Simone Inzaghi, allenatore di coppa

Il passaggio ai quarti di finale di Champions League è un'altra prova di questa teoria.
di Alfonso Fasano
15 Marzo 2023

In quanto sport a basso punteggio, il calcio non può sfuggire al giudizio basato primariamente sui risultati: per quanto possa essere un ideale nobile, è praticamente impossibile valutare e analizzare una partita – o anche una stagione – senza partire dal suo esito, da come è andata a finire. Insomma, per l’Inter il pareggio ottenuto a Porto non potrà entrare nella storiografia nerazzurra come il frutto della gara dell’anno, ma quel che resta è una piccola impresa di resistenza e gestione della tensione. Certo, la sofferenza finale ha cambiato un po’ la percezione della partita, i due pali colpiti dal Porto nel recupero l’hanno trasformata in una prova – superata – di sopravvivenza. Anche in questo caso, però: quello che resta all’Inter è l’approdo ai quarti di finale di Champions League a dodici anni dall’ultima volta, e dopo quattro tentativi – con Spalletti, Conte e poi Inzaghi – andati a vuoto.

Una delle categorizzazioni più machiavelliche che si possono fare nel racconto del calcio riguarda gli allenatori, è quella per cui esistono allenatori di campionato e allenatori di coppa. In fondo, a pensarci bene, non sembrerebbe avere molto senso: le partite si giocano allo stesso modo sia nel weekend che di mercoledì, quindi inevitabilmente i tecnici le preparano allo stesso modo, studiando gli avversari di turno per modellarsi su di loro e/o lavorando per imprimere la propria identità di gioco, in base al proprio metodo e alle proprie idee. In certi casi, però, i numeri determinati da ciò che succede in campo, ancor più che le suggestioni, suggeriscono di creare delle categorie: allenatori di campionato e allenatori di coppa. Stiamo ovviamente parlando di Simone Inzaghi, che dopo la partita di Porto ha rivendicato – tra le righe – il percorso fatto in Champions League e gli altri successi della sua squadra, e in realtà l’ha fatto spesso da quando è all’Inter e lo faceva pure quando era sulla panchina della Lazio. In fondo, pensa e dice Inzaghi, le mie due vittorie in Coppa Italia più semifinale raggiunta quest’anno, le mie quattro Supercoppe Italiane e questo pass per i quarti di finale di Champions– a cui va aggiunto quello per gli ottavi conquistato con la Lazio 2020/21 – significheranno pur qualcosa, no?

Ecco, questi sono i numeri di cui parlavamo prima. Numeri che, naturalmente, ci suggeriscono di inserire Simone Inzaghi nell’elenco degli allenatori di coppa. Poi ci sono anche le suggestioni. Proprio Inter-Porto e Porto-Inter ne hanno partorite diverse: gli zero gol subiti dai nerazzurri sono un dato, e anche molto significativo, ma si può dire che i nerazzurri abbiano rischiato davvero in pochi e sparuti segmenti delle due partite, e in quei momenti Inzaghi ha potuto contare su Onana in stato di grazia – Onana, per altro, è stato lanciato nel corso di questa stagione al posto di un’icona interista come Handanovic. E ancora: a San Siro come al Do Dragão, l’Inter è scesa in campo con la volontà di gestire il Porto, di tenere bassi i ritmi e di accelerare solo al momento giusto, che poi è il modo migliore per sfruttare le qualità dei suoi uomini, per mascherare i loro difetti. E anche per bloccare il gioco verticale ed elettrico della squadra di Conceição.

Proprio questo significa essere un allenatore di coppa, e in fondo è un titolo di merito: Simone Inzaghi è davvero bravo, lo dice la storia, a preparare le partite secche, quelle one shot. Se guardiamo alla sua avventura all’Inter, ha vinto la Coppa Italia e due volte la Supercoppa, battendo Roma, Milan, Juventus; in Champions ha perso solo contro avversarie decisamente più forti, Real Madrid e Liverpool lo scorso anno e Bayern Monaco quest’anno, ma intanto ha eliminato Shakhtar e Barcellona. In realtà il discorso si potrebbe estendere anche a tutti i big match: in campionato, infatti, ha perso solo due delle dieci gare giocate contro Milan, Juventus e Napoli. Certo, ha perso un derby decisivo per lo scudetto dello scorso anno, solo che quella partita, lo ricorderete, ebbe un andamento stranissimo: l’Inter dominò fino a un certo punto della ripresa e poi all’improvviso si sciolse, senza aver dato segnali premonitori. Allo stesso modo, però, i nerazzurri sono stati l’unica squadra di Serie A in grado di limitare davvero il Napoli dominante di questa stagione: il 4 gennaio scorso, l’1-0 suggellato da Dzeko non è arrivato in modo casuale, piuttosto al termine di un match in cui i nerazzurri hanno mostrato di avere le qualità fisiche e anche tattiche per giocare alla pari contro avversari che possiedono la stessa qualità assoluta. O forse anche qualcosina in più.

I limiti dell’Inter in questa stagione, anche questo lo dicono i numeri, si sono manifestati in altre partite. Contro altri avversari. Ed è su questo che Inzaghi deve lavorare, in quanto allenatore dell’Inter ma anche per migliorare se stesso: le sue squadre, anche la miglior Lazio del quinquennio in biancoceleste, hanno sempre avuto problemi di ripetitività e quindi di prevedibilità, dopo aver trovato l’assetto e i meccanismi giusti è come se Inzaghi si cristallizzasse e facesse fatica ad andare oltre le sue stesse intuizioni, e allora i risultati finiscono per dipendere dalla qualità, dal rendimento e quindi dalla condizione momentanea – fisica, tecnica, psicologica, motivazionale – dei calciatori. Inevitabilmente, queste criticità si acuiscono contro avversari più chiusi, più speculativi, che concedono pochi spazi e studiano le partite per contenere l’Inter e i suoi uomini migliori. Ecco, per appiccicarsi addosso anche l’etichetta di allenatore di campionato, Simone Inzaghi deve superare questa sua atavica resistenza alla sperimentazione perpetua. Per il momento, è decisamente un allenatore di coppa, uno dei migliori tecnici nella preparazione delle partite singole, per di più contro squadre che stanno al suo stesso livello. Forse non è il massimo cui può aspirare, c’è ancora ampio margine per crescere, ma di certo non è poco. I risultati in Champions lo dimostrano chiaramente, e in quanto tali sono inappellabili.

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