A calcio si gioca con gli occhi più che con i piedi. Vedere quel che c’è e che succede in campo – i compagni, gli avversari, il pallone, gli spazi, gli errori – è la premessa ovvia di ogni cosa. Vedere prima è la premessa della velocità: cos’è il passaggio filtrante, d’altronde, se non un passaggio basato su tutto quello che un giocatore ha visto prima degli altri? Vedere meglio è la premessa della tecnica: cos’è un dribbling se non una migliore percezione dello spazio, del tempo, del movimento? Sono convinto che anche il gol di Edin Dzeko contro il Bologna abbia a che fare con gli occhi più che con i piedi. Le premesse del suo gol-capolavoro Dzeko le mette molto prima di assumere la postura necessaria al tiro al volo e di colpire il pallone con la parte giusta nel piede. Il gol di Dzeko comincia nel momento in cui lo si vede fermarsi per un attimo al limite dell’area di rigore del Bologna, alzare lo sguardo verso l’alto per vedere la traiettoria presa dal cross di Dumfries e capire così – prima e quindi con velocità, meglio e perciò con tecnica – quello che se ne può fare.
Tenere la testa inclinata verso l’alto, volgere lo sguardo a ciò che c’è sopra è un gesto innaturale e insolito per gli esseri umani. La vita è fatta delle cose che ci succedono davanti, delle persone che si muovono attorno a noi: esattamente come un partita di calcio. La parte più difficile del difficilissimo gol di Dzeko è questa: sono quei secondi – pochi in assoluto ma tantissimi se immaginiamo una comparazione con il tempo che l’attaccante dell’Inter solitamente trascorre con il naso all’insù – in cui inclina la testa verso l’alto e fissa lo sguardo sul pallone. Vede solo quello, e non riesco a immaginare niente di più difficile, innaturale e controintuitivo per un giocatore di quel livello: ci metti una carriera intera per acquisire l’indispensabile consapevolezza di te, del campo, dei compagni, degli avversari, e poi per realizzare il gol più bello della tua vita è necessario regredire all’infanzia, al calcio dei bambini che vedono solo il pallone.
La prodezza di Dzeko sta in quell’attimo di isolamento semi-meditativo in cui smette di preoccuparsi di tutto – mi sta arrivando addosso un avversario? C’è un compagno vicino a me, sarebbe meglio controllare il pallone e giocarlo con lui? Ho spazio sufficiente per far ruotare la gamba con cui calciare o rischio di colpire qualcuno, fargli male, farmi male? – e vede solo il pallone, una punta di bianco che precipita verso di lui tra le luci di San Siro e le macchie colorate che dal campo sono gli spettatori.
Da ogni angolazione
Il resto è tutto una questione di chiarezza, di aver visto prima e meglio degli altri. Un gol come questo segnato da Dzeko fa venire in mente sempre quello di Zidane nella finale di Champions League contro il Bayer Leverkusen: il tiro al volo più difficile che ci sia, quindi il gol più bello che si possa segnare. Se al giocatore che vuole calciare il pallone arriva dal lato, il tiro al volo è una questione di giusta distanza: bisogna interrompere la corsa al momento giusto, per avere il tempo di “aprire” la gamba al momento giusto, farle eseguire una semirotazione lunga e veloce abbastanza da spedire il pallone verso il bersaglio con la forza e la velocità di un proiettile (l’esecuzione perfetta: Francesco Totti contro la Samp, nel 2006). Quando al giocatore che vuole calciare il pallone arriva da sopra, dall’alto, perpendicolare, tutto questo non è possibile e le difficoltà aumentano. Dzeko è costretto infatti a interrompere improvvisamente la corsa, a fare perno su una sola gamba come un fenicottero, mentre l’altra si allontana il più possibile dal corpo nel tentativo di colpire il pallone nel momento giusto, con la forza giusta.
Ma il tiro, in queste condizioni, non può essere potente davvero: la potenza di un tiro al volo è data in buona parte dalla velocità del cross, e quello di Dumfries è imperfetto, una palla messa in mezzo quasi a casaccio a causa del disturbo di un avversario. Diventa tutto una questione di precisione, quindi. Con i piedi Dzeko deve far finire il pallone dove Skorupski non può arrivare con le mani: calcio in purezza. Ovviamente, l’attaccante dell’Inter non ha né il tempo né il modo di guardare verso la porta del Bologna e vedere dove sia Skorupski. Ma di porte e di portieri ne ha visti talmente tanti in vita sua che, ormai, non ne ha più bisogno: sa che nessuno portiere può arrivare a coprire con le mani certi angoli dello specchio della porta. Basta far finire il pallone in uno di quegli angoli. Una cosa che a Dzeko abbiamo visto fare un sacco di volte.