Elogio della piroetta inutile di Antony

Una cosa molto bella che non serve a niente, contro lo Sheriff in Europa League.

Chi conosce davvero Antony, l’esterno di fantasia che il Manchester United ha acquistato dall’Ajax per 100 milioni di euro, non si è sorpreso più di tanto per quello che è successo al 38esimo minuto della partita tra i Red Devils e lo Sheriff, valida per i gironi eliminatori di Europa League: dopo aver ricevuto un pallone sulla sua fascia destra, Antony se l’è attaccato al piede sinistro – letteralmente – e poi ha fatto due rotazioni complete su se stesso, con il pallone sempre incollato all’interno del piede, prima di cercare un passaggio in profondità per l’inserimento di Casemiro. Una piroetta, per dirla con il gergo della danza classica.

Il tocco poi è risultato troppo profondo, e quindi il Manchester United ha perso l’occasione di costruire un’azione pericolosa che avrebbe potuto determinare il gol del vantaggio – il risultato era ancora di 0-0, in quel momento. Riguardandola bene, Antony ha fatto una giocata completamente estetica e del tutto inutile, a livello di praticità, visto che il pressing su di lui – e su tutti i suoi compagni – era piuttosto blando e quindi non è che ci fosse tutta questa necessità di attrarre il suo marcatore diretto per aprire spazi in cui fare inserire i compagni, e che Casemiro avrebbe potuto sovrapporsi comunque. È tutto qui, in questo video:

Chi conosce davvero Antony non si è sorpreso più di tanto perché lui fa questa giocata da sempre, e quindi non c’è niente di nuovo da segnalare: basta una ricerca su internet per intercettare dei precedenti freschissimi – ecco qui la sua spin a 360° nella gara disputata sabato scorso a Stamford Bridge – e anche più antichi, che risalgono ai tempi in cui giocava e si allenava con l’Ajax. L’unica differenza rispetto al solito è che stavolta Antony ha sbagliato il passaggio successivo. E allora quella (doppia) giravolta è sembrata più insensata di quanto non lo fosse già. In un certo senso, però.

Ora, a mente fredda, basta riflettere un attimo per rendersi conto che la giravolta di Antony non ha aggiunto ma neanche sottratto niente allo svolgimento degli eventi, in questo caso dell’azione. Ha semplicemente dato il pretesto a molti giornali e a ex giocatori ora opinionisti per occupare spazio mediatico. C’è chi l’ha fatto in maniera intelligente e costruttiva come il quotidiano The Independent, che è partito da quella giocata per parlare di Antony, Nani, Ferguson, Ten Hag, per riflettere sul modo in cui è cambiato il calcio e il modo in cui viene percepito; c’è chi invece ne ha approfittato per attaccare Antony in maniera anche sgradevole, per esempio Robbie Savage e Paul Scholes hanno detto che il giocatore del Manchester United «è stato ridicolo», poi l’hanno definito «un pagliaccio».

In realtà non c’è nessun caso. Né di uomini che si truccano per lavorare nel circo, né di irrisione degli avversari e vilipendio dei valori dello sport, né tantomeno di reprimende da parte di Ten Hag: il tecnico ha effettivamente sostituito Antony all’intervallo, sette minuti dopo la doppia giravolta, ma nella conferenza stampa postgara – perché ovviamente è stato stuzzicato in merito a quella giocata – ha detto pure detto che il cambio «era più o meno pianificato», e che certi trick «mi vanno bene nel momento in cui sono funzionali, in quel caso non c’è niente di male».

La verità è che la piroetta di Antony non è così distante dal calcio nella sua essenza più pura, più amata dalle persone che lo guardano. Il calcio non è uno sport che si può ridurre al puro funzionalismo: il risultato freddo come unico scopo del movimento del pallone. Il calcio è invece uno sport così aleatorio – rispetto, ad esempio, alla pallacanestro – che sarebbe insensato ridurlo al semplice risultato. Nel calcio c’è spazio per la noia – moltissimo spazio – e per i tempi morti, per passare la palla all’indietro e per fare melina, c’è spazio per saltare l’avversario e tornare indietro. Il produttivismo, lo sfruttamento delle risorse nel modo più cinico e razionale possibile, non ha mai portato niente di buono nel calcio. Forse qualche risultato, sì, ma nessuna memoria. E la storia del calcio, poi, viene fatta dai ricordi, più che dalle coppe. O meglio: dalle coppe e dai ricordi. Dai momenti di bellezza, dai giorni felici.

Quando Douglas Gordon e Philippe Parreno hanno piazzato qualche decina di telecamere addosso a Zidane durante un noiosissimo Real Madrid-Villarreal per girare il documentario Zidane, un portrait du XXI Siècle, quello che cercavano di indagare non era il modo in cui i Blancos avrebbero utilizzato tatticamente Zizou per andare in gol. Cercavano il futile, e il bello, insieme: una ruleta, uno stop morbidissimo, un movimento di spalle di quel corpo così alto e così elegante nel ballare sul pallone. Un qualcosa di puramente estetico, per riprenderlo da dieci diverse angolazioni e mostrare come il calcio può essere una forma d’arte.

Quelle che da qualche anno a questa parte si chiamano signature move sono questo: pezzi di bravura virtuosistica che servono magari poco al gioco, ma molto al mito. I bambini o i ragazzini (e le bambine e le ragazzine, certo) si appassionano ai loro idoli anche così. Guardando una boba o un Aurelio, provando a replicarlo poi palla al piede, scegliendo su FIFA proprio quel singolo idolo perché il codice con cui è programmato lo rende, come nella realtà, l’unico in grado di farla. Ecco, è una cosa retorica, questo trucco di parlare di bambini per invocare la purezza primordiale del calcio, ma è solo per contrastare la retorica, ben più insopportabile, che vorrebbe il calcio come uno sport soltanto “da duri” in cui non c’è spazio “per i pagliacci”. Quelli del: “vieni in Italia a farlo e vedi quante caviglie ti rimangono”. Frasi truci da gente truce, gente perfetta per questi tempi tristi e arrabbiati.

Antony di solito di giri su sé stesso ne fa uno soltanto, mentre contro lo Sheriff Tiraspol ne ha fatti addirittura due. In quell’esagerazione è esagerato vederci una sorta di auto-ironia? Non un’umiliazione dell’avversario, che infatti è ben lontano, e lo guarda, concentrato, e lo aspetta, ma un piccolo omaggio al pubblico, un gesto semmai altruistico, che infatti il pubblico ha ringraziato con un «oooh». Anche gli avversari non sono sembrati particolarmente innervositi, proprio perché loro non c’entravano niente con il doppio spin. C’entrava solo fare una cosa divertente, senza nessuno scopo. Chi non lo capisce, chi gli dà del pagliaccio, pensa d’altra parte che i pagliacci siano soltanto ridicoli, e che il calcio serva solo a fare gol. Ma a quel punto, allora, basterebbe guardare il risultato a partita finita, e risparmiarsi due ore di noia e, se tutto va bene, piroette fini a sé stesse.