Il Milan sta pagando un mercato sbagliato?

Perché gli acquisti 2022 rossoneri si sono rivelati pedine per posizioni che il Milan non utilizzava, incapaci di assecondare le tattiche di Pioli.

Nelle conferenza stampa che ha preceduto la partita contro il Tottenham di Antonio Conte – vinta faticosamente in rimonta 4-2 – Pep Guardiola ha detto che le difficoltà incontrate dal City dopo la sosta non dipendono da presunti problemi di mentalità, ribadendo anzi che «quando perdiamo la tendenza è quella di parlare sempre di mentalità, della mancanza di grinta, corsa e fisicità. Invece io credo che ci siano sempre delle ragioni tattiche dietro ogni partita che non vinciamo, ragioni che fanno in modo che la squadra non sia perfetta, che io non sia perfetto». Queste parole sono arrivate poche ore dopo quelle di Stefano Pioli che, a chi gli chiedeva se lo 0-3 in Supercoppa conto l’Inter fosse da ricondurre a un atteggiamento sbagliato, ha risposto che «in queste partite l’atteggiamento e la concentrazione ci sono, ci mancherebbe altro. Dobbiamo ritrovare armonia e freschezza mentale per tornare a giocare il calcio che sappiamo e oggi facciamo fatica a fare questo, sia a livello difensivo dove commettiamo parecchi errori, sia a livello offensivo visto che non riusciamo a essere più incisivi. Ecco, è per questo che non siamo stati all’altezza di una gara del genere».

Guardiola e Pioli, seppur in circostanze e momenti diversi delle rispettive stagioni, hanno evidenziato come i continui richiami all’intangibilità insita in concetti come atteggiamento e mentalità non siano altro che delle semplificazioni narrative attraverso cui provare a dare una risposta immediata – e comprensibile a tutti – ai problemi, ben più complessi, di campo. Nel caso di Pioli e del Milan questi problemi sono stati causati dal calciomercato o, meglio, dal modo in cui attraverso il calciomercato la società non sia riuscita a risolvere alcune delle problematiche di natura tattica e tecnica emerse già durante la scorsa stagione. Non è tanto, o non è solo, un discorso di singoli acquisti sbagliati, ma di come questi acquisti non siano riusciti ad avere l’impatto che ci si attendeva, a portare il Milan in una dimensione diversa e ulteriore del proprio percorso di crescita. E questo a prescindere dall’errore o dall’episodio negativo che possono caratterizzare una prestazione, come il fallo di Vranckx su Dybala da cui origina la punizione del 2-2 della Roma a tempo scaduto, nella partita che potrebbe aver azzerato le possibilità nella lunga ed estenuante rincorsa scudetto al Napoli.

C’entra, in parte, anche la ritrosia di Pioli a inserire i nuovi in un sistema ben collaudato, a “fidarsi” di qualcuno che non aveva fatto parte del gruppo che gli aveva appena consegnato il trofeo più importante della sua carriera di allenatore, ma la questione riguarda principalmente la difficoltà di incidere individualmente in un contesto in cui l’upgrade richiesto era collettivo, quindi la capacità dei vari De Ketelaere, Origi, Dest, Pobega e Adli di migliorare il rendimento dei compagni attraverso il loro inserimento nelle rotazioni: «I nuovi si stanno inserendo molto bene, sono tutti ragazzi di talento, giovani e con grande potenziale. Certo, entrano in un gruppo e in un organico molto competitivo anche a livello numerico, ma hanno le qualità per essere importanti per noi», disse a ottobre; da allora, volendone fare una valutazione in termini prettamente numerici, il loro apporto si è sostanziato in appena 3 gol – 2 di Pobega e appena 1, contro il Monza, di Origi – e 4 assist.

Dopo la partita contro la Roma, inoltre, Eurosport ha pubblicato sul proprio sito una tabella in cui si evidenziava come il Milan fosse, fino a quel momento, la squadra di Serie A che aveva utilizzato di meno i giocatori acquistati in estate: 2001 minuti in totale, più di 1000 minuti in meno dell’Inter e quasi 2000 in meno del Napoli capolista. Troppo poco per immaginare che, da qui in avanti, Pioli possa rimodulare le proprie sovrastrutture tattiche sulla base delle caratteristiche di giocatori che, spesso, non sa dove mettere. In questo senso è esemplificativa la situazione di Yacine Adli: acquistato per otto milioni dal Bordeaux, uno dei migliori prospetti europei nel ruolo di mezzala creativa, di fatto inutile in un sistema che lo vedrebbe impiegato solo come trequartista ibrido di corsa e inserimento senza la possibilità di partecipare alla prima costruzione. Una situazione a suo modo anticipata da Pioli stesso già durante il ritiro estivo quando disse che Adli «mi piace molto, ma devo fare delle scelte e devo essere bravo a sbagliarne il meno possibile, perché ho giocatori forti e lui è uno di quelli. Non lo vedo molto nel centrocampo a due, di più in quello a tre». Il risultato sono stati gli appena 117 minuti di impiego e una gerarchia che lo vede sempre e comunque dietro a Pobega, Krunic e Saelemakers.

Sempre per quanto riguarda il centrocampo, vale a dire il reparto che ha marcato la reale differenza tra il Milan e gli altri nel 2022, soprattutto a livello di continuità delle prestazioni, più che su quello che è stato aggiunto bisognerebbe ragionare su quello che manca, anzi su quello cui si è deciso di rinunciare. L’addio di Kessié, a un certo punto divenuto inevitabile per le beghe contrattuali, è stato probabilmente sottovalutato in termini di peso specifico dell’ivoriano in un contesto in cui la sua interpretazione del ruolo di trequartista spurio costituiva il vero elemento equilibratore in entrambe le fasi. Pobega e Vranckx sono due giocatori validi e di prospettiva e che, idealmente, possono giocare “alla Kessié”, ma che devono ancora imparare a farlo, soprattutto per ciò che riguarda la capacità di lettura preventiva delle situazioni nel momento in cui il Milan perde il possesso nell’ultimo terzo di campo, quando per gli avversari si aprono spazi da attaccare in verticale che Kessié schermava semplicemente con la sua sola presenza fisica.

Tuttavia l’esempio più clamoroso resta quello di Charles De Ketelaere che ci ha messo meno di sei mesi per passare da problem solver a primo problema da risolvere, soprattutto in prospettiva futura. In estate avevamo scritto e raccontato come i 32 milioni spesi per il belga fossero una cifra tutto sommato accettabile, o comunque necessaria, nella misura in cui l’intenzione era quella di dare a Pioli un nuovo catalizzatore di gioco, un game changer diverso da Leão e Theo Hernández con in più la multidimensionalità adatta per occupare tutti gli slot offensivi del 4-2-3-1. Guardando giocare oggi il belga la sensazione è che Pioli non sappia che cosa farsene, almeno fin quando non si deciderà a impiegarlo in pianta stabile da falso 9, ruolo che lo ha messo sul taccuino degli scout di mezza Europa – 14 gol e 7 assist in 33 presenze nell’ultima stagione al Bruges giocando da centravanti atipico: «Troveremo molte difese schierate a cinque, non dare riferimenti offensivi può essere una soluzione e lui ha le qualità che servono», confessò Pioli nel mini-ritiro di Dubai di dicembre, ma alle parole non sono ancora seguiti i fatti – se non in occasione della gara di Coppa Italia contro il Torino, prima presenza da titolare dalla partita di Empoli a inizio ottobre – anche per la difficoltà, psicologica prima ancora che tecnica, di rinunciare a Giroud che rappresenta il “panic button” da azionare con lanci lunghi e cross dalla trequarti nei momenti di difficoltà delle partite. De Keteleare ha visto quindi restringersi progressivamente il suo raggio d’azione fino a ritrovarsi confinato nella zona centrale della trequarti offensiva, dove la sua capacità di deformare a piacimento la dimensione spazio-temporale in rifinitura si è trasformata in un limite dal punto di vista della velocità d’esecuzione e di visione, come se il giovane belga fosse ancora troppo lento non solo nel modo in cui gioca, ma anche nel modo in cui pensa la giocata da effettuare nella singola situazione.

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A proposito, poi, di Giroud. La sua imprescindibilità non dipende solo dall’attuale incollocabilità di De Keteleare ma anche dalle caratteristiche del suo teorico sostituto. Lo scarso minutaggio di Divock Origi – 522 minuti in 16 presenze, appena 4 da titolare – è legato solo in parte ai problemi fisici divenuti ormai cronici: l’ex Liverpool, meno di 10.000 minuti giocati nelle ultime tre stagioni, è un centravanti dalle spiccate tensioni verticali, perfetto per campionati come la Premier League o la Ligue 1, ma poco adatto a un lavoro di “ripulitura palla” spalle alla porta che faciliti la risalita del campo per vie centrali. Il motivo è da ricercarsi nelle sue caratteristiche fisiche e tecniche: Origi è un ex esterno offensivo che ha aggiunto chili e muscoli per risultare ancora più esplosivo nell’attacco della profondità e nell’uno contro uno da fermo e che però non ha mai migliorato i fondamentali nel tocco e nel primo controllo necessari per agire da raccordo o associarsi con la mezzala e il terzino di riferimento in fase di attacco posizionale. È come se Pioli avesse a disposizione un giocatore simil-Lukaku che, però, a differenza dell’interista non possiede il bilanciamento ideale tra la dimensione fisica e quella tecnica, oltre a non essere – non lo è mai stato – un finalizzatore affidabile. Ad oggi, quindi, al vantaggio economico di un giocatore arrivato a parametro zero non è corrisposto un effettivo vantaggio tecnico, in quella che può essere considerata come la prima scommessa realmente persa dal duo Maldini-Massara.

Un discorso che può essere esteso, seppur per motivi diversi, anche a Sergiño Dest che potrebbe diventare in proporzione pure più forte di Calabria (e di Florenzi), ma è risultato molto meno continuo e solido difensivamente e, soprattutto, poco adatto a consolidare il possesso entrando dentro il campo (come Pioli chiede spesso a Calabria) o comunque a usare un riferimento fisico diverso dalla linea laterale. Non stupisce, perciò, che negli oltre tre mesi di assenza per infortunio del capitano rossonero, Pioli abbia puntato su Kalulu come terzino destro titolare non appena Kjaer è tornato a disposizione per occupare lo slot al centro della difesa accanto a Tomori, addirittura concedendo minuti e titolarità a Gabbia quando il danese non era impiegabile, pur di non rinunciare all’apporto dell’ex Lione sull’esterno.

Spesso diciamo che uno degli errori più comuni che le società commettono quando si tratta di allestire squadre competitive è quello di pensare che il calciomercato sia una scorciatoia, qualcosa che permetta di semplificare o bypassare il lavoro quotidiano sul campo; nel caso di Milan la sensazione è, invece, che il mercato estivo del 2022 non abbia assecondato il lavoro che Stefano Pioli stava cercando di portare avanti, in un cortocircuito tra contingenze economiche e reali esigenze tecniche. Una situazione che ha trasformato quelle che dovevano essere delle risorse in (ulteriori) problemi da risolvere.