L’improvvisa e accecante apparizione di Anguissa

Il centrocampista camerunese e si è impadronito subito del Napoli, e della Serie A.

Un pomeriggio di fine estate, sospesi tra ricordi di vacanze appena finite e la previsione di un autunno incerto, ci siamo messi a guardare Napoli-Juventus. Il campionato era alle prime battute e nessuno, durante le partite iniziali, sa bene cosa aspettarsi, e forse non vuole nemmeno saperlo, meglio vivere nel limbo fino alla settima, facciamo pure ottava giornata, a quel punto le cose saranno definite meglio, le situazioni di classifica – sia in testa che in coda – cominceranno a delinearsi, noi stessi avremo accantonato l’estate, indossati i primi pullover, le scarpe più alte, i calzini più lunghi. Eppure, pigri o meno, tifosi del Napoli o della Juve o meno, in quel pomeriggio di settembre abbiamo dovuto concentrarci improvvisamente, prestare attenzione, guardare dentro la partita, stare sul campo, perché proprio là, al centro del terreno di gioco, era precipitato (l’impressione è stata questa), era stato catapultato (o questa), materializzatosi dopo il teletrasporto (o perfino questa) un calciatore di cui nessuno sapeva nulla: André Frank Zambo Anguissa.

Chi era costui? Da dove arrivava? Il Napoli lo aveva appena preso in prestito, non avevamo fatto in tempo nemmeno a controllarne la nazionalità. Qualcuno sussurrava fosse del Camerun, qualcuno abbozzava avesse giocato a Marsiglia, altri aggiungevano un dettaglio usando la parola Villarreal, ma viene dalla Premier League, si atteggiava qualcun altro, guarda che è del Fulham, precisava quello che ormai aveva letto tutto su Transfermarkt o, alla peggio, su Wikipedia, e perciò dalla Championship. C’era un po’ di confusione, si assemblava un puzzle in tutta velocità, lo stupore però era comune: Anguissa, chiunque fosse e da dove venisse, stava in campo come se conoscesse i compagni di squadra da anni, come se fosse un veterano della Serie A, e ne avesse assimilato le dinamiche. Sembrava che qualcuno – forse lo stesso che lo aveva calato sull’erba del Diego Armando Maradona – gli avesse inserito un microchip con tutti gli almanacchi, tutte le possibili varianti del gioco, gli anticipi da fare, cosa avrebbe fatto quel compagno, come si sarebbe mosso tale avversario.

La sorpresa è stata così piena che non contava più se alla fine di Napoli-Juventus ci fossero tre punti in palio, perché – ovvietà tra le ovvietà – quei punti sarebbero andati per forza alla squadra nella quale era comparso all’improvviso Anguissa, di ruolo centrocampista. L’impatto del calciatore nell’economia del gioco del Napoli è stato incredibile, ha reso agevoli i movimenti e i tempi dei compagni di squadra, ha rilassato chi gli corre intorno, perché Anguissa ha il dono di fare ogni cosa con calma e grazia. Calma e grazia: due aspetti che, uniti a una tecnica molto buona e all’agonismo, lo fanno decisamente brillare nel campionato di Serie A, che è interessante ma non sembra essere attraversato da fenomeni.

Qualche giorno fa una specie di pinguino che vive solo in Antartide (per chi volesse approfondire c’è un bell’articolo su Il Post) è stato trovato a 3000 chilometri di distanza, su una spiaggia della Nuova Zelanda centrale. Lo hanno chiamato Pingu, ma qui lo chiameremo Zambo. Non sono ancora ben chiari i motivi per i quali Pingu/Zambo sia finito così lontano, tra le ipotesi più accreditate c’è quella relativa al cambiamento climatico. Chi ha trovato Zambo ha commentato: «Pensavo fosse un peluche, poi all’improvviso ho mosso la testa e ho capito che era vero». Zambo è stato curato e poi portato su una spiaggia a una decina di chilometri dal luogo del ritrovamento, sperando che da lì riprenda la via di casa. Penso al pinguino da quando ho cominciato a ragionare sulla scrittura di questo pezzo, e lo penso, rapportato ad Anguissa, in questo modo: Zambo è sempre stato “costretto” dal cambiamento climatico (che per comodità chiameremo calciomercato) a giocare in habitat molto distanti dal suo, e il suo era Marsiglia (dove prima del Napoli ha dato il meglio di sé), le spiagge neozelandesi sono state la Spagna (disorientamento) e l’Inghilterra (disorientamento in espansione).Zambo si trova a un certo punto posizionato in una zona abbastanza centrale di Londra, da lì, gli scienziati che, per comodità chiameremo procuratori, sperano possa ritrovare la via di casa o, perlomeno, un habitat, che la ricordi. Ed ecco che Zambo a un certo punto sente qualcosa, una sorta di richiamo, segue l’acqua che poi è la metropolitana di Londra, o un taxi, la segue fino all’Oceano, che poi è Heathrow, e da lì fino al mar Tirreno che poi – parliamoci chiaro – è lo stesso di Marsiglia, ed ecco Capodichino, ed ecco Fuorigrotta, ed ecco il Diego Armando Maradona, ed ecco il cerchio di centrocampo. Zambo più calmo che mai, prima del fischio d’inizio, segue i rituali arbitrali, lo scambio dei gagliardetti, non si muove, tanto che dagli spalti e dai divani si sente dire: «Pensavo fosse un peluche, poi all’improvviso l’arbitro ha fischiato l’inizio, ha cominciato a correre, ha anticipato un avversario e ho capito che era vero». Napoli, nuovo habitat naturale.

Rudi Garcia, che lo ha allenato a Marsiglia, ha affermato: «Con Anguissa vai in guerra», senza esagerare con le iperboli, a noi basta che con Zambo si vada in campo, si sta più tranquilli, è come se osservassimo il Napoli in maniera più serena, sapendo in partenza che alcune cose sono già fatte, già sistemate, qualcuno anticiperà, qualcuno coprirà un compagno, qualcuno recupererà un pallone, qualcuno si libererà di uno o due avversari con una giravolta, qualcuno farà un assist, qualcuno andrà vicino al gol, qualcuno applaudirà ora Mário Rui ora Zielinski, qualcuno non protesterà, qualcuno sarà in grado di giocare gran parte di una partita con un’ammonizione sulle spalle senza manifestare ansia, senza incappare in un secondo cartellino, senza abbassare di livello la sua prestazione. Qualcuno è Zambo, un pinguino tornato in Antartide, un centrocampista sceso a Fuorigrotta.

Anguissa è un centrocampista moderno? Io davvero non lo so, di sicuro ci sta molto bene in questo calcio moderno. Come direbbero i tattici è bravo in entrambe le fasi, quella del recupero e quella della ripartenza rapida, attraverso l’impostazione. Dov’era? Ritorniamo indietro, perché nessuno in Premier League lo ha comprato? Perché non l’hanno capito? Forse semplicemente non era aria, come per il pinguino. Ho avuto la fortuna di guardare quasi tutte le partite del Napoli di quest’anno, conto pochissimi spezzoni in cui Anguissa è sceso al di sotto dei suoi standard. Un centrocampista così lo vede chiunque, parafrasando Bielsa su Messi, e qualcuno lo ha visto, e noi possiamo guardarlo giocare.

La sua comparsa improvvisa ha fatto pensare, a diversi osservatori, a quando il Napoli comprò Francesco Romano, l’uomo della svolta, l’uomo che sistemò il centrocampo di Bianchi, e che contò – nell’economia della stagione – quasi quanto Maradona. Alcuni anni fa, proprio in un pezzo per Undici, ho definito Romano (mutuando dai fratelli Cohen) L’uomo che non c’era, per Anguissa mi viene da dire quasi la stessa cosa. Anguissa è il cuscino sul quale i compagni possono fare sonni tranquilli: con lui vedi Fabián – del quale sono stato sempre innamorato – generare meraviglie, alcuni sogni incantevoli, sprazzi di realtà che si presentano prima rasoterra, fluidi, scorrevoli, fino all’incrocio dei pali. Fino a questo punto, Anguissa mi pare il miglior centrocampista del campionato.

Anguissa ha esordito nella Nazionale camerunese nel 2017, in un’amichevole giocata contro la Tunisia; da allora, ha accumulato 34 presenze ufficiali e cinque gol realizzati (AFP via Getty Images)

La scrittrice cilena Nona Fernández, nel suo Voyager (granvia, 2021, traduzione di C. A. Montalto), compie un viaggio stupefacente tra memoria personale e collettiva, tra ciò che accade al nostro cervello e ai nostri sentimenti e gli astri, le stelle, i pianeti e lo zodiaco. Il libro è molto bello, a un certo punto leggiamo: «Le stelle muoiono e rendono all’universo parte del materiale che le ha formate. A sua volta parte del materiale di una stella di una generazione precedente. Che a sua volta è parte del materiale di un’altra stella di una generazione più lontana. Le stelle sono fatte della polvere dei loro morti». E i calciatori di quale polvere sono fatti? Da quale materiale depositatosi su tutti i campi da calcio del mondo – dagli sterrati di periferia a San Siro, da una spiaggia in Yucatan al Camp Nou, dai campetti dietro la chiesa a Wembley – sono formati?

Poniamo che alcuni calciatori, magari tutti, siano composti da qualcosa che quelli prima di loro hanno perduto sul campo: minuscole particelle, detriti, visioni, brandelli di fantasia, vapore; potremmo giocare e dire che qualcosa di Cera è in Franco Baresi, qualcosa di Facchetti è finita in Paolo Maldini, qualcosa di Antognoni è in Tonali, qualcosa di Platini è scivolata in Pirlo e da Pirlo poi chissà dove, qualcosa di Zoff in Buffon e di Buffon in Donnarumma. Pietre, scaglie, zolle, fili, boati del pubblico. Nell’universo del calcio c’è anche parte del materiale che ha formato Anguissa, il compito nostro, da qui in avanti, è capire da chi provengano quei frammenti. Qualcosa di Jean Tigana? Qualcosa di Patrick Vieira? Qualcosa di Sergi Busquets? Qualcosa di Salvatore Bagni? Siamo spettatori, osserviamo, non possiamo fare altro, intanto siamo contenti perché Pingu (forse) tornerà in Antartide, perché Zambo è tornato a casa.