Cassa dritta e calciatori degli anni Zero: la Serie A punk dei Materazi Future Club

Drum Machine, chitarre distorte e pezzi di telecronache presi da Youtube. Una band che scava nella memoria del campionato ma senza nostalgie.

Avevo visto un live per caso, nel 2020. In quattro sul palco, uno con un passamontagna tipo sequestratore o antimafia, uno con una maglia vintage del Milan, ancora sponsorizzato Lotto. Un altro più dietro, alle tastiere-drum machine, un altro alla chitarra. È partita una base drum’n’bass, una cosa che ti fa muovere le spalle anche se sei di cattivo umore. Poi una voce: era Daniele De Rossi. Diceva delle cose un po’ banali, da intervista post-partita, e concludeva con: «Alla fine quello che conta è il campo». Poi una campionatura: era facile riconoscere la voce di Carlo Zampa che urlava: «Danielinooo! Danielinooo!». Ora la musica era cambiata un po’, sembrava un pezzo dei Gang of Four. Solo che non c’era Jon King che cantava, appunto, ma Daniele De Rossi. Sul palco c’erano i Materazi Future Club, una band fuori di testa in un modo nuovo, che ha da poco fatto uscire il suo primo disco, Formazione Titolare.

Formazione Titolare racchiude dodici canzoni (undici giocatori e un allenatore) costruite con cassa dritta, chitarre distorte, e campionamenti di interviste e telecronache. Ogni canzone ha un protagonista del calcio degli anni Duemila. Ogni canzone ha anche un mood musicale che si sposa perfettamente con il carattere o la storia del protagonista. Ci sono un po’ di ricordi commoventi, qualche momento calcisticamente esaltante, altri passaggi da ridere.

Quando li ho sentiti per la prima volta, è stato inevitabile pensare a reference come gli Offlaga Disco Pax e i CCCP. Poi, quando il disco è uscito, ho effettivamente trovato una canzone cantata – l’unica, tra tutte – da Max Collini, che degli Offlaga era la voce. Questa canzone si chiama “Luciano/Eriberto”, ed è un racconto un po’ romanzato, in cui Collini si immagina anche pensieri, sogni e dubbi dell’ala destra del Chievo di quegli anni là.

I Materazi Future Club si chiamano Edoardo Piron, Riccardo Montanari e Marco Manini, li ho chiamati su Zoom per parlare dei disco e di calcio perché quando si tratta di musica è sempre difficile scriverne, come diceva Elvis Costello: «Writing about music is like dancing about architecture».

Ⓤ: Come si costruisce una canzone fatta di interviste di calciatori degli anni Duemila?

Siamo andati prima a scegliere dei personaggi per degli eventi o delle interviste particolari. Poi abbiamo fatto un lavoro di ricerca, su Youtube o Instagram, di materiale per riempire il pezzo. A seconda di quello che abbiamo trovato, poi, sono venute fuori queste storie come se fossero un collage di file audio. E poi alcune di queste frasi a volte erano talmente epiche che sono diventate automaticamente un ritornello.

Ⓤ: I protagonisti sono Giuseppe Rossi, Daniele De Rossi, Ronaldo il Fenomeno, Jaap Stam, Antonio Cassano. Tutti ex giocatori. Eppure, forse complice l’avanguardismo, in un certo senso, dell’operazione musicale, è un’operazione che evita la nostalgia.

È un disco da crisi dei trent’anni, perché è un disco sui nostri sedici anni. Sia musicalmente, che calcisticamente. Però non c’è mai stato il pensiero: quanto ci manca quel calcio che era più puro. Non c’è quella forma di nostalgia tipo: era meglio prima. Tutto ciò che c’è di negativo nel calcio di oggi c’era già allora. È più un’operazione emotiva, di giocatori che ci hanno scaldato il cuore.

Ⓤ: Alcuni pezzi sono fatti solo di highlights, frasi decontestualizzate, altri invece, sempre tramite interviste e telecronache, raccontano tutta una carriera. Come è stata la composizione?

Dipende dai personaggi. Prendi il pezzo su Zeman: “Zeman” non rappresenta un percorso storico, è un’immagine di lui in tribunale sulla questione Juventus. Altri invece sono molto legati alla carriera, come “De Rossi”: c’è l’esordio, c’è il primo gol, fino al passaggio al Boca e l’eterno amore per la Roma. È quasi una biografia. Dipende dai personaggi.

Ⓤ: Poi c’è il pezzo su Stam che è praticamente solo strumentale, un pezzone gabber.

Sì, lì c’è un layer molto semplice: lui è olandese, poi è bello ruvido, è come la gabber. Poi dentro ci sono altre due cosette: c’è Ferguson in quell’intervista in cui gli chiedono: chi ti penti di aver venduto nella tua vita? E lui dice: Stam. E un coro: «Yip Jaap Stam is a big Dutch man / Get past him if you fxck1ng can / Try a little trick and he’ll make you look a d1ck / Yip Jaap, Jaap Stam». Quello è un pezzo ballabile che rappresenta Stam più con la musica che con le parole.

Ⓤ: Come mai avete scelto proprio questo genere tipo post-punk?

In quel periodo stavamo ascoltando solo quella roba lì, noi avevamo fatto tutt’altro nella musica come esperienze precedenti, e avevamo proprio voglia di suonare quello. Poi il post-punk è un genere larghissimo. Vivendo insieme ci siamo anche trovati ad ascoltare e recuperare dischi di metà 2000, soprattutto del movimento Nu Rave, di quando avevamo 14 anni. All’epoca sentivamo quella roba, e sentivamo che c’erano sia le chitarre distorte che la cassa dritta e pensavamo: wow, fighissimo.

Ⓤ: Che succede se non siete d’accordo su un calciatore?

In generale non siamo grandi fan dei “bomberoni”. Certo, ci siamo detti: potremmo fare un pezzo su Bobo Vieri, calciatore fortissimo. Ma siamo andati a sentire le interviste, e non riuscivamo a tirar fuori nulla che ci emozionasse come con De Rossi o Gattuso. Quindi c’è stato un po’ questo filtro-bomber all’ingresso. Per il resto, erano calciatori che avevano un po’ fatto parte della nostra adolescenza, dalla fine degli anni Novanta fino al 2010, più o meno. Poi abbiamo cercato di non ripetere nessuna squadra, a parte Materazzi e Ronaldo, ma il nostro Materazzi è quello della Nazionale.

Ⓤ: Materazzi quindi per quel gol in finale?

Sì. Poi ci faceva ridere l’idea di un gruppo punk con il nome Materazzi. Poi abbiamo levato una zeta per citare i Fugazi. E Future Club per richiamare “FC”.

Ⓤ: Affinità e divergenze tra calciatori degli anni Duemila e quelli di adesso?

Sicuramente la cosa che ci ha reso più facile scegliere quella generazione lì è che abbiamo preso solo video da Youtube. Oggi ogni scemenza diventa virale, quindi perdono un po’ del loro fascino. I personaggi sono troppo esposti. Ai tempi invece c’erano sì i video ma non il concetto di viralità, eri tu che passavi il link all’amico dicendo: ho trovato Soviero che urla al guardalinee, guarda che roba.

Ⓤ: Tra i protagonisti di oggi quali scegliereste, su due piedi?

Oggi è più difficile. Forse Allegri, e sicuramente Spalletti.