I portieri sono i veri eroi di questi Mondiali?

Bono, Livakovic e altri estremi difensori sono stati decisivi come i grandi attaccanti, anzi ancora di più.

Nel calcio, come e più che in altri ambiti della vita umana, c’è un disperato bisogno di eroismo. Di un eroe, cioè di un personaggio sui generis – nel caso del calcio, ovviamente, si tratta di un giocatore – in grado di imporsi all’ammirazione universale grazie alle sue imprese, al suo coraggio, al suo carisma, a volte anche a dei poteri sovrannaturali – nella mitologia classica, infatti, l’eroe era una figura semidivina, era figlio di un mortale e di una dea. Ai Mondiali questo bisogno diventa più forte, diventa quasi opprimente: l’epica e la natura della competizione, episodica e crudele perché si svolge ogni quattro anni e si risolve in pochissime partite, aumentano la richiesta e la possibilità per cui un singolo calciatore, particolarmente forte e/o particolarmente in forma, possa decidere l’esito del torneo. La storia è piena di esempi, anzi sono stati proprio certi eroi dei Mondiali a scandire la storia del calcio, con le loro vittorie e anche con le loro sconfitte: Pelé, Cruijff, Maradona, Zidane, Ronaldo.

Per quanto riguarda Qatar 2022, ci sono ancora tre partite vere da giocare – la finale per il terzo poso dovrebbe essere considerata un crimine contro l’umanità – e quindi il vero eroe di questa edizione non è stato ancora individuato: Lionel Messi è in lizza per aggiungersi alla galleria degli onori che abbiamo fatto nel paragrafo precedente, in fondo ha tutti i requisiti che servono; lo stesso discorso vale pure per Luka Modric, però il capitano della Croazia ha il torto – ma per chi è davvero un torto? – di non giocare in attacco e di essere un antidivo; Kylian Mbappé è già entrato quattro anni fa nel gotha dei più grandi, solo che in Russia fa era fin troppo giovane, e allora un secondo successo sarebbe una conferma importante, dal grande significato storico. E poi c’è il Marocco, una squadra senza una grande stella e con delle radici – politiche, tecniche, socioculturali – troppo particolare perché si possa individuare un solo grande protagonista. A meno che non si voglia indicare Yassine Bounou detto Bono, portiere con nome da cantante che sta rendendo giustizia a tutti gli altri grandi portieri di questa edizione dei Mondiali. Sì, perché in realtà tutte le quattro qualificate alle semifinali devono tanto, tantissimo, ai loro estremi difensori. E anche nel resto del torneo, prima delle gare decisive, molte squadre si sono letteralmente aggrappate alle parate decisive dei loro numeri uno. Insomma: questa volta, forse, sarebbe giusto iniziare a pensare che i veri eroi di un Mondiale possano essere proprio i portieri. Che debbano esserlo, perché se lo meritano.

Dopo la vittoria ai rigori della Croazia contro il Giappone, negli ottavi di finale, The Athletic ha pubblicato un articolo in cui Matt Pyzdrowski – preparatore dei portieri ed ex portiere statunitense, professionista con i Portland Timbers e poi anche con l’Helsingborgs, nel campionato svedese – ha provato a spiegare l’impresa compiuta da Dominik Livakovic, capace di intercettare tre dei quattro penalty calciati dai giocatori giapponesi. Ai Mondiali, prima di lui, c’erano riusciti solamente in due: il portoghese Ricardo, nella lotteria dei quarti di finale contro l’Inghilterra, e un altro estremo difensore croato, Danijel Subasic, nella serie degli ottavi contro la Danimarca. Secondo Pyzdrowski, Livakovic «è stato bravissimo a mantenere la calma ad aspettare fino all’ultimo momento prima di scegliere un lato verso cui tuffarsi. Prima di ogni rigore, è rimasto quasi del tutto immobile: così ha messo tutta la pressione sui tiratori, li ha costretti a batterlo, invece di rendere loro le cose più facili buttandosi presto da una parte o dall’altra. In questo modo, poi, ha potuto sfruttare la forza impressionante del suo power step, un passo leggermente più lungo del normale fatto in direzione della palla – quindi un passo di reazione dopo aver percepito la direzione del tiro – che consente ai portieri di allungare i muscoli a piena capacità e massimizzare la velocità e la potenza del tuffo». Pochi giorni dopo l’impresa contro il Giappone, Livakovic ha portato la sua squadra a vincere un’altra lotteria dei rigori, deviando il tentativo di Rodrygo e ipnotizzando Marquinhos, autore del tiro decisivo finito sul palo. Prima ancora dei rigori, nel corso dei tempi regolamentari e dei supplementari, aveva messo insieme addirittura undici parate decisive.

Questa è quella la parata Paquetá, le altre potete vederle qui, nella sintesi di Brasile-Croazia pubblicata da Rai Play

Le imprese di Bono sono simili a quelle di Livakovic, nei numeri e nelle percezioni: il portiere del Marocco ha subito un solo gol – un’autorete, per altro – in quattro partite dei Mondiali e ha intercettato due rigori su tre quando ha affrontato la lotteria finale contro la Spagna. Il terzo penalty, calciato da Sarabia, è finito sul palo. A questo punto è inevitabile una digressione di carattere statistico: nelle partite di Qatar 2022 disputate finora, sono stati calciati 46 rigori – durante le partite e dopo i supplementari – e solo 27 sono stati trasformati in gol. Anche al netto degli errori di Sarabia, di Marquinhos e di Kane, che hanno mancato lo specchio della porta, la quantità di parate resta davvero altissima. Il merito è ovviamente dei portieri, della loro evoluzione come atleti ma anche come studiosi del loro stesso ruolo: come spiega il Telegraph in questo articolo, gli estremi difensori contemporanei studiano il modo di calciare dei loro avversari con modelli statistici avanzatissimi, avvalendosi dell’aiuto dei match analyst, e in questo modo hanno un vantaggio più ampio, sugli specialisti dei tiri dal dischetto, rispetto al passato.

Tornando a Bono, proprio lui ha in qualche modo smentito questa teoria, quando ha detto che «per parare i rigori occorrono un po’ di intuito e molta fortuna, nient’altro». La verità è che il portiere del Marocco ha mentito spudoratamente: un semplice cocktail di intuito e fortuna non può bastare per sventare 13 rigori su 50, questo è il suo record in carriera, e inoltre contro la Spagna ha dimostrato di non essere solo un portiere reattivo e spettacolare, ma anche uno psicologo sadico e raffinato, visto che ha usato diversi trucchi – dialettici e non – per innervosire i giocatori della Spagna un attimo prima che calciassero il loro penalty. Il Mondiale-capolavoro di Bono, come se non bastasse, non si limita all’indimenticabile prestazione contro la Spagna: la gara che ha inclinato l’andamento del girone, quella contro il Belgio, è stata marchiata a fuoco da alcuni grandi interventi del portiere del Siviglia, tutti arrivati prima che il Marocco trovasse il gol del vantaggio.

Gli altri due portieri arrivati in semifinali con le rispettive squadre, Hugo Lloris ed Emi Martínez, hanno vissuto un Mondiale meno continuo, forse anche meno emozionante, ma si sono fatti trovare pronti al momento giusto: il capitano della Francia, praticamente mai sollecitato davvero nelle tre gare disputate coi Bleus (Deschamps ha fatto giocare Mandanda contro la Tunisia), ha permesso alla sua squadra di tenere nel momento di maggior spinta contro l’Inghilterra, grazie ad alcuni interventi davvero prodigiosi; tra questi, spicca la deviazione su una botta di Bellingham davvero fortissima, una parata arrivata all’apice di un volo di grande impatto scenico, ma anche molto efficace. Emi Martínez, invece, si è preso la scena in una situazione piuttosto difficile per l’Argentina, dopo la rimonta da 0-2 a 2-2 subita contro i Paesi Bassi: il portiere dell’Aston Villa ha deviato i rigori di Van Dijk e di Berghuis grazie a due splendidi balzi in allungo, uno a destra e uno a sinistra, il primo spiccato dopo aver saltellato su entrambe le gambe, il secondo dopo aver tamburellato il campo con i piedi, in entrambi i casi ha mostrato una grandissima esplosività muscolare. Anche El Dibu, come raccontato dal Diário Olé in questo articolo monografico, studia con grande attenzione i possibili avversari che dovrà affrontare dagli undici metri. Con esiti piuttosto positivi:

I rigori di Paesi Bassi-Argentins

Riconoscere i meriti di Bono, di Livakovic, di Emi Martínez e di Lloris è un modo per celebrare anche gli altri portieri che hanno disputato un gran Mondiale ma non sono riusciti ad arrivare alla fine del torneo: Wojciech Szczesny, strepitoso contro l’Arabia Saudita e poi anche contro l’Argentina agli ottavi; Guillermo Ochoa, totem del Messico che ha parato un rigore a Lewandowski; Andries Noppert, catapultato in pochi mesi dal ruolo di dodicesimo in squadre di seconda divisione – il Foggia e il Go Ahead Eagles – alla maglia da titolare in una Nazionale arrivata a un soffio dalla semifinale in Coppa del Mondo. Anche loro, in fondo, sono stati eroi nelle rispettive squadre, hanno fatto in modo che rendessero per le loro qualità e forse anche oltre, si sono presi la ribalta per qualche istante e poi l’hanno lasciata di nuovo agli attaccanti, ai giocatori deputati a fare gol, non a evitarli. A quei giocatori che di solito sono le stelle più lucenti dei Mondiali, ma questa volta c’è spazio anche per i portieri: ci vogliono intuito e fortuna e studio, ci vogliono talento e sicurezza, per ergersi a protagonista quando non si è destinati a esserlo. E loro ce l’hanno fatta.