Sulle spiagge di Dakar le barche, lunghe e strette, sono abbandonate in attesa sulla sabbia. I bambini stanno tutti a guardare uomini a torso nudo, mezzi ricoperti di sabbia, che si addestrano in prese e placcaggi. Sono atleti di lotta tradizionale senegalese, detta Laamb. Un combattimento corpo a corpo a mani nude, praticamente sconosciuto fuori dai confini nazionali, ma che genera, in patria, mitologie che richiamano fame antichissime. I campioni di Laamb diventano eroi popolari, non solo sportivi. I griot, cantori che tramandano oralmente le loro gesta, si occupano per così dire della loro aura di marketing.
Tra riti mistici e preparazione spirituale, canti tradizionali, danze e percussioni, il podcast L’Urlo di Dakar si è immerso nel mondo sia antico che moderno della Laamb. L’idea è nata da Raffaele Costantino, deejay, autore e conduttore di Musical Box, trasmissione di Rai Radio Due, che insieme alla giornalista Megan Iacobini De Fazio ha deciso di indagare e raccontare il mondo della Laamb.
In una settimana di ricerca e indagini sul campo, Megan e Raffaele hanno macinato migliaia di km, hanno registrato i suoni e le voci dei protagonisti, intervistando vecchi campioni, allenatori e giovani promesse. L’Urlo di Dakar racconta tutto questo, ma anche molto altro. Durante il loro tour, i protagonisti della serie hanno potuto assistere anche al grande rito collettivo della Coppa d’Africa. Un vero e proprio evento nazionale che ha coinvolto tutta la popolazione, dai più giovani agli anziani. Sono venuti in contatto con la sorprendente scena urban locale, incontrando diverse star dell’hip hop e gli artisti che con i loro video totalizzano milioni di visualizzazioni online.
Il progetto è nato in seguito alla residenza artistica di Raffaele Costantino presso l’Istituto Italiano di Cultura a Dakar. Col suo alias artistico Khalab, uno dei nomi più apprezzati della scena afro-futurista internazionale, Raffaele darà vita nei prossimi mesi ad un nuovo EP, intitolato “DK LAAMB”. Gli abbiamo chiesto qualcosa su quell’esperienza e sul podcast.
Ⓤ: Spesso, soprattutto in Occidente, il termine “tradizione” è accompagnato da connotazioni negative, come se fosse un ostacolo al progresso, o qualcosa che contiene valori da superare. Raccontando invece la Laamb voi mostrate il valore della tradizione, che è in fondo la base dello sport, sempre e ovunque, in società meno assuefatte alla globalizzazione come quella senegalese. Che percezione avete avuto di questo concetto?
Non direi che la tradizione sia associata a connotazioni negative, ma spesso nelle società in fase di accelerazione, come quella senegalese, potrebbe rappresentare una specie di zavorra. Rimanere troppo legati alle tradizioni potrebbe essere deleterio, e molti linguaggi tradizionali africani si stanno emancipando da questo bagaglio lasciato in dote da secoli di incredibile fermento culturale. Nello sport, la lotta parte come uno sport elitario praticabile soltanto da chi occupava i piani più alti della pietrificata scala sociale dell’epoca. Se non appartenevi a quella casta non potevi dedicarti a quello sport. Non la definirei proprio una tradizione da preservare. Al netto di tutto questo, la tradizione rappresenta sempre un aspetto affascinante in termini narrativi, soprattutto quando si parla di Africa. Ma la verità è che chi vive quei luoghi è affamato di “globalizzazione” e gli sport, soprattutto quelli molto popolari, aiutano molto questa accelerazione.
Ⓤ: La musica e lo sport: è interessante come avete scelto di integrare il ruolo del ritmo nel podcast. Dopotutto la musica è un elemento fondamentale anche nello sport contemporaneo. Dal calcio, con le curve europee e sudamericane con i loro tamburi, fino agli sport più spettacolarmente capitalistici come il basket o la NFL con le canzoni gli halftime show, c’è sempre una presenza musicale in ogni gioco. Come avete vissuto questa presenza, sul posto?
Lo sport è frequenza di passi, ritmo di gioco, tempi di reazione, sync, coordinamento poliritmico tra elementi diversi; quindi direi che effettivamente è molto naturale legare le due discipline. “To play”. E anche l’aspetto della narrazione è molto importate nello sport: le storie epiche legate allo sport, ai grandi campioni, alla rivalsa, l’abnegazione, il sacrificio, e così via. In Senegal il griot – e le sue declinazioni moderne fino al giornalismo sportivo – è la figura che meglio incarna queste similitudini. In lui convivono le storie, il ritmo, la musica e la memoria. Una figura troppo affascinante alla quale bisognerebbe dedicare un podcast a parte. Magari un giorno.
Ⓤ: Quanto avete “cambiato” copione e narrazione una volta arrivati in Senegal? Quanto, insomma, la costruzione del podcast si è fatta al momento e poi a posteriori, anziché in anticipo?
In realtà noi siamo andati lì per realizzare un altro progetto, e non un podcast. L’idea iniziale era quella di investigare il mondo della Laamb per poi raccontarla in una chiave puramente artistica in un mio disco a nome Khalab. Poi però, una volta lì, ci siamo resi conto che la musicalità di quello sport era solo una delle storie da raccontare e, inoltre, il fatto di trovarci lì in un momento storico come quello della vittoria della Coppa d’Africa da parte del Senegal, ci ha fatto capire che avremmo dovuto per forza farne un podcast. Da lì anche le tecniche di registrazione sul campo sono cambiate, anzi si sono raddoppiate. Da una parte registravamo con i microfoni per il podcast e dall’altra con i microfoni per carpire il suono della lotta. Così alla fine il disco lo abbiamo messo nel podcast, dove per la prima volta puoi fruire di una operazione del genere.
Ⓤ: Quali sono le affinità e quali le divergenze tra il modo di vivere il calcio in Europa e in Senegal, secondo voi?
La passione è la stessa, ma in Senegal rappresenta un valore simbolico di rivalsa maggiore. La ribalta mediatica, le aspirazioni dei singoli e della collettività che vede nello sport la possibilità di affermazione per niente scontata. Per non parlare dei contesti extra continentali. Una squadra africana che batte un team europeo concentra in quell’impresa una serie di valori che vanno ben al di là di quelli sportivi.
Ⓤ: Alla fine in questo podcast emergono tantissimi protagonisti, oltre la Laamb. Se dovessi chiedervi qualcosa proprio sulla Laamb, di dirmi cosa vi ha colpito di più di tutto questo mondo che ci gira intorno, cosa direste?
I numeri, le grandi folle ma soprattutto le tantissime persone che la praticano. Ci siamo resi conto che effettivamente è un bellissimo sport, praticabile facilmente (basta una spiaggia) e ricco di storia. Il mondo della Lamb è stato capace di emanciparsi dai legacci delle tradizioni pur portandole sempre con sé. Mi sembra una buona metafora.