Florentino Pérez non muore mai

Il presidente del Real Madrid è un uomo temuto e controverso, eppure è intoccabile alla guida dei Blancos. Forse perché nessuno riesce ad adattarsi e a guardare al futuro come lui?

Il 27 maggio 2022, alla vigilia della finale di Champions League tra Real Madrid e Liverpool, il New York Times ha pubblicato un lungo articolo su Florentino Pérez. Nel testo ci si chiedeva per quale motivo la figura del presidente dei Blancos fosse un vero e proprio unicum, nel pur variegato panorama del calcio mondiale. Si trattava di una domanda legittima, visto che erano i giorni dell’ennesima porta in faccia sbattuta dall’UEFA sul tema Super Lega, i giorni in cui Kylian Mbappé aveva fatto sapere che non si sarebbe mosso da Parigi. Due spallate forti, che avrebbero scalfito e fatto vacillare chiunque. Chiunque, tranne Florentino Pérez. Il NYT, però, pose l’accento soprattutto sul dopo. In un qualsiasi altro contesto, infatti, il protagonista di due fallimenti così fragorosi sarebbe stato chiamato, come minimo, a fornire delle spiegazioni. O, come capitato a Barcellona, si sarebbero invocate a gran voce le sue dimissioni. A Madrid e nel Real, invece, non sarebbe successo nulla di tutto questo. Ed è andata proprio così. In fondo non poteva essere altrimenti: Pérez è uno degli uomini più influenti nella storia del club, non tanto – e non solo – per i molteplici successi sportivi arrivati nel corso degli anni, quanto per l’importanza assunta sia dal punto di vista politico che comunicativo.

Lo status di intoccabile di Pérez è frutto di decenni di meticoloso lavoro sul suo stesso personaggio, cominciando dal lato imprenditoriale per poi proseguire con quello politico e, ovviamente, calcistico. Classe 1947, Florentino è al comando del Real Madrid da oltre vent’anni, passati quasi sempre ricoprendo la carica di dirigente numero uno del club. Tutto è iniziato nel 2000, con la promessa – poi mantenuta – di strappare Luis Figo al Barcellona in caso di vittoria delle elezioni presidenziali. L’unico momento di distacco è stato quello vissuto nel triennio 2006-2009, dopo le dimissioni dall’incarico date per riorganizzarsi, per riscattare alcuni anni di magra. E per cambiare approccio alla gestione sportiva, passando dai Galácticos, dagli Zidanes y Pavónes a una politica diversa. È stato lui stesso a confessare il cambio di visione, di strategie: in un’intervista rilasciata a Marca nel giugno 2017, disse che «al Madrid ci siamo sempre concentrati sull’acquisto dei calciatori più forti in assoluto e dei migliori prospetti spagnoli, e poi sulla formazione interna. Ora abbiamo perfezionato il nostro modello, siamo attenti ai giovani provenienti da tutto il mondo. Stiamo portando avanti un grande progetto, che garantirà il nostro domani». Fin dal momento del suo ritorno, Florentino ha dunque rimodellato la Casa Blanca a sua immagine e somiglianza, trasformando quest’era in una tra le più solide – sportivamente, ma a tratti anche economicamente – dell’ultracentenaria storia del club. I numeri non mentono: Florentino ha portato in bacheca la bellezza di 31 titoli complessivi, un numero che lo rende il presidente con più trofei della storia del calcio.

Secondo Forbes, oggi Florentino è il dodicesimo uomo più ricco di Spagna, con un patrimonio personale di oltre due miliardi di euro. E proprio i soldi sono la costante degli anni di presidenza Pérez al Real Madrid, miliardi di euro investitu non solo perrinforzare la squadra sul mercato anno dopo anno, ma anche nelle infrastrutture di Valdebebas e nel rimodernamento del Santiago Bernabéu, avviato durante il primo lockdown del 2020 e in fase di ultimazione. Decisioni che hanno influito sulle sue riconferme, elezione dopo elezione, contro avversari per lo più improbabili e poco credibili. Anche perché, per fare terra bruciata intorno a sé, Florentino ha messo ai voti e fatto deliberare una norma per cui chiunque ambisca alla presidenza dei Blancos debba tassativamente essere socio da minimo vent’anni, e inoltre deve avere un patrimonio personale pari almeno al 15% delle entrare del club. Paletti difficili da aggirare, così come l’abolizione del limite di mandati consecutivi, che hanno portato l’attuale numero uno del Real Madrid a rafforzare ulteriormente la sua posizione all’interno della società.

Quella che ha tutta l’aria di essere una serie di provvedimenti ad personam, paradossalmente, ha fatto molto bene al Real Madrid, è come se avesse dato al progetto di Florentino una maggiore solidità sportiva. Il merito è anche suo, di Pérez, che infatti ha ampiamente dimostrato di essere l’uomo giusto per mantenere il club a certi livelli, ma anche di saper assorbire gli inevitabili periodi no che ciclicamente si sono presentati durante la sua presidenza. Nel 2018, per esempio, il contemporaneo addio di Ronaldo e Zidane aprì delle crepe profonde nell’ambiente madridista, determinò una situazione difficile da gestire vista l’impossibilità economica di sostituire CR7 nell’immediato e il fallimento tecnico del post-Zizou, prima con Lopetegui e poi con Solari. Florentino non si scompose: riguardo Ronaldo e la sua eredità, si premurò di far sapere che il Real Madrid sarebbe tornato presto a fare grandi acquisti in poco tempo; per quanto riguarda l’allenatore da mettere in panchina al posto di Zizou, fece la scelta più semplice ma anche intelligente, ovvero si mise al lavoro per riportare in panchina il tecnico francese. Che, effettivamente, accettò l’offerta. E in questo modo aiutò – nemmeno troppo indirettamente – Pérez a vincere le elezioni presidenziali per la terza volta consecutiva.

Un altro punto di forza di Pérez è la sua reale natura, quella di imprenditore/affarista scaltro e senza scrupoli. Il suo è un modo di gestire il club che fa la differenza rispetto ad altri contesti, primo tra tutti quello del Barcellona: mentre la società blaugrana si è indebitata offrendo rinnovi plurimilionari a stelle in decadenza, finendo per farsi trascinare nelle sabbie mobili della crisi economica legata alla pandemia, Pérez è sempre stato chiaro, ha sempre messo il Real al centro di tutto. E allora ogni scelta è stata fatta e viene fatta in funzione del club, del suo futuro, cancellando in partenza qualsiasi sentimentalismo e qualsiasi legame con il passato. Quasi come a dire: non mi importa di ciò che è successo prima di me, ora qui ci sono io e allora definisco a modo mio il concetto stesso di madridismo. E così, negli anni, il Real non si è mai fatto scrupolo a lasciar andare gli idoli del Bernabéu, a esercitare una vera e propria arte delle cessioni: l’esempio di Ronaldo, protagonista di quasi tutte le vittorie recenti del club, è quello più significativo, ma non bisogna dimenticare il trattamento riservato a gente come Sergio Ramos e Iker Casillas. Il punto è che Pérez ha sempre avuto bene in mente cosa fare, ma soprattutto come farlo.

Probabilmente questo suo pragmatismo è figlio dell’attivismo politico che, in gioventù, lo ha portato a frequentare ambienti di un certo tipo, in cui anche la minima decisione sbagliata può pregiudicare un’intera campagna elettorale. Cresciuto in una famiglia del ceto medio, figlio di due farmacisti che, a suo dire, «non concepivano nemmeno di non lavorare alla domenica», negli anni Settanta è diventato il braccio destro di Juan de Arespacochaga, ex sindaco di Madrid con simpatie franchiste nonché politico capace di costruire le proprie fortune nel campo dell’edilizia, non sempre – per usare un eufemismo – in maniera trasparente. La sua ascesa imprenditoriale è continuata nel decennio successivo, quando ha rilevato due società sull’orlo del fallimento e ha fondato Acs, divenuto negli anni il primo appaltatore di lavori pubblici in Spagna – secondo le cronache dell’epoca, la compiacenza dell’ex premier José Maria Aznar ha aiutato Pérez nella sua scalata. Un’altra sua passione, quella per l’editoria, ha invece deciso di lasciarla da parte, formalmente per non creare conflitti di interesse con l’incarico che ricopre. Ma in realtà, tutte le realtà giornalistiche spagnole sono fortemente influenzate dal personaggio.

Facendo un rapido calcolo, in questa foto ci sono tre uomini che hanno vinto 15 Champions League nelle loro varie carriere (Denis Doyle/Getty Images)

La longevità di Florentino Pérez è legata anche a un’altra abilità: quella di saper usare alcuni media per intimidire i suoi avversari. Essendo un uomo potente e con interessi un po’ in tutti i settori più importanti di Spagna, è molto complicato che qualcuno possa e osi andargli contro. Viceversa, per lui è usuale utilizzare certi spazi per veicolare i propri messaggi. Non è un caso, per esempio, che l’annuncio della nascita Super Lega – progetto al momento accantonato ma pronto per essere riproposto – sia avvenuto ufficialmente a El Chiringuito, un programma televisivo che può contare su una platea di ascolti molto importante, ma che soprattutto già in passato aveva “aiutato” il Real Madrid a gestire certe situazioni delicate. Nello specifico, proprio da quegli studi sono state tirate bordate feroci contro i giocatori che non volevano lasciare il club. È toccato a Iker Casillas, poi a Sergio Ramos, più recentemente a Eden Hazard e Gareth Bale, solo per rimanere ai casi più eclatanti. E questo contesto non fa che aumentare lo status, la credibilità di un uomo ormai diventato inscalfibile da tutti i punti di vista, come confermato a posteriori proprio dalla vicenda Super Lega: a Barcellona Bartomeu è stato cacciato addirittura prima del termine del suo mandato, in Italia si è fatto un gran parlare della figuraccia di Andrea Agnelli, costretto da Ceferin a dimettersi dal ruolo di presidente dell’ECA. Florentino Pérez invece ne è uscito pulito, promettendo che il tanto agognato torneo si farà. E che a dettarne le regole sarà lui.

Cultore della vittoria, del futuro del calcio in stile NBA, delle potenzialità del web e dello sport trasmesso via OTT, nel recente passato – sempre per la questione Super Lega – Pérez si è inimicato anche il presidente della Liga, Javier Tebas. Che, inspiegabilmente, dopo qualche scambio tagliente a mezzo stampa ha deciso di complimentarsi con il Real Madrid per la sua oculata gestione economica, a dispetto dei disastri combinati in casa Barcellona. Forse perché parliamo di un presidente che di calcio, in fondo, ne capisce. A conferma di ciò, giusto per citare un avvenimento recente, c’è la gestione dell’addio di Casemiro: a poche ore dalla chiusura del mercato il Manchester United ha presentato un’offerta da 70 milioni per il 30enne ex Porto. Nonostante l’importanza del brasiliano, Pérez non si è fatto problemi a dare il via libera alla sua cessione. Anche perché, negli ultimi anni – e in vista dell’ormai inevitabile ricambio generazionale – aveva portato a Madrid tre giovani di valore assoluto come Federico Valverde, Eduardo Camavinga e, ultimo in ordine cronologico, Aurelien Tchouameni. Ripetendo, di fatto, l’operazione fatta in attacco con gli acquisti di Vinícius Júnior e Rodrygo, i quali non hanno fatto rimpiangere l’addio di Cristiano Ronaldo. Il tutto affidandosi quasi solo al proprio intuito, quello che gli ha consigliato di riportare Carlo Ancelotti a Valdebebas quando c’era bisogno di dare tranquillità a un ambiente indispettito per i pochi successi dell’ultima stagione con Zidane in panchina. In fondo anche il ritorno di Ancelotti è l’ennesima medaglia appuntata al petto di un uomo controverso, per alcuni versi discutibile nei modi, ma sicuramente destinato a essere ricordato come uno dei più importanti e vincenti dirigenti mai apparsi sulla scena del calcio mondiale.