Pantaleo Corvino, una vita alla ricerca del talento

Ritratto di uno dei direttori sportivi più longevi e rappresentativi del calcio italiano.

Pantaleo Corvino ha qualcosa in comune con Sant’Oronzo, il patrono di Lecce: entrambi hanno scelto di passare la vecchiaia in città. Corvino è tornato in Salento per chiudere un cerchio aperto trentacinque anni fa con il Casarano prima e con i giallorossi poi. Altri tempi. E poi c’è da sottolineare che se Sant’Oronzo è il patrono di Lecce, Corvino è il patrono del Lecce: direttore, scout e deus ex machina di una società e del suo progetto. Come succede da sempre. Anche questa, in fondo, è una cosa d’altri tempi. Chi lo conosce e lo ha incontrato nella sua vita, definisce Pantaleo Corvino come il Messi dei direttori sportivi. A tratti geniale, è un uomo che vive di istinto puro e di intuizioni vincenti. Ma non solo: Pantaleo Corvino in alcune cose è il più direttore dei direttori sportivi, in altre un personaggio sui generis, unico e a tratti inimitabile. Gli piace avere il controllo di ogni cosa. Dai suggerimenti dati agli allenatori alla cura delle relazioni personali: per conferma, chiedere ai tanti giocatori che la domenica a Lecce andavano a pranzo a casa sua. Vucinic, Bojinov e Ledesma sono solo alcune delle pepite pregiate della sua vastissima collezione: Vucinic fu venduto alla Roma per 20 milioni di euro, Bojinov alla Fiorentina per 15 e Ledesma alla Lazio per sette, complice la retrocessione in B del Lecce e la necessità di fare cassa. Plusvalenze e pietre grezze diventate diamanti di valore assoluto.

Corvino segue ogni allenamento da vicino, parla con i ragazzi e sa dare consigli preziosi. D’altronde chi può darli se non lui, che vive di calcio da oltre quarant’anni? Non è una frase fatta e quindi esagerata: Corvino guarda partite a ciclo continuo, annota nomi, studia, osserva. Segue i giocatori in video e, se superano il primo esame, va a verificarne le qualità di persona. Tante volte è capitato che andasse a vederne uno per poi restare incantato da un altro. Alcuni colleghi lo chiamano “il ferroviere” per quanto viaggia e per la frequenza con cui si sposta da un campo all’altro. Non importa la parte del mondo, il pallone rotola uguale a ogni latitudine e lui il talento lo riconosce anche estrapolandolo dal contesto in cui si trova. Poi, se vede le possibilità di piazzare il colpo, prende contatto. Conosce i ragazzi e le loro famiglie. È un selezionatore di talenti. Dai paesi balcanici ne ha scovati tanti che poi sono diventati campioni. Non mancano ovviamente le eccezioni e i what if, ragazzi che potevano diventare molto forti ma che si sono persi: Ljajic e Nastasic sono due dei suoi rimpianti più grandi, entrambi visionati quando giocavano nelle giovanili del Partizan. Li prese per sette milioni complessivi, cinque il primo e due il secondo. Anche perché Pantaleo non valuta solo l’aspetto tecnico dei giocatori, ma ne analizza anche il carattere, conosce gli uomini e i ragazzi e loro situazioni. Ci sa fare nei rapporti umani, ma anche nella gestione della comunicazione. Non ti dà dritte ma gli basta uno sguardo o una parola per farti capire se sei sulla strada giusta o meno. Sarebbe un ottimo lobbista. Estro applicato alle forme più varie.

Tutte le persone che lo hanno avuto come direttore, dai giocatori ai giornalisti, lo ricordano con un sorriso, memori di un affetto che si nasconde dietro quel faccione un po’ da burbero e un po’ da uomo d’affari. Chi ci ha lavorato assicura che di rado ha sbagliato un giudizio su un giocatore – non mancano ovviamente le eccezioni, vedi l’eterno incompiuto Babacar – e che si è sempre fidato del suo istinto. Corvino l’occhio se lo è fatto in provincia, tra Vernole, Scorrano e Casarano. Del calcio minore conosceva e conosce tutto, negli anni ha solo allenato il fiuto. Questione di metodo e di approccio al lavoro. Che possono aggiornarsi, ma in realtà non cambiano: «Gli algoritmi sono utili, ma il ragazzo lo devo vedere», ha detto una volta.

Corvino è diventato direttore sportivo quando non c’erano i telefonini. e si racconta che girasse sempre con un gruzzolo di monete perché ogni momento poteva essere buono per trovare una cabina telefonica e chiamare un collega o un giocatore. Il cavallo di battaglia sono i giovani, fiore all’occhiello della sua filosofia. Anche questo lo ha imparato in provincia, da quando al Casarano scoprì Miccoli e Orlandoni. Loro sono stati i primi guizzi di una lunga lista che è in continuo aggiornamento. Ma non sono tanto le plusvalenze a rendere orgoglioso Corvino, quanto più il veder realizzato un giocatore scovato quando era un ragazzino che nessuno conosceva. Non c’è niente che può dargli più soddisfazione, queste sono le sue vittorie più belle. E di esempi ce ne sarebbero tanti, da Lecce a Firenze e Bologna. Corvino è tornato a casa anche per questo. Lui che in Salento è cresciuto e che del Lecce è sempre stato il primo tifoso. E lo è anche oggi. Così tanto tifoso da non riuscire, spesso, ad andare al Via del Mare quando la squadra gioca in casa. Troppa tensione.

Dusan Vlahovic è arrivato a Firenze nel luglio 2018, quando aveva solo 18 anni: per lui la Fiorentina ha investito 3,2 milioni di euro e ne ha incassati circa 80, a gennaio 2022, dopo il suo approdo alla Juventus (Alessandro Sabattini/Getty Images)

Corvino viene da una famiglia di contadini e si dice che da ragazzo, quando andava nei campi di papavero e toccava a lui scegliere come posizionarli, li volesse sempre disposti uno davanti all’altro. Della serie: davanti ne devo vedere solo uno, poi pazienza se sono dieci file. Un po’ come in campo nel 4-3-3, modulo anche del Lecce di Baroni che ha conquistato la Serie A e sta lottando per rimanerci. La mano del diesse nel progetto si è avvertita in modo chiaro fin da subito, non solo per la promozione. Il suo lavoro è partito come sempre dal basso. Basta guardare la Primavera, che ha prodotto Samek, Berisha e Gonzalez su tutti. Proprio González è ormai titolare in prima squadra. Ma non è un caso: è frutto di uno studio meticoloso sui ragazzi che vengono scelti, presi e valutati. Con la speranza che, negli anni a venire, varranno una fortuna e genereranno grandi plusvalenze. Per conferma chiedere ai vari Jovetic e Vlahovic. Bastava crederci e dargli fiducia, perché bisogna esser si bravi a scovarli, ma ci vuole anche quella dose di coraggio che ti spinge poi a prenderlo, un giocatore. Perché scoprire il talento è una cosa, esserne così certo da puntarci è completamente un’altra.

Sarebbe sbagliato, però, ridurre la carriera di Pantaleo Corvino a quella di scout. Negli ultimi giorni dell’ultima sessione di mercato, tutta Italia o forse tutta Europa ne hanno avuto la prova, l’ennesima: il passaggio di Umtiti al Lecce è una testimonianza di quanto sia forte e prestigiosa la rete di contatti che Corvino si è costruita nel tempo, di quanto sia profondo il rispetto acquisito in tanti anni di lavoro. È la dimostrazione che Corvino sa muoversi su più fronti e su più tavoli, anche quelli che sembrano fuori portata o irraggiungibili. Ecco, un altro punto di forza di Corvino, e chi ci ha lavorato lo ribadisce: sa trovare strade semplici e soluzioni a problemi che sembrano difficili, insormontabili.

L’affare-Umtiti, però, è solo una parte di quanto costruito in questo ultimo segmento della carriera. Il Lecce che è tornato in Serie A e sta combattendo per restarci è pieno di scommesse intriganti: Baschirotto è partito come lui dal basso, dal campionato interregionale dell’Emilia Romagna. Quattro anni dopo ha sovrastato Osimhen al Maradona contro il Napoli, dopo che Corvino l’ha visto imporsi all’Ascoli come uno dei difensori più muscolari della Serie B. Banda e Ceesay sono invece due colpi alla Corvino, quello vecchio stile: giocatori nascosti, tirati fuori dall’ombra e pronti a brillare. Lameck Banda il direttore lo seguiva da anni, prima in Zambia e poi in Russia; Assan Ceesay è stato capocannoniere in Svizzera ma Corvino lo seguiva già da tempo, e allora ha potuto prenderlo prima della concorrenza. Nulla di nuovo: in questo genere di operazioni, il direttore sportivo del Lecce ha un modo di lavorare unico, non ammucchia giocatori ma li studia, li osserva, li sceglie. Nella maggior parte dei casi, lo fa davvero bene.