Utilizzare la locuzione esterno di Gasperini, proprio come si fa con gli inverted full-backs o il falso nueve inventati da Guardiola, è ormai diventato un comodo espediente narrativo per indicare l’interpretazione di un ruolo unico e non replicabile all’interno di un sistema tattico che, a sua volta, è unico e non replicabile. L’esterno di Gasperini è un calciatore dalla natura e dagli istinti prettamente verticali, dalla dimensione fisica e atletica fuori scala, dalla grande capacità di corsa con e senza palla, dalle enormi qualità reattive e di adattamento a ciò che l’avversario di giornata è in grado di proporre. L’utilizzo di questa definizione determina però anche un’eccessiva semplificazione, che porta a una valutazione errata, o comunque incompleta, del giocatore in questione: siamo troppo abituati a pensare che i calciatori valorizzati da Gasperini funzionino solo con Gasperini, e così anche il miglioramento progressivo ed evidente di uno di loro viene raccontato come un evento che è possibile solo in quel contesto. Ci sono delle prove a supporto di questa tesi, per esempio la parabola discendente delle carriere di Roberto Gagliardini, Mattia Caldara e Andrea Conti al di fuori di Bergamo, solo per restare nel perimetro degli ultimi anni, dell’esperienza di Gasperini all’Atalanta. Dall’altra parte dello spettro, però, c’è Robin Gosens.
Gosens rappresenta l’esaltazione e la negazione di questa teoria, allo stesso tempo. Parliamo infatti di un giocatore che ha fissato nuovi standard d’eccellenza nel gruppo ormai molto popolato degli esterni di Gasperini, ma anche di un elemento che ha dimostrato di possedere qualità uniche, oggettive, indiscutibili, che prescindono dalla prossimità e dalla coerenza con le idee di un tecnico così radicale nelle scelte e nei principi di gioco. E che l’hanno portato a essere convocato e a giocare titolare in una Nazionale fortissima, e di grandi tradizioni, come quella tedesca. Insomma, le qualità di Gosens possono manifestarsi sempre, comunque, dovunque, in qualsiasi sistema. E il fatto che il laterale tedesco abbia “già” 26 anni e sia quindi da considerare come un late bloomer, un calciatore esploso relativamente tardi ad alti livelli, non cambia la sostanza delle cose: per lui l’incontro con Gasperini è stato un punto di partenza e non di arrivo, la scoperta della sua reale dimensione di giocatore totale e non di una versione buggata – quindi non vera – di sé stesso: «Non credo sia sottovalutato, nel suo ruolo è uno dei migliori in Europa» disse l’allenatore dell’Atalanta a fine dicembre, due giorni dopo il 4-1 alla Roma di Fonseca. Una gara in cui Gosens realizzò un gol che è una polaroid perfetta del suo modo di intendere e vivere il calcio.
Veder giocare Gosens significa trovare una risposta a questa domanda: cosa sarebbe in grado di fare un decatleta su un campo da calcio? La risposta è: tutto, alla massima velocità possibile, tra l’altro senza perdere nulla in termini di controllo, efficienza dell’azione. Gosens è un giocatore lineare e monocorde nel senso che corre, salta, contrasta, tira e segna a un livello fisico e di intensità che è sempre lo stesso, che non cambia mai; solo che questo livello di intensità è insostenibile per quasi tutti gli altri giocatori che condividono il campo con lui. La brutalità delle sue corse profonde in ripiegamento, dei suoi recuperi difensivi, delle diagonali portate sempre con il tempo giusto può essere spiegata, anzi giustificata, solo nel momento in cui si accetta che Gosens è troppo per chiunque non sia in grado di fronteggiare Gosens. E sono in pochi, pochissimi, i giocatori davvero pronti a confrontarsi con lui sui terreni che gli sono più congeniali. Per questo il vero Gosens è quello che si vede nella metà campo difensiva, quando il suo apporto non si concretizza nel dettaglio numericamente più vistoso relativo a gol e assist: il modo in cui recupera i metri di svantaggio dal suo avversario, strappandogli la palla prima di aggirarlo e far ripartire l’azione in prima persona, è l’espressione della natura primordiale del football di ieri declinata secondo i canoni del superomismo e della durezza mentale dei calciatori di oggi. Lo scorso aprile, in una lettera pubblicata su Gameplan, Gosens ha scritto che «la differenza, alla fine, la fa il tuo essere pronto a fare quel miglio di corsa in più. Ho visto un sacco di gente, molto più talentuosa di me, non riuscire ad avere il livello di successo adeguato alle loro qualità».
Nella metà campo avversaria, invece, Gosens è semplicemente molto più creativo, imprevedibile e multidimensionale di quanto possa esserlo qualsiasi altro esterno mai allenato da Gasperini. La linea laterale resta un riferimento fisico fondamentale, ma risulta molto meno “marcabile” e limitante, visto che Gosens la sfrutta come base di partenza per i suoi tremendi tagli esterno-interno, con e senza palla. Nella gara contro il Lecce del 6 ottobre 2019, la prima disputata dai nerazzurri al Gewiss Stadium dopo i lavori di ristrutturazione della Curva Nord-Pisani, Gosens parte da sinistra palla al piede, si accentra, si appoggia ad Ilicic dettando contestualmente il passaggio sulla traccia interna, attacca lo spazio in verticale e conclude di mezzo esterno sinistro in corsa dando continuità al primo controllo. Solo riguardando l’azione al replay si notano che i giocatori dell’Atalanta negli ultimi trenta metri sono solo tre, mentre il Lecce ne schiera sei, tre dei quali a coprire l’esterno sinistro: tutti e tre sono costretti a rincorrere Gosens una volta effettuato il contro-movimento dentro il campo. Ma la loro presenza serve a poco.
Come Gosens e Ilicic hanno riscritto il concetto di attacco a difesa schierata
Quando agisce off the ball Gosens è, se possibile, ancor più incisivo, efficace, letale. I suoi inserimenti dal lato debole costituiscono il primo caso di signature move quando la palla è tra i piedi di altri: che sbuchi sul secondo palo a chiudere – di piatto sinistro o in spaccata – la connection con Hateboer o che sfrutti a proprio vantaggio il mismatch fisico con il terzino avversario per colpire di testa, la metafora più efficace per descrivere Gosens è quella del treno in corsa lanciato a tutta velocità contro un ostacolo che finirà inevitabilmente per essere spazzato via. In questo gol realizzato alla Spal nella prima giornata del campionato scorso ci sono tutti gli elementi che caratterizzano la dimensione fisica del calcio di Gosens: il tempo dell’inserimento, lo stacco da triplista, l’effetto fionda che permette di impattare con forza e precisione all’altezza giusta, il pallone che per qualche attimo sembra assumere le sembianze di una wreckin’ ball in ferro che finirebbe per scaraventare in porta anche il povero Berisha se solo si trovasse sulla sua traiettoria. In quest’altro segnato nell’ottobre 2018, il social media manager del canale ufficiale della Serie A riprende il concetto scrivendo che Gosens «demolisce il Chievo con il suo quinto gol».
«Qualsiasi cosa lui colpisce, lui la distrugge». Così disse Nicoli Koloff di Ivan Drago, nel film Rocky IV. Ma potrebbe dirlo anche Gian Piero Gasperini a proposito di Robin Gosens
Gosens non è un giocatore talentuoso in senso stretto – e, probabilmente, non avrebbe nemmeno bisogno di esserlo – nella misura in cui in ogni singolo gesto tecnico è evidente il lavoro fatto per sgrezzare, ripulire, affinare, dei fondamentali piuttosto artigianali per metterli al servizio delle sue straordinarie doti atletiche: «Ho sempre saputo che l’unico modo per far fronte alle mie lacune fosse lavorare di più ogni giorno: per questo chiedevo ai miei allenatori se avessi potuto aggiungere, al termine dell’allenamento, qualche altro esercizio per migliorare la tecnica e la coordinazione. Così sono riuscito a diventare quello che sono oggi, guadagnandomi il rispetto dei miei compagni». Un talento costruito, figlio della capacità di saper andare oltre sé stesso più e più volte, e che risalta nella facilità di calcio con entrambi i piedi, nella capacità di coordinarsi in piena corsa per calciare al volo e di controbalzo – come contro il Liverpool ad Anfield – nella ricercatezza e nella contro-intuitività di alcune soluzioni in rifinitura: il Gosens assist-man non è solo l’esterno di corsa e inserimento che crossa basso e forte in area con l’interno piede ma anche il trequartista aggiunto in grado di mettere palle curve alla De Bruyne alle spalle dei centrali avversari.
Non ci credete? Chiedete a Tomori
La crescita esponenziale di Gosens prescinde dal numero di gol e assist, dal minutaggio in costante ascesa, dalla centralità in un contesto tecnico che sembra costruito per e intorno a lui. È una questione globale, che dal particolare va al generale, che impone la totale adesione a un sistema per poi riuscire ad astrarsi da esso: «Quando sei sui radar dell’elité d’Europa sei in cima alla lista delle grandi squadre è qualcosa di gigantesco, qualcosa che dimostra che sei sulla strada giusta. Qualcosa di pazzesco, se penso al percorso che ho fatto», ha detto Robin qualche tempo fa. È evidente come Gasperini abbia reso Gosens qualcosa di più di un freak tecnico e atletico: lo ha trasformato in un giocatore forte in senso assoluto, in un giocatore ambizioso e consapevole. Un giocatore da grande squadra, anche se in realtà lui proviene già da una grande squadra. Da esterno di Gasperini a esterno di tutti. E per tutti.