L’arrivo di Khvicha Kvaratskhelia al Napoli è stato formalizzato diversi mesi fa, quindi abbiamo avuto modo e tempo di studiarlo, di metabolizzarlo. Di prepararci, insomma. Oggi, con il mercato a un passo dalla conclusione e alla vigilia della terza giornata di campionato, è arrivato il tempo di sottolineare un altro aspetto piuttosto importante di questa operazione: De Laurentiis, Giuntoli e Spalletti hanno scelto Kvaratskhelia come erede di Lorenzo Insigne e l’hanno fatto senza riserve, ancora prima di conoscerlo e testarlo davvero, nonostante un’età ancora freschissima – compirà 22 anni il prossimo 12 febbraio. Inoltre, e questa cosa è ancora più significativa, per Kvaratskhelia non è stato predisposto alcun tipo di affiancamento o di tutoring: per tutto il mercato estivo, infatti, il Napoli non ha trattato nessun altro esterno offensivo sinistro o ambidestro; per qualche settimana si è parlato del possibile arrivo di Gerard Deulofeu, ma solo come per raccogliere l’eredità di Mertens, un’incombenza poi finita nelle mani – anzi: sulle spalle – di Giacomo Raspadori, mentre nello slot di Kvaratskhelia c’erano e ci sono lui, due calciatori che possono giocare sulla fascia sinistra ma solo da adattati – Elmas e Lozano – e poi Alessio Zerbin, un giovane che tra l’altro non è propriamente giovane, visto che è nato due anni prima di Kvaratskhelia. Nell’ambito di una Serie A che fa fatica a guardare al futuro anche quando deve progettarlo improrogabilmente, la scelta di separarsi dal proprio capitano e di affidare la sua successione a un calciatore come Kvaratskhelia, a un talento non ancora affermato per non dire senza esperienza, è un atto dall’enorme valore politico, prima ancora che tecnico. È una rivoluzione. Neanche troppo nascosta.
Questa sensazione di rivoluzione in atto è stata inevitabilmente alimentata da quello che è successo nelle prime due giornate di campionato, è esplosa in maniera fragorosa: Kvaratskhelia ha realizzato un gol e servito un assist nell’esordio al Bentegodi di Verona, poi ha segnato una doppietta nel match casalingo contro il Monza, e basterebbero questi numeri così come sono – grezzi, freddi – a giustificare l’entusiasmo per un cambiamento dall’esito subito fruttuoso, anzi rigoglioso. In alcuni casi, però, le cifre dicono tutto senza dire niente. E questo è un caso del genere. Khvicha Kvaratskhelia, infatti, non ha solo segnato tre gol, ma li ha segnati di testa, di destro e di sinistro, li ha segnati di potenza, di precisione assoluta e d’astuzia mista a tecnica e velocità. E poi Khvicha Kvaratskhelia non ha solo servito un assist, tra l’altro con un tocco delicatissimo e intelligentissimo che ha spalancato la strada della porta a Piotr Zielinski quando la partita di Verona rischiava di mettersi male, per il Napoli, ma ha anche offerto tre passaggi chiave e ha tentato dodici volte il dribbling in 138 minuti di gioco, la terza quota cumulativa dell’intera Serie A dopo quelle di Radonjic (Torino) e Ikoné (Fiorentina). In virtù di tutto questo si può dire che il suo impatto sul Napoli e sul campionato italiano sia stato immediato. E anche fortissimo.
Nelle sue prime manifestazioni pubbliche con la maglia del Napoli, ovvero le amichevoli giocate nel corso della preparazione estiva, Kvaratskhelia aveva già svelato parte di questo suo repertorio. Il fatto che abbia mostrato delle cose ancora migliori nelle partite ufficiali, nelle partite vere, ha finito per sorprendere un po’ tutti. Per esempio: subito dopo la gara contro l’Hellas ho ricevuto un messaggio da un mio amico, non tifoso del Napoli, che mi chiedeva se quanto fossi esaltato del fatto che ora il Napoli abbia «un esterno offensivo che chiude le azioni di testa». A pensarci bene, è lo stesso concetto espresso da Nicky Bandini sul Guardian dopo il match contro il Monza: «In queste prime due partite, Kvaratskhelia ha segnato in tutti i modi ed è sembrato pienamente sicuro di sé in ogni giocata, in ogni movimento, come se fosse un componente già perfettamente integrato in una macchina fluida. Com’è possibile che vada tutto così bene fin da subito? Il Napoli non avrebbe dovuto vivere e quindi sopportare una stagione di transizione dopo gli addii di Lorenzo Insigne, Kalidou Koulibaly e Dries Mertens?».
Kvaratskhelia ha trvato un modo niente male per segnare il primo gol nel suo nuovo stadio
La risposta a queste domande è tecnica ed emotiva, nella stessa misura. La qualità e le caratteristiche di Kvicha Kvaratskhelia sono il punto da cui partire, perché è evidente che siamo di fronte a un calciatore di grosso calibro, dotato di buonissima fisicità e grande resistenza, rapidissimo – per non dire elettrico – eppure capace di condurre e stoppare e colpire il pallone con grande sensibilità tecnica, anche in spazi stretti. È chiaro che parliamo di un esterno offensivo in grado di recitare tutti i copioni tattici, ma che si esalta quando può attaccare ampie porzioni di campo, quando ha spazio da prendersi, quando può far valere un’istintività ancora primordiale – una skill che deve essere considerata un pregio, certo, ma che è anche il grande difetto su cui dovrà lavorare Spalletti. In virtù di tutto questo, Kvaratskhelia dà la sensazione di potersi combinare – di essersi già combinato – perfettamente con Osimhen e con Lozano, attaccanti verticali e ipercinetici, molto più di quanto fosse riuscito a Insigne e Mertens.
Quest’ultimo aspetto, ovvero l’immediato incastro tra Kvaratskhelia e quella che è l’anima del nuovo Napoli, ha creato e attivato un circuito emozionale privilegiato con il pubblico, con i giornalisti, con l’ambiente intorno al club azzurro. Intanto perché l’impatto istantaneo dell’esterno georgiano ha dimostrato che De Laurentiis, Giuntoli, Spalletti e i loro staff avevano immaginato, disegnato e poi seguito un percorso articolato, coerente, per voltare pagina dopo la fine di un ciclo lungo e luminoso – non a caso anche Osimhen ha segnato due gol in due partite, e Lozano è stato tra i migliori sia contro il Verona che contro il Monza. Allo stesso modo, il calcio di Kvaratskhelia ha riacceso l’entusiasmo, come succede ogni volta che gli esseri umani scoprono una cosa bella di cui ignoravano l’esistenza. La depressione acuta per un mercato ritenuto scialbo si è trasformata, anzi si è completamente ribaltata: ora il Napoli è una società-squadra-entità carica di euforia, di attesa positiva. Certo, su questo plot twist incidono anche gli arrivi di Simeone, Ndombélé e Raspadori, ma la verità è che finora Spalletti ha puntato – o ha potuto puntare, ma la sostanza non cambia – su un nuovo acquisto, uno solo. Ed è bastato per dare nuovi impulsi, per ricreare passione e coinvolgimento intorno agli azzurri.
Forse è proprio questo l’aspetto su cui riflettere di più, il punto in cui si determina la vera rivoluzione di Kvaratskhelia. Per anni il Napoli si è esaltato ed è stato – giustamente – esaltato perché aveva una chiara identità tecnico-tattica, perché era una squadra costruita in modo sostenibile eppure in grado di fissare altissimi standard estetici e di efficacia, di garantire continuità di risultati – tecnici, economici – pur giacendo appena fuori dall’élite nazionale e internazionale. La fine inevitabile di quel ciclo faceva presagire uno smarrimento iniziale e quindi un ridimensionamento, del resto tutti i tifosi del mondo sono vittima della distorsione cognitiva conosciuta come retrospettiva rosea, quel fenomeno psicologico per cui le persone tendono a giudicare il passato in modo molto più positivo di quanto giudichino il presente, figuriamoci quelli del Napoli dopo gli anni di Insigne, Mertens, Koulibaly. Eppure ora il vento sembra già cambiato: il Napoli di Kvaratskhelia e di Osimhen, di Lozano e Lobotka, di Anguissa e Di Lorenzo, in attesa che diventi il Napoli di Kim Min-jae, Ndombélé e Raspadori, è una squadra già molto distante da quella del passato, eppure ha riconquistato il proprio pubblico. In questo processo il talento di Kvaratskhelia ha avuto – e avrà – un peso enorme, e la lezione è proprio questa: aver aspettato tanti anni senza cambiare potrebbe aver tolto agli azzurri la possibilità di scovare altri giocatori come Kvaratskhelia. Che magari non diventerà mai forte come Insigne, che magari non segnerà quanto Mertens e non sarà eletto a simbolo come Koulibaly, ma intanto ci ha messo un attimo, meno di due partite, a portare il Napoli nel luogo più bello da scoprire ed eccitante da visitare: il futuro.