Storia, leggenda e futuro della Dakar

Il fascino esotico e la pericolosità estrema fanno della Dakar un evento leggendario, che sembra sospeso nel tempo. E invece si tratta di una manifestazione tutt’altro che conservatrice.

«Una delle ultime avventure sportive che si possono compiere», così l’ha definita Stéphane Peterhansel: si tratta della Rally Dakar, la corsa off-road più grande, dura e famosa al mondo, che si corre una volta all’anno fra le rocce e la sabbia del deserto. Nota in passato come Parigi-Dakar o semplicemente come La Dakar, è ancora oggi l’obiettivo di chiunque mondo gareggi nei rally, che sia in auto, in moto o sui camion. Per lungo tempo la Dakar è stata considerata la corsa delle stelle e degli eccentrici, visto che tra i partecipanti, negli anni, hanno figurato anche cantanti, astronauti e persino dei principi reali. La Dakar, insomma, riesce a coinvolgere chiunque abbia passione per la velocità, grazie alla sua capacità di cristallizzare il fascino pionieristico delle corse di un tempo, con le loro difficoltà, la loro pericolosità ma anche bellezza. «È una gara in cui devi andare il più veloce possibile, nel più bel paesaggio del mondo. Amo la velocità, ma soprattutto correre nei deserti più belli», ha affermato lo stesso Peterhansel, uno che la Dakar l’ha vinta quattordici volte, otto in auto e sei in moto (un record). Non a caso, a ideare la Dakar nel 1977 fu il motociclista francese Thierry Sabine dopo essersi perso nel Sahara nel corso di un rally. Venne ritrovato dopo alcuni giorni, ma quell’esperienza fu talmente divertente per lui da ispirargli l’idea di una corsa che permettesse anche ad altri di provare le stesse sensazioni. L’intenzione era quella di vivere il raid come una sorta di rito collettivo, fermandosi a bivaccare di notte, tutti insieme, tra una tappa e l’altra. La corsa partì così per la prima volta da Place du Trocadéro di Parigi il giorno di Santo Stefano del 1978, per arrivare 20 giorni dopo a Dakar; il motto era: «Una sfida per chi va. Un sogno per chi resta indietro».

Se la località di partenza è cambiata tante volte nel corso del tempo, l’arrivo è rimasto per anni nella capitale senegalese, per l’esattezza nei pressi del lago Retba, noto anche come “lago rosa” per la tipica colorazione dell’acqua, legata alla presenza di una particolare alga. Il primo anno la classifica venne compilata con formula mista, senza distinzione fra le categorie di veicoli. A vincere fu il francese Cyril Neveu in sella a una Yamaha (con la prima auto solo quinta). Già dal 1980, poi, le classifiche furono separate fra auto, moto e camion. A queste tre categorie si sono aggiunte più di recente quelle riservate ai Quad (nel 2009), agli SSV (nel 2017) e alle vetture classiche, cioè quelle costruite prima del 2000 (nel 2021). Dopo l’edizione 2008 cancellata, l’anno successivo la corsa si spostò in Sud America. Nel 2020 è approdata in Arabia Saudita e, a partire dal 2022, è diventata la prima tappa dell’annuale World Rally-Raid Championship, un campionato mondiale riservato alle corse fuoristrada organizzato dalla stessa Amaury Sport Organisation che patrocina la Dakar, in collaborazione con le Federazioni internazionali dell’automobile e del motociclismo.

È una gara dura, la Dakar: un tempo, prima dell’introduzione del GPS, era molto facile perdersi nel deserto e magari essere ritrovati solo dopo alcuni giorni: capitò nel 1982 al figlio dell’allora Primo Ministro britannico Margaret Thatcher, Mark. Disperso insieme alla pilota francese Anne-Charlotte Verney e al loro meccanico, fu ritrovato nel Sahara dall’esercito algerino dopo sei giorni. Il tutto è stato raccontato anche all’interno della quarta stagione della serie tv The Crown. Nel 1983, quando gli organizzatori imposero di attraversare per la prima volta la regione di Ténéré, alcuni piloti furono invece colti da una tempesta di sabbia e rimasero indietro di quattro giorni rispetto agli altri concorrenti. Perlomeno quelli che non furono costretti ad abbandonare la corsa per aver perso tutto il loro equipaggiamento. «L’impegno fisico e mentale è estremo e ti spinge fino al limite», ha affermato in modo significativo Carlos Sainz, che nonostante tutto è ancora lì, a 60 anni compiuti da un pezzo e tre Dakar vinte, a guidare una Audi fra le dune.

Anche se può sembrare, in realtà la Dakar è tutt’altro che conservatrice. Nel 2022, per esempio, è stata ammessa in competizione la prima auto elettrica, la Audi RS Q e-tron, guidata da tre piloti di grande esperienza: Stéphane Peterhansel insieme al co-pilota Edouard Boulanger, Carlos Sainz con Lucas Cruz e Mattias Ekström con Emil Bergkvist. La buggy di Audi era dotata di due motori elettrici, derivati direttamente da quelli impiegati dalla scuderia sulle proprie monoposto di Formula E e alimentati da una batteria ad alto voltaggio. Sono arrivate subito quattro vittorie di tappa, quasi un annuncio per le grandi ambizioni del futuro. Ambizioni che, in parte, si sono già materializzate a marzo 2022 con la vittoria di Peterhansel e Boulanger all’Abu Dhabi Desert Challenge, il primo raid nel deserto conquistato da un’elettrica. Per Peterhansel, quella di guidare in gara una vettura elettrica è stata un’esperienza che ha comportato anche alcuni benefici: «Questo propulsore», ha detto dopo i primi test, «garantisce una sensazione di piacere alla guida che non avrei pensato possibile. Nella RS Q e-tron abbiamo a disposizione un’enorme quantità di potenza in qualsiasi momento. Nessuna vettura che utilizza un classico motore a combustione interna può offrire tali prestazioni. Non essendoci trasmissione e non dovendo cambiare marcia, posso concentrarmi soltanto sulle sterzate».

Questa nuova avventura da parte di Audi non è iniziata per caso: il progetto della casa automobilistica tedesca si è inserito infatti in un piano degli organizzatori della Dakar, che entro il 2030 puntano a iscrivere solo veicoli a bassa emissione. Un obiettivo molto simile a quello delle altre principali competizioni motoristiche, a partire dalla Formula Uno, che da qualche tempo ha fissato la stessa data per il raggiungimento della neutralità carbonica. Ancora una volta, quindi, la Dakar ha dimostrato di sapersi rinnovare pur mantenendosi ancorata alla tradizione. È così che continua a esercitare un fascino fortissimo su tutti gli appassionati di motorsport, da oltre quarant’anni a questa parte.

Da Undici n° 48