Robin Gosens riuscirà a staccarsi da Gasperini?

L'Inter sembra la destinazione perfetta per esaltare le sue doti, e per cancellare il luogo comune sull'incompatibilità dei giocatori dell'Atalanta con altre squadre.

La storia di Robin Gosens, che a 23 anni navigava ancora nella classe media di Eredivisie e a 27 pugnalava ripetutamente il Portogallo al suo fianco destro, da titolare della Nazionale tedesca a un Europeo, è eccezionale e allo stesso tempo paradigmatica di cosa sia stata l’Atalanta di questi anni: una squadra e un ambiente così strutturati, a livello tattico e dirigenziale, da riuscire a trasformare giocatori semi-sconosciuti in figure chiave della Serie A, promesse mancate in protagonisti di notti di Champions League. Il sistema allestito da Gasperini e dai suoi datori di lavoro, negli ultimi anni, ha saputo alzare il livello di molti dei suoi interpreti al punto da sembrare frutto di un algoritmo, ed essere percepito come un imbroglio, alla stessa stregua dei trucchi di un vecchio videogioco.

Quando i vari Kessiè, Caldara, Gagliardini, Conti – solo per citare i più famosi – uno ad uno non sono riusciti a riconfermarsi lontano da Bergamo, o perlomeno hanno tardato a farlo, si è diffusa rapidamente la leggenda nera secondo cui, quando si stacca la spina del controller che sta nelle mani di Gasperini, i suoi giocatori più brillanti si sgonfiano come bolle. Forse, insieme all’infortunio da cui sta recuperando, chi adduce perplessità sul trasferimento all’Inter di Robin Gosens, si porta dietro questo inconscio dubbio di fondo, anche se si tratta di uno dei giocatori più impattanti della Serie A degli ultimi anni. Per chi è ancora indeciso, è lecito porsi una domanda: possiamo fidarci fino in fondo dei calciatori di Gasperini?

Nel caso di Gosens, sicuramente sì. La sua esplosione, dovuta a un portfolio – fisico e tecnico – perfetto per il ruolo di esterno di un sistema di Gasperini, è stata accompagnata da una crescita organica e netta delle sue qualità tecniche. È un discorso che vale per Gosens, rimasto nel laboratorio di calcio di Gasperini per quattro anni e mezzo, e che potrebbe valere per tanti altri: lo stesso allenatore ha rimpianto in un’intervista di aver perso Gagliardini troppo presto per poterlo trasformare in un giocatore pericoloso anche nell’area avversaria, e quindi di aggiungere un pezzo in più al centrocampista che ha lasciato Bergamo e si è trasferito all’Inter nell’inverno del 2017.

Come per tutti gli stereotipi/luoghi comuni, anche quello sui giocatori di Gasperini nasce da un fondo di verità, ovvero l’oggettiva difficoltà a riconfermarsi altrove di molti di quei giocatori. In realtà questa visione parte da e si alimenta di due grossi fraintendimenti: la tendenza a non considerare che un giocatore possa evolversi, soprattutto se cambia squadra e/o allenatore, e il fatto che un periodo di alto rendimento da giocatore di sistema non sia soltanto un periodo passato a overperformare, ma anche il momento in cui un profilo mostra i suoi pregi e i suoi difetti.

Quando, nel giro di una decina di partite, Roberto Gagliardini è esploso fino a raggiungere la convocazione in Nazionale e ad attirare l’interesse dell’Inter, era un calciatore con caratteristiche già piuttosto riconoscibili: un centrocampista dinamico e intenso, sempre pronto a contendere le seconde palle e ad accorciare in avanti sull’uomo. Il sistema di Gasperini esaltava questa sua inclinazione e gli semplificava la vita in possesso, permettendogli di optare per scarichi semplici, o di tentare di verticalizzazione immediata e istintiva verso Petagna – o chi si smarcava davanti a lui. Nel frattempo, i compiti di rifinitura e persino di regia spettavano al Papu Gómez. Non è un caso che nei suoi primi mesi a Milano sia stato uno dei giocatori più trascinanti e meglio calati nel contesto tattico dell’Inter di Stefano Pioli, la versione dei nerazzurri più simile, per principi, all’Atalanda di Gasperini; e non è un caso nemmeno che, nelle stagioni successive, trovandosi a difendere in un sistema diverso, a dover gestire il pallone al di fuori della sua comfort zone di scarichi veloci e semplici, il suo rendimento sia molto calato. Lo stesso destino è toccato a lungo anche a un giocatore fisicamente più impattante come Franck Kessiè, che nel vortice di duelli e conduzioni in transizione della sua Atalanta ha potuto liberare al massimo la propria incontenibile fisicità. Poi però l’ivoriano si è perso nel cuore di un Milan poco organizzato o troppo passivo per le sue caratteristiche, prima di incontrare i principi di Pioli e, di conseguenza, di ritrovare la benzina per il suo modo di giocare. Così è tornato a essere uno dei centrocampisti più dominanti della Serie A.

È un discorso che vale per tutti i giocatori che emergono in un sistema molto codificato con compiti ben precisi, e vengono acquistati dopo aver mostrato la miglior parte di sé: il punto non è chi tiene in mano il joystick, ma la possibilità che viene data loro di fare le cose che hanno dimostrato di saper far meglio, in un contesto funzionale. Il problema al centro della discussione, quindi, non dovrebbe essere il rendimento dei giocatori sotto Gasperini, Juric, Sarri, Italiano o Tudor, ma il fatto che i loro fit tecnici calzanti siano visti come l’eccezione da dover spiegare, più dei contesti disfunzionali.

A questo proposito, Robin Gosens all’Inter è un acquisto molto interessante, a prescindere dalla sua crescita costante e dal livello di maturità raggiunto. Perché le sue migliori caratteristiche sembrano molto compatibili con l’identità tattica della squadra di Inzaghi. L’Inter, con ogni probabilità, si sta tutelando con alcuni mesi di anticipo dal probabile addio di Ivan Perisic, che nel corso dell’ultimo anno è cresciuto a tal punto da diventare uno dei giocatori più determinanti della squadra, specialmente a livello difensivo. I suoi recuperi profondi, la sua attenzione e abilità nell’uno-contro-uno, soprattutto nei finali di partita, momenti in cui l’Inter fatica a difendersi con la palla e finisce per abbassarsi, sono strumenti irrinunciabili per gli equilibri della squadra nerazzurra. Per quanto la sua proposta cerchi il dominio del possesso, e si accenda con le combinazioni dei suoi giocatori più tecnici,  Simone Inzaghi ha storicamente preferito esterni in grado di coprire una gran porzione di campo, di garantire un lavoro difensivo costante: la poca fortuna di Jony – sostanzialmente, un laterale offensivo adattato a un ruolo non suo – alla Lazio e l’impiego di Dimarco prevalentemente da centrale sinistro sono un segnale chiaro, in questo senso. Probabilmente, questa è una delle motivazioni che hanno spinto l’Inter ha immaginare il proprio futuro con un giocatore come Gosens, piuttosto che con laterali più tecnici e creativi: l’ex Atalanta è prima di tutto un atleta sovradimensionato rispetto al contesto del campionato italiano, ma il suo apporto non si esaurisce con la quantità. È anche un difensore attento, in grado di affondare il tackle con una certa facilità, ben disposto al duello e con il cervello sempre acceso nelle letture.

L’Inter si è assicurata quindi un giocatore in grado di non disperdere il patrimonio difensivo assicurato da Perisic nell’ultimo anno e, nonostante alcune differenze tecniche con il suo attuale compagno di reparto, con un profilo offensivo molto adatto al sistema attuale. Rispetto al croato, che ha alle spalle una carriera da ala ad ottimi livelli, Gosens ha una quantità di talento grezzo inferiore e una minore capacità di risolvere da solo situazioni in cui gli spazi a disposizione sono pochi. Nonostante questo, pur senza andare oltre l’essenziale, all’Atalanta ha dimostrato di possedere un ottimo istinto nell’associarsi con i compagni, verticalizzare e smarcarsi. La sua capacità di combinare sarà messa alla prova a un livello successivo nei lunghi attacchi posizionali dell’Inter: dovrà giocare infatti nella zona di campo più calda, la stessa di Bastoni e Çalhanoglu, dove si sviluppano le trame più fitte per cercare di sfondare contro difese chiuse. Gosens non è certo il classico regista decentrato capace di arricchire l’uscita o lo sviluppo dell’azione, né un giocatore particolarmente propenso a fraseggiare in spazi stretti, ma se i triangoli con gli altri giocatori che riempiono la parte sinistra della trequarti garantiranno fluidità e permetteranno all’esterno tedesco di entrare in area o prendere il fondo con continuità, l’Inter avrà un’arma ancora più potente su quel lato: per quanto passi inosservato nella narrazione tipica dell’ariete che non apre ma sfonda tutto ciò che non lo riesce a contenere, Gosens possiede un cross mancino morbido e tutt’altro che banale, oltre a soluzioni più muscolari come il tiro molto potente e un efficace cross teso.

Ora parliamo anche di questo, della sua incredibile capacità di inserirsi in area e di fare gol

Eppure, il vero tratto distintivo di Robin Gosens è la capacità di colpire inserendosi senza palla dal lato debole, chiudendo i cross sul secondo palo. È la sua arma più affilata, al punto che persino la Nazionale tedesca l’ha usata per demolire il Portogallo all’Europeo, infierendo sulla difficoltà a difendere l’ampiezza. In quella Germania, l’ultima di Löw, la manovra si sviluppava senza quasi mai chiamarlo in causa, fino agli ultimi metri, in cui diventava protagonista apparendo dall’esterno. La forza fisica che impone al suo difensore, l’esplosività fuori dal comune nel salto e quella scarica di intangibles che sembra liberare in ogni situazione in cui arriva più forte degli altri su ogni pallone, sono ciò che gli hanno permesso di accumulare cifre realizzative da attaccante, in un sistema che da sempre esalta i suoi esterni con le combinazioni “da quinto a quinto”.

Anche l’Inter, soprattutto dall’inizio di questa stagione, si affida spesso al cross sul palo lontano come strumento per colpire le difese chiuse: Denzel Dumfries ha già dato un assaggio di quanto sia mediamente complicato difendere su un giocatore con determinate caratteristiche fisiche in situazioni di questo tipo. Avere sia lui che Gosens in campo contemporaneamente, per i nerazzurri, significa mantenere in costante allarme la linea difensiva avversaria, costringerla ad aspettarsi l’irruzione di uno dei suoi due esterni, assistito dai cross dell’altro quinto, o dalle parabole di Bastoni e Barella, oppure dai ripetuti filtranti taglienti di Sanchez, il miglior giocatore dell’Inter a premiare l’esterno che attacca il fondo. Che Robin Gosens fosse uno dei calciatori più importanti della Serie A lo si sapeva già. La buona notizia, per lui e per l’Inter, è che ha trovato un’altra squadra in grado di sfruttare al massimo il suo talento.