Un’ottima Inter, il peggior Benfica dell’anno

Simone Inzaghi ha preparato un buonissimo piano-gara, ma la squadra di Schmidt è apparsa davvero lontana dalla sua versione migliore.

In autunno il Benfica ha battuto per due volte la Juventus e ha costretto il PSG al secondo posto nel girone di Champions League. Si è trattato dei risultati inattesi, ma solo prima degli scontri diretti: al Da Luz, all’Allianz Stadium e al Parco dei Principi la squadra di Roger Schmidt ha mostrato una qualità e un’organizzazione all’altezza dei punteggi finali, soprattutto la Juventus è stata sconfitta per due volte in modo netto, meritato. Il Benfica ha continuato a trasmettere la stessa sensazione di forza e di sofisticatezza tattica anche contro il Bruges nella doppia sfida degli ottavi, come a voler confermare che gli exploit del 2022 non erano stati casuali: una vittoria solida in Belgio (2-0) e il dominio festoso a Lisbona (5-1) avevano messo il timbro sulla candidatura degli Encarnados per la semifinale e – perché no? – anche per la finale di Istanbul, considerando anche un sorteggio stranissimo, che aveva disegnato un tabellone dai due rami non proprio simmetrici, in quanto al valore assoluto degli accoppiamenti.

Per raccontare Benfica-Inter 0-2, era ed è necessario partire da qui. Dalla forza percepita della squadra portoghese, dal suo ottimo cammino in Europa – di certo più significativo del primo posto in Primeira Liga con sette punti di margine sul Porto. In fondo anche l’Inter ha giocato un’ottima Champions League, aver superato un girone con Bayern Monaco e Barcellona resta e resterà una grande impresa, ma la squadra di Simone Inzaghi non poteva presentarsi da favorita al Da Luz: troppo scintillante, il Benfica di Schmidt, perché il pronostico di questi quarti di finale non fosse almeno equilibrato, 50-50 sulla griglia di partenza. Anche i primi minuti della partita d’andata, a riguardarli bene, hanno confermato questa tesi: al Da Luz sono scese in campo due squadre molto diverse ma dai valori apparentemente equivalenti, non brillantissime, non molto ispirate in fase offensiva, ma comunque all’altezza di un palcoscenico così prestigioso.

All’improvviso, però, le cose hanno preso una piega diversa. All’Inter è bastato aumentare il ritmo del suo gioco, alzando Bastoni a supporto della manovra d’attacco, per mandare in tilt il sistema difensivo avversario. La partita è cambiata nella ripresa, ma il gol di Barella (proprio su assist di Bastoni dalla trequarti) è stato una conseguenza, non l’innesco della trasformazione: la squadra di Simone Inzaghi, come detto, è rientrata più vispa e più propositiva dopo l’intervallo, fin dall’inizio della ripresa ha iniziato a colpire ai fianchi – è una metafora ma anche una descrizione letterale: l’Inter ha attaccato soprattutto sui lati, soprattutto con Dumfries – il Benfica e l’ha fatto barcollare una, due, tre volte, il gol del vantaggio non ha portato a grandi reazioni tecnico-tattiche da parte dei portoghesi, e allora la partita è andata avanti in modo tranquillo, sereno. Anzi, Dumfries ha continuato ad aggredire la difesa avversaria, si è procurato un rigore e Lukaku si è assunto la responsabilità di trasformarlo. Prima e dopo il raddoppio dell’Inter, la reazione – una reazione, come detto, essenzialmente emotiva – del Benfica ha prodotto un paio di palle gol di pura confusione, poi a tempo scaduto è arrivata l’unica parata davvero difficile di Onana su un tiro ravvicinato di Gonçalo Ramos.

La sintesi

Proprio quest’ultimo punto chiude tutti i cerchi, permette di completare un’analisi coerente e anche piuttosto chiara: al Da Luz, una buonissima Inter ha battuto il peggior Benfica visto quest’anno, quantomeno in Champions League. La partita non si può sintetizzare diversamente, visto che la squadra di Schmidt ha costruito pochissimo, è apparsa timida e perciò incapace di sviluppare il suo gioco avvolgente e insieme ficcante; allo stesso tempo ha dato la sensazione di essere fragile in difesa, nonostante l’Inter abbia utilizzato – bene, anzi benissimo – un numero limitato di pattern, di azioni codificate. È come se il Benfica avesse smarrito la magia, quella spinta propulsiva fatta di qualità e spensieratezza che l’aveva resa (fatta apparire?) una squadra fortissima, a tratti irresistibile. Le assenze di Bah, Otamendi e Draxler – anche se il tedesco è sempre stato un rincalzo – non possono essere sufficienti a spiegare una regressione così netta, è necessario parlare delle prestazioni grigie di João Mário, Rafa Silva e Gonçalo Ramos, tutti ben al di sotto della sufficienza. Tutti non all’altezza di quello che avevano mostrato nelle precedenti gare di Champions.

Su questo crollo verticale pesano anche i meriti dell’Inter e soprattutto di Simone Inzaghi: il tecnico nerazzurro è stato bravissimo a preparare un piano-gara accorto ma non speculativo, poi è stato intelligentissimo nella comprensione dei momenti della partita, nel capire come e quando accelerare per vincere. L’Inter ha mostrato – una volta di più – di essere molto più a suo agio in una gara che non poteva essere dominata, nel corso della quale non avrebbe avuto il possesso perenne del pallone. Una gara di coppa, insomma, come se Inzaghi si fosse divertito ad alimentare la leggenda per cui è un perfetto allenatore per i tornei a eliminazione diretta, per le partite one shot, mentre in campionato fa decisamente più fatica. A volte ci sono dei momenti e delle stagioni per cui questa etichette – superficiali, semplicistiche, banali, banalizzanti – risultano un po’ più vere, un po’ più realistiche, e questo è uno di quei momenti dentro una di quelle stagioni: l’Inter e Simone Inzaghi si sono costruiti una grande occasione e la stanno sfruttando alla grande, mentre il Benfica non ci è riuscito, almeno per il match d’andata. A volte basta questo per fare la differenza, per ipotecare una semifinale di Champions League.