Stanislav Lobotka gioca a calcio come se fosse un torero

Evita gli avversari con bellissime finte di corpo e nascondendo il pallone: un modo nuovo di fare regia, che lo rende unico e perfetto per il Napoli di Spalletti.

Per chi segue davvero il Napoli, la data della prima apparizione/rivelazione cade il 28 novembre 2021. Allo stadio Maradona si gioca in notturna, piove forte e gli azzurri sfidano la Lazio allenata da Maurizio Sarri. Spalletti non ha a disposizione Franck Zambo-Anguissa, che fin dall’inizio della stagione è stato mastice e colonna per il centrocampo del Napoli, ha permesso a Fabián Ruiz di agire come pivote davanti alla difesa – con buonissimi riscontri – e a Zielinski di fare la spola tra il ruolo di mezzala e quello di sottopunta. Al posto del camerunese, Spalletti può scegliere tra Elif Elmas, Diego Demme e Stanislav Lobotka. E alla fine decide di far giocare lo slovacco ex Celta Vigo, che da gennaio 2020 – quando è arrivato al Napoli per una cifra importante: 21 milioni di euro – ha accumulato solo 16 gare da titolare in tutte le competizioni, di cui appena undici in campionato, e non ha mai convinto del tutto. Gattuso gli ha sempre preferito Fabián, Demme e poi anche Bakayoko, forse perché Lobotka dava l’impressione di essere un giocatore imbolsito, non perfettamente in forma, lento e timido e impacciato in tutte le sue espressioni tecniche, anche quelle più elementari; Spalletti l’ha utilizzato nelle prime due gare della Serie A 2021/22 ma poi l’ha perso per infortunio, così senza di lui ha trovato un nuovo assetto convincente, funzionale per il suo calcio liquido e verticale. È per questo che tutti si sorprendono un po’ quando Lobotka viene annunciato in formazione, anche perché l’avversario di giornata è la-Lazio-di-Sarri, una squadra che proverà a tenere il possesso e a pressare il possesso del Napoli, allora è necessario che il centromediano sia un giocatore lucido ma anche ambizioso, essenziale ma anche creativo. Insomma, tutto ciò che Lobotka non era riuscito a essere in due anni scarsi vissuti con la maglia azzurra addosso.

Per chi non ha vissuto in Spagna e quindi non conosce davvero la cultura iberica, è difficile capire cosa fa un torero, come lo fa e quando lo fa: la stragrande maggioranza di noi pensa che toreare voglia dire sventolare un drappo davanti alla faccia del toro e poi sollevare o scostare velocemente questo drappo prima che venga incornato. In realtà questo tipo di evoluzioni rappresentano solo una parte del cosiddetto Tercio de varas, la fase iniziale – e meno cruenta – della corrida, e per portarle a termine servono coraggio e sfrontatezza, ma soprattutto grandi qualità fisiche e di coordinazione, una velocità spiccata, una certa eleganza nei movimenti. La sera di Napoli-Lazio, che per la cronaca finisce 4-0 in favore degli azzurri, Stanislav Lobotka assume per la prima volta le sembianze del calciatore che è oggi, nel senso che prende a giocare come se fosse un torero in una plaça de toros: evita le cariche (il pressing) dei tori (degli avversari) in maniera continua, con finte di corpo in apparenza sempre uguali ma in realtà sempre diversa, e grazie a questa sue giocate proverbiali apre spazi enormi per il gioco liquido e verticale della squadra di Spalletti. L’unica differenza è che fa tutto questo senza maneggiare un drappo, ma nascondendo la palla prima di passarla ai compagni.

Una bella compilation di giocate, non c’è che dire

Forse non è proprio un caso che Lobotka si sia affermato in Spagna, nel Celta Vigo, e che Spalletti abbia scomodato il paragone con Andrés Iniesta dopo la vittoria per 2-5 contro l’Hellas Verona alla prima giornata di questo campionato. Al di là delle suggestioni, è evidente che le caratteristiche fisiche e tecniche di Lobotka rimandino a un calcio latino e sinuoso, molto tecnico e quindi dal grande impatto estetico: il baricentro basso e l’alta rapidità delle gambe rendono imprevedibili e spesso incontenibili i suoi movimenti e i suoi dribbling, il controllo della sfera nello stretto è sempre eccellente e mai banale, il tocco ravvicinato a smarcare i compagni è pulito e preciso, i passaggi verticali a tagliare le linee e quelli laterali ad aprire il campo – tendenzialmente rasoterra ma a volte anche alti – sono azzardati, rischiosi, ma riescono in buona percentuale.

Il punto è che tutte queste doti, come si vede in alcuni punti del video appena sopra, non pregiudicano l’efficacia fisica e tattica di Lobotka, anche quando deve difendere: il suo tempismo negli anticipi e nelle chiusure è quasi sempre perfetto, così come la capacità di coprire il pallone con il corpo un attimo dopo averlo riconquistato. Non si direbbe, visto che è alto poco più di 170 centimetri, ma parliamo di un calciatore difficilissimo da spostare o da buttare a terra, anche perché va prima toccato e contenuto con il corpo, altrimenti è quasi certo che riuscirà a sgusciare via: Lobotka infatti sa essere velocissimo, è come se sparisse, è come se possedesse la facoltà di attraversare i corpi che gli si parano davanti. Anche se sono più alti di quindici o venti centimetri, anche se sono più grossi, più muscolosi.

All’inizio di questa estate, pochi giorni dopo aver accolto Lobotka in ritiro tributandogli un inchino molto scenico che ricordava proprio quelli dei toreri, Luciano Spalletti – insieme a Cristiano Giuntoli – aveva annunciato che il nuovo Napoli sarebbe ripartito dal 4-3-3. E quindi da Lobotka, da un mediano che potrebbe anche giocare in una linea a due, ma che si esprime decisamente meglio in un reparto a tre. Per due motivi: il primo è che con due mezzali di fianco ha maggiori soluzioni per cercare lo scarico oppure un dai-e-vai per aprirsi il campo; il secondo è perché con due scudieri accanto a lui può guidare il pressing in maniera più ambiziosa, più rischiosa: non lo vediamo spesso perché il Napoli ha la seconda percentuale di possesso grezzo in Serie A (56.7% di media a partita), ma è Lobotka che alza i compagni e detta i tempi delle scalate quando la squadra di Spalletti entra nella metà campo avversaria per aggredire gli avversari, per cercare la riconquista in zona avanzata.

Parlando del Napoli, è inevitabile che tornino alla mente gli anni di Sarri e di Jorginho, un altro 4-3-3 e un altro mediano specializzato. Rispetto a Jorginho, però, Lobotka è un regista ancora più atipico, che ha un’impostazione mentale, tattica e posturale tutta sua e quindi completamente diversa: naturalmente avrebbe la qualità tecniche per fare ciò che Jorginho fa benissimo da anni, ovvero far girare la/e sua/e squadra/e muovendo il proprio corpo e poi la palla con scambi stretti e ad alta frequenza, ma in realtà lo slovacco ama ingobbire le spalle, farsi pressare dagli avversari e condurre la sfera al piede, a testa alta, correndo per ampie porzioni di campo, in orizzontale ma anche in verticale. È così che crea spazi per i compagni, è così che ridicolizza – è un termine forte, ma è perfettamente centrato – il pressing degli avversari, è così che riesce a disordinarli e a tenere sempre connessi i suoi compagni tra loro.

Stanislav Lobotka gioca in questo modo, slalomeggiando e toreando, fin da quando si è manifestato nel calcio che conta: nelle prime gare al Trencin e con le Nazionali giovanili della Slovacchia mostrava già una grande tecnica nel dribbling e letture di gioco piuttosto sofisticate, al punto da spingere l’Ajax ad acquistarlo e a farlo giocare nella seconda squadra; l’esperienza in Olanda in realtà andò piuttosto male – «Evidentemente non era arrivato al momento giusto», ha detto Daley Blind dopo la doppia sconfitta contro il Napoli di qualche giorno fa – e così Lobotka è tornato a casa, di nuovo al Trencin, per poi spostarsi in Danimarca, al Nordsjælland. Una scelta stranissima ma vincente, visto che in due anni si è imposto come faro del centrocampo e ha attirato le attenzioni del Celta Vigo, una delle squadre tatticamente più interessanti della Liga, un contesto perfetto per un profilo particolare come il suo. E infatti Lobotka in Galizia è diventato in poco tempo un mediano di culto, una specie di attrazione per gli amanti di un certo tipo di gioco: il giornale Ecos del Balón, non a caso, lo definì «un giocatore dalla personalità travolgente, uno dei migliori quando si tratta di farsi dare il pallone e portarlo al di là delle linee avversarie».

Reperti di epoca esclusivamente spagnola

Nello stesso articolo c’era scritto pure che «Lobotka possiede un lato oscuro: ottiene pochi vantaggi attraverso i suoi passaggi». È un aspetto in cui il centrocampista del Napoli può effettivamente migliorare, ma forse la sua forza sta proprio nel suo essere multiforme, nel suo essere un mediano in grado di strappare palla al piede ma anche di fare regia in maniera più classica, di ragionare in modo più conservativo, di abbassare il ritmo attraverso una gestione più calma e sapiente del possesso – come è riuscito a fare, per esempio, quando ha dovuto fronteggiare il pressing asfissiante del Liverpool di Klopp.

Ed è proprio questa capacità di variare stili e registri che lo rende perfetto per il Napoli di Spalletti, una squadra che si sta evolvendo, che sta abbracciando il calcio verticale – il calcio di Osimhen, Kvaratskhelia, Lozano – dopo anni di devozione al mito fatuo ma seducente del gioco di possesso. Il torero Lobotka sta guidando gli azzurri in questa transizione, lo sta facendo con la sua eleganza non convenzionale – la sua muscolarità è tozza, la sua corsa è fluida ma breve: l’esatto contrario di Anguissa – e con la sua capacità di esercitare l’arte del dribbling e della penetrazione tra le linee molti metri prima che cominci la trequarti avversaria. Una dote che lo rende unico, e che sta trascinando il Napoli in un’altra dimensione. Non solo tattica, ma anche di qualità, quindi di ambizione.