Dietro l’exploit del Marocco, che ha strappato il pass per gli ottavi di finale di Qatar 2022 dopo aver vinto il girone F con il record di punti raccolti da una nazionale africana (7) nella prima fase dei Mondiali, c’è una maledizione: quella di Vahid Halilhodzic, l’ex commissario tecnico dei Leoni dell’Atlante sollevato dall’incarico lo scorso agosto, a pochi mesi dal fischio d’inizio della Coppa del Mondo. Quello iridato è un torneo stregato per Halilhodzic: nella sua pluridecennale carriera da allenatore, iniziata nel 1990 sulla panchina del Velez Mostar, il tecnico bosniaco ha qualificato quattro nazioni diverse ad un Mondiale, diventando il primo uomo a realizzare questa impresa. Nonostante ciò, però, ha partecipato a una sola fase finale: in Brasile, nel 2014, alla guida dell’Algeria. Una spedizione più che onorevole, conclusa agli ottavi di finale, arrendendosi solamente ai tempi supplementari dopo aver spaventato la Germania futura campione del mondo (2-1).
Il commissario tecnico bosniaco sembrava aver intrapreso la strada giusta, avviando un necessario e sostanziale ringiovanimento della nazionale marocchina, cominciato all’indomani della cocente sconfitta con il Benin negli ottavi di finale della Coppa d’Africa 2019. Quel torneo, culminato con l’esonero del francese Hervé Renard, è stato l’ultimo grande ballo internazionale per molti vecchi senatori della nazionale marocchina: Mehdi Benatia, Nordin Amrabat e Younes Belhanda, lentamente spariti dal radar dei Leoni dell’Atlante con l’avvento di Halilhodzic. I risultati hanno dato ragione al ct bosniaco: con lui al timone, infatti, il Marocco si è reso protagonista di un percorso piuttosto soddisfacente, inanellando 20 vittorie, sette pareggi e solamente tre sconfitte prima del suo esonero. Per premiare questo ottimo percorso, la Federazione aveva rinnovato il contratto di Halilhodzic fino al 2024, nonostante l’eliminazione con l’Egitto ai quarti dell’ultima Coppa d’Africa ospitata dal Camerun.
Le motivazioni dell’allontanamento di Halilhodzic, dunque, vanno cercate fuori dal campo. A essere fatali all’ex fantasista di PSG e Nantes sono state le ruggini con i vertici federali, specie quelle con il presidente Fouzi Lekjaa. La divergenza di vedute sulla gestione dello spogliatoio, e in particolare sul caso Ziyech, ha fatto poi definitivamente calare la mannaia sulla testa del commissario tecnico bosniaco, vittima della sua proverbiale intransigenza. Fedele a certi principi, Halilhodzic ha applicato il suo personalissimo codice etico senza fare sconti a nessuno, ponendo il veto sul reintegro in nazionale del trequartista del Chelsea, così come quello di Mazraoui, il terzino destro del Bayern Monaco che in passato aveva rifiutato la convocazione. In alcune occasioni il tumultuoso rapporto tra Ziyech e l’allenatore bosniaco ha trasceso il confronto civile, trasformandosi in un vero e proprio regolamento di conti dialettico a favore di microfoni e telecamere. «Nelle ultime partite non ha mantenuto un atteggiamento professionale. Negli ultimi giorni, inoltre, ha anche rifiutato di allenarsi», tuonava Halilhodzic ai media marocchini prima di un importante incontro di qualificazione ai Mondiali. «Non sembra un giocatore di una Nazionale che lotta per la qualificazione alla Coppa del Mondo. Per la prima volta nella mia carriera di allenatore, ho visto un giocatore do una Nazionale che non vuole allenarsi e finge di essere infortunato, anche se i test hanno dimostrato che può giocare. Io non tollererò questo comportamento finché sarò l’allenatore del Marocco». La risposta di Ziyech, altrettanto perentoria, non si è fatta attendere: «Non giocherò mai più per il Marocco finché ci sarà questo allenatore», aveva dichiarato a maggio il trequartista ex Ajax, ora di proprietà del Chelsea.
Una posizione, quella di Halilhodžić, diventata improvvisamente inconciliabile ai limiti del paradossale con quella più morbida mantenuta anche pubblicamente da Lekjaa. «Le porte della nazionale sono aperte per tutti i marocchini», dichiarava il presidente federale. Queste parole sono state dette negli stessi giorni in cui, di fatto, il sergente Halilhodzic si affannava a sprangarle. Il ritorno di Ziyech, con tanto di riaffermazione di un ruolo centrale nella Nazionale, è stato forse il motivo principale dell’avvicendamento tra Vahid Halilhodzic e Walid Regragui, preferito dalla FMRF ad alcuni profili stranieri – tra cui il nostro Walter Mazzarri. L’ex allenatore del Wydad Casablanca, guidato un anno fa alla conquista della CAF Champions League (curiosamente anche José Faria, l’ultimo allenatore a traghettare il Marocco agli ottavi di finale di un Mondiale, nel 1986, aveva condotto poco prima un club marocchino – il FAR di Rabat – al successo nella Coppa dei Campioni d’Africa), si è dimostrato sin da subito un tipo assai pragmatico, sposando un approccio completamente differente rispetto al pugno di ferro adottato dal suo predecessore. La fine del lungo esilio dalla nazionale di Ziyech e Mazraoui ha avuto come effetto quello di rasserenare tutto l’ambiente della nazionale marocchina. «Hakim Ziyech ha tanta voglia di far bene con noi. Ho visto un gran sinistro in allenamento», lo ha elogiato prima di un’amichevole pre-mondiale contro il Cile. «Sarebbe qualcosa di illegale non portare un giocatore del genere ai Mondiali. È come Hakimi o Mazraoui. Il suo stato d’animo è perfetto, è positivo, può solo fare bene allo spogliatoio».
I ritorni di Ziyech e Mazraoui sono forse i motivi più in vista e superficiali dello straordinario Mondiale disputato dai Leoni dell’Atlante. Ma non sono certo i soli. Da qualche anno, infatti, la nazionale magrebina può contare su una organizzatissima e capillare rete di scouting con tentacoli in tutta Europa, dal Belgio alla Spagna, passando per la Francia e l’Italia. Non a caso il Marocco è una delle Nazionali presenti in Qatar che maggiormente attingono dal serbatoio delle diaspore europee: addirittura 16 dei 26 giocatori selezionati dal ct Regragui non sono nati in patria, Eppure, sotto il punto di vista della formazione e dello sviluppo dei calciatori, diversi passi avanti sono stati compiuti anche a livello locale. Il merito è soprattutto dell’Accademia Calcistica Mohammed VI. Situata a Salé, alla periferia della capitale Rabat, l’Accademia calcistica che porta il nome del sovrano è la culla del calcio marocchino. Era questo, del resto, lo scopo per cui nel 2008 il re Mohammed VI ne aveva proposto la costruzione, annunciando un investimento governativo di 140 milioni di dirham, l’equivalente di circa 13 milioni di euro. «È una struttura molto importante che si pone al servizio di tutto il calcio nazionale», sottolineava l’allora direttore tecnico nazionale Jean-Pierre Morlans.
Operativa da settembre 2009, e destinata alla formazione di giovani calciatori dai 12 ai 18 anni, l’Accademia doveva diventare il serbatoio d’elezione per tutte le selezioni nazionali, producendo la nuova generazione di calciatori marocchini. Fondamentale, in questo senso, è stata la sinergia multipla con la federazione marocchina e i club. «In Marocco è sempre mancata una formazione di alto livello, soprattutto tra i giovani», ha spiegato Hammadi Hmidouch, ex allenatore e giocatore marocchino. C’è voluto qualche anno di pazienza, ma i frutti sono arrivati: Yousef En-Nesyri, Nayef Aguerd, Azzedine Ounahi, tre pilastri della Nazionale di Regragui, a cui si aggiungere il terzo portiere Ahmed Reda Tagnaouti, sono prodotti della Mohammed VI Academy.
Si tratta di materiale umano di alto livello che Regragui è stato bravo ad assemblare in poco tempo, trovando la quadra con 4-3-3 ad alto tasso di creatività, sostenuto da un centrocampo solido e compatto guidato dalla miglior versione della carriera di Sofyan Amrabat: il centromediano della Fiorentina è la pedina più importante di tutte a livello tattico, è classico tapón à la Casemiro, l’uomo in grado di fornire equilibrio a una squadra che schiera contemporaneamente due ali ipertecniche ma poco inclini al sacrificio come Ziyech e il dribblomane Sofiane Boufal. La sensazione è che le speranze del Marocco di sorprendere la Spagna dipenderanno dal talento dei soliti noti, ma anche dal livello della prestazione in entrambe le fasi di Amrabat, allo stesso tempo faro e diga di questo Marocco. Regragui lo sa e se lo coccola. «In questa Nazionale ci sono giocatori importanti formati in Europa. Nel 4-3-3 si trovano a loro agio, soprattutto Amrabat nel ruolo di interdittore e di mediano davanti alla difesa«, ha spiegato l’ex tecnico del Wydad in conferenza stampa, elogiando il centrocampista della Fiorentina. «Sono contento di quello che offre. Spero che continui a crescere per il suo bene e per quello della Nazionale».