Il terrore negli occhi di chi affronta Haaland, versione Premier League

L'attaccante norvegese ha già spaccato, a modo suo, il campionato più ricco e difficile del mondo.

Lo status di un giocatore si capisce dai movimenti degli avversari attorno a lui, oltre che dai suoi. Il gol con il quale Erling Haaland ha chiuso la sua prima tripletta inglese – sabato scorso, all’Etihad Stadium contro il Crystal Palace – spiega tutto quello che c’è da capire di questo giocatore, compresi i difetti (che sono semplici mancanze, vuoti che si possono colmare con l’esperienza e l’apprendimento, non difetti veri e propri) che hanno fatto dubitare della sua capacità di confermarsi il centravanti più forte del mondo pur giocando nella squadra di Pep Guardiola, l’allenatore che ha definitivamente separato il ruolo del centravanti dall’identikit tattico, tecnico e fisico al quale aveva risposto per tutto il primo secolo di esistenza del pallone. A rivedere l’azione dal suo inizio, poco oltre la metà campo del City, viene da sorridere a notare l’enfasi con la quale Haaland detta il passaggio a Gundogan: i due si stanno chiaramente guardando, Gundogan è un giocatore troppo intelligente e con troppa autostima per non provare quel passaggio in profondità, eppure Haaland muove le braccia, gli indica la traiettoria come se avesse paura di perdere l’occasione. Siamo all’81esimo minuto di una partita di campionato all’inizio della stagione, e quell’enfasi si capisce ma fino a un certo punto. Per provarci, ieri Sam Lee ha scritto un pezzo su The Athletic in cui usa tutta una serie di modi di dire norvegesi per spiegare il rapporto quasi morboso che Haaland ha con il gol: il pezzo si intitola “Haaland is goal horny”, segnare lo fa arrappare, si potrebbe dire con licenza poetica.

Il terzo gol contro il Crystal Palace, si diceva. Quando il pallone si stacca dai piedi di Gundogan – ovviamente con i tempi esatti, con i giri contati – si capisce perché Haaland sia guardato come quegli animali nati da insoliti incroci tra appartenenti a specie diverse, quelli che ogni tanto si trovano nella colonne a destra delle homepage dei siti dei quotidiani, nei servizi-riempitivo alla fine delle edizioni meno seguite dei telegiornali. Haaland è allo stesso tempo troppo grosso e troppo veloce, e l’eccezionalità delle sue caratteristiche fisiche la si vede nei movimenti dei suoi avversari, che in quella circostanza sono entrambi i centrali difensivi del Crystal Palace. Uno prova ad affrontare Haaland in corpo a corpo, e a vedere il replay ci sono momenti in cui ha quasi l’impressione di essere davanti a un immagine modificata, falsificata: è come se il corpo di Haaland si espandesse improvvisamente e la sua presenza aumentasse – mi ha fatto venire in mente quelle scene del Signore degli Anelli in cui Gandalf si incazza e la sua figura diventa improvvisamente imponente –, impedendo all’avversario non tanto il contatto con il suo corpo o con il pallone, ma il movimento stesso. Succede praticamente la stessa cosa, anche se in una circostanza di gioco diversa, in occasione del gol dell’1 a 0 segnato da Haaland contro il Nottingham Forest, l’inizio della sua seconda tripletta inglese: i difensori non riescono a passargli davanti, e quindi affrontano ogni duello fisico con lui in una condizione di inferiorità.

Nell’altro centrale del Palace, poi, si legge l’altra eccezionalità di Haaland: la velocità. Che non è solo la velocità della corsa, come tutti sottolineano da quei sessanta metri coperti in sei secondi in quella partita di Champions League contro il Psg. È la velocità di esecuzione, la caratteristica che potenzialmente lo rende il centravanti perfetto per una squadra di Guardiola: la capacità di ottenere il massimo con il minor numero di tocchi possibile. Nella partita contro il Palace Haaland ha segnato tre gol con tre tocchi, uno di testa in area piccola, uno di piede a due passi dalla riga di porta, uno con un tiro potente e preciso dal limite dell’area. Il terzo, in particolare, è la dimostrazione di questa sua inquietante capacità di essere già pronto a calciare ancora prima che il difensore avversario abbia capito come fare a intervenire. Haaland fa di più che sottrarre un’unità al tempo del gioco: priva il difensore avversario di una giocata intera.

Haaland ha esordito solo un mese fa con il Manchester City, eppure c’è già materiale a sufficienza per le compilation All Goals & Assists su YouTube

Certo, la semplicità del gioco di Haaland – che non è però una semplicità “inzaghesca”, l’attaccante che si arrapava a segnare persino più di lui; è una semplicità simile a quella con la quale si portava in campo Christian Vieri, forse l’unico giocatore al quale ha senso paragonare Haaland – rappresenta anche, come si diceva prima, la sua principale mancanza in questo momento. È evidente che Guardiola pretenda da lui l’aggiunta di moltissime linee di movimento, sia in orizzontale che in verticale. Lo sa lui e lo sanno i suoi compagni: Rodri ha proprio detto che Erling ha ancora «molto da migliorare». Il fatto è che per il momento Haaland sembra capace solo di quel movimento, come se non si trattasse di uno spostamento consapevole e razionale nello spazio ma di una spinta, una propulsione in avanti portata dall’intervento di chissà quale forza misteriosa e istintiva. Che tipo di giocatore sia Haaland lo si capisce da un fotogramma che nulla ha a che vedere con gol, triplette e vittorie. Sempre contro il Crystal Palace – la partita contro il Nottingham, che dovrebbe essere l’altra metà di questo pezzo, è stata talmente facile che non ha fornito grossi spunti né per l’analisi né per il racconto – dopo il gol dell’1 a 2 segnato da Bernardo Silva, Haaland è il giocatore che scatta dentro la porta del Palace per andare a recuperare il pallone e portarlo a centrocampo. È uno scatto vero e proprio, in piccolo e in breve perfettamente identico a quelli che Haaland fa nei “suoi” momenti della partita. Lascia davvero l’impressione di avere in sé solo quel movimento, soltanto quella direzione.

Ora che ci penso, nella partita contro il Nottingham è successa una cosa che serve a spiegare Erling Haaland. Al minuto 65 Alvarez segna il il 5 a 0 per il City con un diagonale rasoterra. Alvarez calcia da destra verso sinistra, e sulla sinistra si vede Haaland che, ovviamente, è scattato verso la porta e verso il pallone, pronto alla possibile deviazione, all’eventuale ribattuta. Questa volta non serve, perché il pallone finisce in porta senza bisogno del suo intervento. Ma è evidente, nel linguaggio del corpo di Haaland, nel modo in cui la sua corsa rifiuti di fermarsi, che dal suo punto di vista la questione non è che del suo intervento non c’è stato bisogno: è che stavolta lui non ha fatto in tempo a toccare quel pallone. Prima di alzare le braccia per esultare e di raggiungere i compagni che festeggiano, Haaland si ferma un attimo davanti alla porta del Nottingham. Il pallone gli rimbalza davanti, all’altezza giusta per essere calciato. Lui lo ribadisce in rete con forza, come se volesse ricordarsi come sarebbe dovuta andare, il corretto corso degli eventi.