Raffaele Palladino è l’Arrigo Sacchi del Monza

Entusiasmo, perfezionismo ma anche scelte innovative e radicali: come il tecnico del Monza ha ribaltato la stagione dei brianzoli.

Il 14 settembre 2022 Raffaele Palladino è stato presentato come nuovo allenatore del Monza reduce da cinque sconfitte nelle prime sei partite della sua storia in Serie A, nella settimana che avrebbe portato alla gara del Brianteo proprio contro la Juventus: «La scelta che abbiamo preso, il presidente Silvio Berlusconi e io, è dettata dal fatto che secondo noi Palladino ha in sé le stimmate del grande allenatore. Anche quando scegliemmo Arrigo Sacchi per il Milan, fu una scelta coraggiosa. La scelta di Palladino la paragonerei molto a quella di Sacchi. Vogliamo una squadra che faccia meglio rispetto alle prime giornate», dice in quell’occasione Adriano Galliani, un istante dopo aver sostituito Giovanni Stroppa, il tecnico della storica promozione, con un esordiente che fino a quel momento della sua giovane carriera non era mai andato oltre la panchina della squadra primavera. Quattro giorni dopo, il gol di Christian Gytkjaer a un quarto d’ora dalla fine permette al Monza di battere la Juventus e di trovare la sua prima storica vittoria nel massimo campionato. Palladino in sala stampa racconta di «un sogno realizzato, non mi aspettavo di esordire vincendo, ma sapevo che i ragazzi avrebbero messo in campo cuore e anima, lo avevo percepito in settimana. C’è stata tanta volontà e grande lavoro settimanale, io ho doluto solo trovare la chiave giusta perché un allenatore deve capire il momento e provare a dare entusiasmo. Ho fatto capire loro che sono forti e che dovevano avere coraggio».

Quella del dare entusiasmo è stata la chiave di lettura privilegiata di questi primi sei mesi del Palladino allenatore, il filtro attraverso cui si è provato a raccontare un tecnico di cui prima di quella storica giornata di metà settembre si conosceva poco o nulla. In fondo anche nei suoi esordi da calciatore Palladino era considerato un game changer, uno di quelli in grado di avere un impatto migliore a gara in corso, quindi per certi versi è stato persino naturale declinare la sua serie positiva – otto vittorie, quattro pareggi e cinque sconfitte in 17 partite di campionato per 28 punti complessivi – secondo i canoni della scossa emotiva, di un lavoro psicologico prima ancora che tecnico o tattico: «Mi sto concentrando sul discorso tattico, stiamo cercando di trovare le soluzioni migliori per provare a trasferire ai ragazzi la mia idea di calcio, ma ovviamente non deve mancare l’aspetto emotivo. Dopo una serie di risultati negativi da quel punto di vista sei giù, ma devo dire che ho trovato dei ragazzi con tanta disponibilità. Nel calcio in cui credo io non può mancare l’entusiasmo», rivelò lui stesso nella conferenza stampa di presentazione.

In realtà se c’è una cosa che abbiamo potuto imparare guardando il Monza è che Palladino è un autentico studioso del gioco, un perfezionista che non ha paura di sperimentare e innovare e che sta esplorando i limiti suoi e della squadra senza che questa ricerca abbia un impatto significativo sui risultati, che sono poi l’unica cartina di tornasole del lavoro svolto. Soprattutto se ci si trova sulla panchina di chi, decimo posto a parte, deve lottare per salvarsi il prima possibile: «Noi non dobbiamo pensare agli elogi, che fanno certamente piacere, ma noi dobbiamo pensare alle partite del girone di ritorno, pensando a ciò che c’è da fare», disse a fine gennaio, alla vigilia del return match contro la Juve all’Allianz Stadium. Il giorno dopo il Monza bissò il successo del Brianteo con una prova talmente autorevole da far dire ad Andrea Colpani che «non mi aspettavo di vincere così facilmente in casa della Juventus». A quel punto è stato chiaro a tutti che Palladino fosse un allenatore vero, o che comunque ci fosse molto di più dietro la sua capacità di trasmettere velocemente idee e principi di gioco e di rivitalizzare un ambiente che stava patendo il salto di categoria al di là dei demeriti di Stroppa: «Questa squadra è stata costruita molto bene, con giocatori di qualità che dimostrano un grande senso di appartenenza. Nella gestione col mister Stroppa ho trovato una squadra che sa giocare a calcio e di questo gli va dato merito. Io cerco di dare quello che posso per migliorare i risultati».

Gasperiniano per formazione e inclinazioni – allo stesso modo di Juric e Tudor e in attesa di capire quale sia il reale valore di Bocchetti – Palladino è molto di più di un emulo del tecnico di Grugliasco, che pure lo allenò nella prima parentesi genoana della sua carriera da giocatore; dall’antico maestro ha certamente ereditato i concetti dell’intensità in fase di pressione, della tensione verticale perenne, dell’uno contro uno a tutto campo e delle scalate sistematiche, ma è stato bravo anche nel dare una sorta di tocco personale, qualcosa che diventasse il suo marchio di fabbrica, la sua firma in calce a una stagione sorprendente. Il riferimento, ovviamente, è a Patrick Ciurria e al suo nuovo ruolo di esterno – anzi, laterale – destro dopo essere stato per tutta la sua vita calcistica una seconda punta mobile e creativa: in questa stagione l’ex Pordenone Ciurria è stato il giocatore copertina della risalita in classifica del Monza, l’insostituibile per eccellenza – 1.242 minuti giocati sui 1.620 disponibili da metà settembre ad oggi, sempre titolare tranne che in occasione della sconfitta interna contro il Bologna del 31 ottobre –, autore di quattro assist e tre gol, compreso quello del primo vantaggio a Torino e l’altro, bellissimo, nel 2-2 contro l’Inter del 7 gennaio, il suo primo in Serie A.

Dal punto di vista della sovrastrutture tattiche e dell’organizzazione la parola chiave è ampiezza, come in ogni squadra gasperiniana che si rispetti, sia nella fase di prima costruzione che nell’attacco dell’ultimo terzo di campo. Il Monza di Palladino è schierato con un 3-4-2-1 che in fase di possesso sfrutta al massimo le corsie esterne. Ad inizio azione uno dei due terzi di difesa –  Izzo o Marlon a destra, Caldirola a sinistra – allarga la propria posizione per permettere ad almeno uno dei due centrocampisti centrali di occupare l’half space alle spalle della prima linea di pressione, mentre l’altro si abbassa per fornire una linea di passaggio pulita in verticale. L’idea è quella di poter utilizzare tra i tre e i quattro giocatori nella progressione dell’azione per creare una superiorità numerica e posizionale che consenta al trequartista/mezzapunta di associarsi con i compagni del suo lato o, comunque, di attaccare lo spazio alle spalle del centrale di riferimento portato fuori da Petagna. Da questo punto di vista il lavoro di Palladino si è concentrato nella ricostruzione tecnica e mentale di Caprari – 4 gol e 1 assist – e nel mettere al centro di tutto Matteo Pessina, che questo sistema lo conosce e lo interpreta alla perfezione. E anche lo stesso Petagna, per quanto strutturalmente diverso da Zapata e Højlund soprattutto dal punto di vista dell’atletismo e dell’esplosività, si sta dimostrando un eccellente cosplayer di quel tipo di centravanti, in grado di avere impatto fisico e tecnico indipendentemente dal numero di gol realizzati.

Palladino è arrivato quando il Monza non aveva vinto nemmeno una partita. Nelle sue prime 16 partite, ne ha vinte 8, pareggiate 4 e perse 4.

In fase di non possesso le scelte di Palladino sono ancor più radicali, e questo lo si nota soprattutto quando il Monza attacca in pressione la prima costruzione avversaria, e con l’ultima linea praticamente all’altezza di quella di metà campo. Questo rende i brianzoli una squadra scomoda da affrontare quando viene permesso loro di fare densità in zona palla ma facilmente perforabile una volta trovato l’uomo libero oltre la seconda linea di pressing. Si tratta, tuttavia, di un rischio che Palladino è disposto a correre – «Vorrei vedere più coraggio, specialmente nell’accettare l’uno contro uno» disse dopo la vittoria contro la Sampdoria del 2 ottobre, la seconda di tre consecutive – soprattutto nella misura in cui l’idea è quella di supplire alle carenze individuali con un sistema complesso che è la somma di tante cose semplici, o comunque alla portata di interpreti non di primissimo livello. Da questo punto di vista, se ne facciamo una questione di rapporto tra materiale umano a disposizione e risultati conseguiti, Palladino è l’allievo di Gasperini che sta facendo meglio e che promette di più in termini di sviluppo del proprio background, soprattutto per ciò che riguarda la possibilità di contaminazione con altri modelli meno rigidi ma ugualmente efficaci.

Oggi, in un rapporto di perfetta reciprocità, tanto il Monza quanto il suo allenatore sono due entità in divenire, un progetto dai limiti non definibili e dalle possibilità ancora inesplorate. La sensazione è quella di trovarsi di fronte a uno studente particolarmente brillante che ha sfruttato il suo bagaglio di conoscenze per non pagare troppo il dazio nel passaggio da un tirocinio a un impiego a tempo pieno, e che comunque si sta ancora formando, mettendo alle prova, scoprendosi e inventandosi giorno dopo giorno come allenatore di Serie A pur essendolo già di fatto: «Quello che verrà in più sarà quello che creeremo negli ultimi tre mesi di lavoro, non sappiamo ancora dove possiamo arrivare» ha detto dopo la vittoria contro il Bologna di Thiago Motta, un altro gasperiniano d’eccellenza. Si riferiva al Monza, naturalmente, ma anche a sé stesso, proprio come quando da ragazzo si permise di non passare la palla a sua maestà Del Piero senza per questo pensare di essere nel torto.