Dopo Lecce-Inter, Simone Inzaghi ha risposto alle solite domande sul calciomercato, ma con molta meno diplomazia del solito: «Non mi va di scherzare su questo argomento, le altre acquistano ogni giorno, noi finiamo sui giornali solo perché vendiamo e poi saremmo pure i favoriti». Solo un giorno prima aveva detto in conferenza stampa, scandendo le parole come fa chi è certo di ciò che dice, che la squadra sarebbe rimasta quella attuale, come concordato con proprietà e dirigenza. A lungo, per l’Inter, si è parlato di un secondo anno consecutivo segnato dalla necessità di incassare una grossa cifra dalla cessione di un titolare: vendere Skriniar e rimpiazzarlo con Bremer, a un certo punto dell’estate, è sembrata alla dirigenza nerazzurra la mossa più intelligente, oltre che la più concreta, prima che la Juve la cancellasse con un’offerta fuori mercato per il centrale brasiliano. Probabilmente la cessione eccellente è stata solo posticipata, ma il presente dell’Inter, anche se positivo, porta sempre con sé una snervante caducità, perché si ha sempre l’impressione che l’immediato futuro sia in balia di un colpo di vento, di un rilancio decisivo, e che la programmazione sia più una forma di bravura a reagire in anticipo che l’effettiva possibilità di esercitare un pieno controllo degli eventi esterni.
In questa situazione, Simone Inzaghi ha saputo rimodellare le vecchie certezze della rosa su nuovi presupposti, con un lavoro intelligente e tutt’altro che scontato, e lo ha fatto talmente bene da lasciare l’amaro in bocca per una stagione che, con poco più nei due mesi in cui un loop mentale negativo è esploso insieme a tutte le lacune di quella rosa, sarebbe finita con uno scudetto storico, visti gli addii dell’estate. Quest’anno, con un mercato in cui la Juventus ha perso certezze a livello difensivo ma sta assemblando una squadra incredibilmente talentuosa e varia da centrocampo in su, e il Milan – in attesa di un sostituto di Kessiè – ha aggiunto una gran dose di creatività e tecnica nello stretto alla squadra che ha vinto lo scudetto, l’Inter ha sistemato alcune sue lacune profonde dello scorso anno e, in questo momento, al netto del margine di manovra delle avversarie e in un quadro di probabile equilibrio, sembra pienamente in grado di competere per lo scudetto.
Nonostante nessuno abbia segnato più gol dell’Inter nello scorso campionato (87), l’acquisto più importante è arrivato proprio in attacco, con il ritorno di Romelu Lukaku, in prestito dal Chelsea. Con la brutalità dei suoi strappi in conduzione e la costanza meccanica del suo lavoro spalle alla porta, il belga è stato la personificazione dell’Inter di Conte, una squadra che viveva di quelle situazioni e che ricercava il maniera maniacale il contributo delle sue punte nello sviluppo dell’azione. L’Inter di Inzaghi è in parte anche figlia dell’addio di Lukaku: senza di lui (e senza rimpiazzi nemmeno vagamente simili) costruire una squadra sempre dominante e il meno schiacciata dietro possibile, era diventata una necessità, più che una scelta. Il suo sostituto, Edin Dzeko, ha offerto la propria intelligenza calcistica nei movimenti e nella partecipazione alla manovra e, per mezza stagione, persino una freddezza sotto porta superiore alle sue medie, ma dal punto di vista fisico – a 36 anni è stato l’attaccante nerazzurro con più minuti giocati – è sembrato in forte difficoltà. Joaquin Correa, l’uomo di Inzaghi, che avrebbe dovuto attutire il passaggio a un calcio diverso pur conservando un minimo di verticalità, non c’è praticamente mai stato.
L’Inter che ritrova Lukaku non è più la squadra che di fatto lo ha riportato al tavolo dei migliori centravanti del mondo, ma è una squadra che ha più bisogno di lui di quanto la dicotomia Conte-Inzaghi sembri suggerire. Tralasciando il fatto che le punte, la scorsa stagione, hanno segnato meno rispetto alle occasioni avute (21 gol per 24,57 xG per Lautaro, 13 gol per 16,46 xG per Dzeko), mentre Lukaku all’Inter si è confermato un finalizzatore più affidabile (23 gol per 20,79 xG nella sua prima stagione nerazzurra, 23 per 23,43 xG in quella dello scudetto), la dote più preziosa che il belga riporta in Italia è la possibilità di impadronirsi nuovamente degli spazi alle spalle delle difese, una possibilità che di fatto, la scorsa stagione, è rimasta inesplorata.
L’Inter non ha mai avuto la possibilità di variare sul tema, ha sviluppato la manovra più fluida e spettacolare della scorsa Serie A ma non ha potuto sfruttare gli spazi in profondità che sapeva crearsi con l’uscita dal basso, una minaccia che, con l’ex Chelsea e Hakimi, era la gigantesca spada di Damocle che pendeva sulla testa di tutte le squadre che sfidavano l’Inter di Conte senza fare barricate. Il momento più esplicativo di questa mancanza, nello scorso campionato, è stato Inter-Fiorentina, una partita in cui i nerazzurri, ancora senza Brozovic, cercavano di ritrovare i propri automatismi ma non riuscivano mai, se non grazie alle corse di Dumfries (unica vera fonte di esplosività in campo aperto nella stagione interista), a sfruttare gli spazi che la squadra di Italiano concedeva: c’era un buco enorme a forma di Romelu Lukaku, un buco che le prestazioni macchinose e piene di errori di Dzeko e Lautaro, nel loro momento più buio, non facevano altro che evidenziare.
L’Inter di oggi non è più una squadra che svuota il centrocampo e avanza con le connessioni e i duelli delle sue punte, cercate sempre in verticale, ma è ancora una squadra che vive della propria capacità di costruirsi gli spazi dal basso: con Lukaku, l’Inter non solo torna ad avere un attaccante che sa cosa farsene di quegli spazi con e senza palla, al punto da costringere la maggior parte dei difensori a duelli impari sul piano atletico e fisico, ma ritrova un punto di riferimento a cui appoggiarsi in modo più diretto, oltre che un calciatore estremamente intelligente e ben disposto a venire incontro e giocare con i compagni. Con Lukaku, Inzaghi può potenziare il suo piano A e allo stesso tempo trovare un piano B, che si tratti di rispolverare qualche connessione istintiva con Lautaro (reduce da un’intesa non paragonabile con Dzeko) o ricorrere con meno rimpianti a momenti di difesa posizionale. Quel mix di esplosività, sacrificio e intelligenza, serve a Inzaghi e al suo calcio molto più di un tocco che incolla il pallone al piede.
L’altra grande lacuna individuata e coperta sul mercato era la mancanza di alternative a centrocampo. Più precisamente, la mancanza di un vice-Brozovic, nella stagione in cui Inzaghi ha costruito la sua Inter sulla sua capacità irreale del croato di dar forma e ritmo alla manovra, liberando completamente il suo talento e affidando gli equilibri della squadra al suo altrettanto immenso lavoro senza palla. Di fatto, l’Inter ha perso i punti più pesanti durante le sue poche assenze, confermando ciò che dai tempi di Spalletti in avanti è diventato sempre più chiaro: Brozovic è un top mondiale del suo ruolo e la sua presenza in campo per l’Inter è – insieme a quella di Skriniar – l’unica non negoziabile. All’Inter, però, prima ancora di un vertice basso di ruolo, è mancato un qualsiasi giocatore creativo o autosufficiente con il pallone quel tanto che basta per far rifiatare i tre titolari senza dover abdicare a ogni ambizione di controllare il gioco con il possesso: con le uscite di Vidal e Vecino e gli arrivi di Mkhitaryan e Asllani, l’Inter sostituisce due usurate mezzale box-to-box con due profili finalmente affini al gioco di fraseggi e connessioni nello stretto con cui Inzaghi ha ridisegnato l’Inter.
Queste operazioni, in particolar modo quella del giovane regista albanese, ma vale lo stesso per l’acquisto di Raoul Bellanova, sono mosse complessivamente intelligenti: pur nel ventaglio ridotto di possibilità offerte da una situazione economica difficile e con una tendenza a pensare poco fuori dalla scatola della Serie A, l’Inter ha comprato due profili giovani, con caratteristiche che – a prescindere dal loro interessante valore assoluto – sembrano incastrarsi alla perfezione nel sistema di Inzaghi. Asllani ha brillato all’Empoli come raramente si vede fare a un ragazzo del 2002 nel contesto stantio del campionato italiano, ed è un regista molto verticale, ambidestro, con un istinto particolare per l’imbucata, la personalità di toccare molti palloni e un’attitudine notevole nel recupero palla: in una squadra che ha ritrovato gli strumenti per riscoprire la verticalità e che ha un bisogno vitale di un’alternativa nel ruolo, può essere una risorsa importante fin da subito. Bellanova, invece, è un esterno esuberante e rapido, molto istintivo e con diversi aspetti del suo gioco – specialmente in fase difensiva – ancora da costruire, ma è il tipo di esterno con cui Inzaghi ha già dimostrato alla Lazio di saper lavorare. È questa la linea su cui l’area tecnica dell’Inter deve insistere, insieme a un’attenta cernita delle occasioni, per rimanere testa a testa con squadre che, al momento, hanno ben altra disponibilità di spesa.
Ad oggi, la rosa dell’Inter è migliorata sensibilimente a centrocampo e in attacco, è rimasta invariata in difesa e ha perso un giocatore fondamentale come Ivan Perisic sugli esterni. Probabilmente, mantenere sui livelli della scorsa stagione il funzionamento delle fasce sarà la la sfida più stimolante a livello tattico, per Inzaghi, ancor più dell’integrazione di Lukaku – che è un giocatore abbastanza autosufficiente e completo da crearsi il proprio spazio a prescindere. Al posto del croato, reduce da una stagione individualmente incredibile, ci sarà Robin Gosens, uno dei più forti esterni di difesa a tre del campionato degli ultimi anni, ma un giocatore diversissimo, che al meglio della forma fisica offre una copertura straordinaria della fascia, e per incidere offensivamente ha bisogno di essere innescato nell’ultimo quarto di campo, sia per crossare che per finalizzare.
Inoltre, l’Inter si è rivelata una una squadra in grado di competere per il titolo quando si sono accese le combinazioni sulla corsia sinistra tra Bastoni, sempre sganciato in avanti, Calhanoglu e Perisic: Inzaghi dovrà cercare di conservare il più possibile la fluidità posizionale della sua squadra, facendo sì che in uscita, perso un appoggio sicuro come Perisic, la manovra funzioni in maniera efficace senza costringere un esterno poco portato a compiti di costruzione o a conservare palla come Gosens a toccare troppi palloni fuori dalla sua zona di comfort. Allo stesso modo, dovrà cercare di coinvolgerlo il più possibile nelle combinazioni sulla fascia sinistra, con l’obiettivo di liberarlo sul fondo, oppure attivarlo dal lato destro – le due situazioni in cui è devastante – dove però c’è un esterno ugualmente a disagio a improvvisare con il pallone e altrettanto portato a inserirsi e a cercare situazioni dinamiche grazie al suo enorme atletismo come Dumfries. Se Inzaghi riuscirà a mantenere invariata la qualità dell’uscita e dello sviluppo della manovra e a permettersi due esterni così simili fra loro in campo contemporaneamente, l’Inter al suo meglio sarà una squadra ancor più forte di quella dello scorso anno e avrà il dovere di riprovarci ancora. A prescindere da quello che accadrà in futuro e nonostante tutto.