esperienza, la leadership. Nel caso del Genoa avevamo fatto una scelta chiara: in rosa erano presenti dei calciatori con esperienza, e per questo abbiamo deciso di ringiovanirla, di prendere dei talenti di prospettiva.

Ⓤ: Si può dire che sia una tua preferenza? O comunque una prerogativa del tuo modo di lavorare?

Sì, ho sempre avuto un occhio di riguardo per i talenti del futuro. Non perché abbia un problema con i giocatori d’esperienza, ma perché credo profondamente in un certo tipo di calcio, e penso che i giovani abbiano le caratteristiche giuste per poterlo recepire e interpretare. Con i giovani i tempi di recupero sono più veloci, i progressi e lo sviluppo delle qualità sono più ampi, si vedono chiaramente sul campo, partita dopo partita. E poi si tratta anche di un discorso economico: fare business è parte del gioco, valorizzare i calciatori è ciò che assicura la sopravvivenza alle società di calcio contemporanee, a tutti i livelli. E i giocatori che si possono valorizzare di più sono quelli giovani.

Ⓤ: Hai lavorato in tanti Paesi, e hai detto che ogni ambiente ha le sue caratteristiche. Ora che sei a contatto con i giovani italiani, che impressioni hai? Credi che siano migliori, peggiori o diversi rispetto a quelli di altre nazioni?

Credo che i giocatori italiani abbiano grandi doti, che la Serie A possa guardare con ottimismo al futuro. Ma è necessario che i giovani abbiano più spazio in campo. Al Genoa abbiamo cercato di portare avanti anche questo tipo di cambiamento, dando minutaggio a ragazzi come Cambiaso, Calafiori, Portanova, Pobega, Melegoni, Yeboah, Piccoli. Sono certo che anche altri giovani italiani ripagherebbero la fiducia se gli venisse data l’opportunità di giocare, esattamente come stanno facendo loro. Secondo me non esistono altre differenze tecniche, fisiche o temperamentali: la qualità del talento italiano è alta, ma tutto dipende dal modo in cui diamo ai calciatori la possibilità di sbagliare, di migliorare. La differenza è tutta lì.

Da Undici n° 44