È tornato Roger Schmidt

Era uno degli allenatori più radicali d'Europa, oggi ha diluito le sue idee e ha portato il Benfica ai quarti di Champions League.

«Non volevo fare l’allenatore di calcio», dichiarò Roger Schmidt in un’intervista del 2016 rilasciata al Guardian. Era praticamente una vita fa, era un altro calcio e soprattutto era un altro Roger Schmidt: il suo soprannome era Klopp 2.o, visto il suo passato da ingegnere, la carriera da calciatore con zero presenze in Bundesliga e la scelta di dedicare al calcio solo un piccolo spazio della sua vita, almeno fino a quando non ha dimostrato di avere la stoffa per stare in panchina ad altissimi livelli. La rivelazione di Schmidt risale a un tempo ancora precedente, precisamente al 2012, quando si insedia al Salisburgo e ci resta due anni, gettando le basi per quella che sarebbe diventata una squadra costante nelle prestazioni, pressoché imbattibile in patria e ostica da affrontare in Europa, per qualsiasi avversario. Se andassimo a rileggere una formazione del Salisburgo di Roger Schmidt, ritroveremmo diversi volti noti del calcio contemporaneo, per esempio Sadio Mané e Kevin Kampl, e ci accorgeremmo realmente di quanto tempo sia passato. Quello sul tempo trascorso è un discorso valido anche dal punto di vista tattico: il Salisburgo di Schmidt avvertiva inevitabilmente l’influenza radicale e totalizzante di Ralf Rangnick, arrivato nell’universo Red Bull per plasmare le squadre del futuro, iperverticali e ipercinetiche. Una formula che oggi è ormai comune ma allora era rivoluzionaria. E funzionò pure piuttosto bene: alla fine della sua seconda stagione in Austria, Schmidt si ritrovò a festeggiare il titolo della Bundesliga al termine di un campionato dominato, vinto con 18 punti di vantaggio e addirittura 112 gol segnati.

La tappa successiva, al Bayer Leverkusen, meriterebbe un approfondimento a parte, mentre qui ci consentiamo una breve digressione. Schmidt infatti assemblò una squadra che si poteva definire violenta per il modo in cui si disponeva in campo e interpretava il gioco del calcio: non è esagerato affermare che il sistema del Bayer si basasse quasi interamente sulla riconquista del pallone tramite il gegenpressing tanto caro alla nuova generazione di laptop trainer tedeschi che stava emergendo proprio in quegli anni. Al punto che lo stesso Schmidt spesso ordinava ai suoi giocatori di perdere volontariamente la palla, così da riconquistarla più facilmente e di arrivare al tiro in porta nel giro di sette secondi al massimo. Le statistiche di quel Bayer restano assurde anche a distanza di tanti anni, se guardiamo al numero irrazionale di tiri tentati e sbagliati: segno che la concezione di Roger Schmidt era quella per cui il calcio è un gioco al massacro, consistente nel conquistare la palla per liberarsene il prima possibile.

Non poteva durare a lungi e infatti non durò a lungo, ed è in questo punto che la carriera di Schmidt ha ricevuto un twist stranissimo: si parlava di lui come di uno dei possibili eredi di Pep Guardiola al Bayern Monaco, del resto aveva impressionato tutti col suo calcio unico, peculiare e invece poi venne esonerato dal Bayer. E così decise di trasferirsi in Cina, al Beijing Guoan. A portarlo in Asia furono di più i soldi o la sua folle idea di calcio? Come sempre, la verità sta nel mezzo. È evidente, però, che le battute d’arresto subite in quegli anni – anche in Cina Schmidt venne esonerato nel corso della seconda stagione – abbiano giovato all’attuale allenatore del Benfica: «Mi sento un allenatore migliore di quando ero al PSV, di quando ero in Cina e di quando ero al Leverkusen», ha detto a Kicker lo scorso settembre.

Album dei ricordi di una delle squadre più dirette, verticali ed elettriche di sempre

Prima del suo arrivo in Portogallo, Schmidt ha infatti vissuto due stagioni a Eindovhen, dove ha dato una netta prova del suo miglioramento: con lui il PSV ha registrato numeri da titolo nazionale e non è riuscito a vincerlo, ma solo perché l’Ajax dello scorso anno, quando eravamo già a marzo, aveva subito solamente nove gol in campionato e ne aveva segnati addirittura 74. In Olanda, Schmidt ha ripreso le misure al calcio europeo, ha di fatto lanciato la carriera di giocatori come Cody Gakpo, Noni Madueke e Ritsu Doan, e ha ridato nuova vita a Mario Götze. Dal punto di vista puramente tattico, le idee del nuovo Schmidt sono risultate leggermente diverse rispetto agli anni di Leverkusen, nel senso che si erano un po’ diluite, adattate ai differenti luoghi in cui aveva allenato. E alle caratteristiche del PSV, ovviamente. Per esempio, ha svikuppato nuovi modi di pensare alla gestione della palla. Ed è per questo che oggi il suo Benfica è una squadra sì diretta, ma che sa anche pazientare, aspettare il momento giusto per riversarsi bene e in maniera ordinata nella metà campo avversaria. La cosa più sorprendente è che il dominio esercitato sul campionato portoghese – le Águias hanno la miglior difesa e il migliore attacco della Primeira Liga, e soprattutto hanno cinque punti di vantaggio sul Porto con una partita da recuperare – si è esteso anche alla Champions League: il Benfica è la squadra ancora in corsa che ha segnato più gol (23) ed è tra le prime cinque per tackle (109) e palloni recuperati (327). Insomma, la vittoria del girone in cui c’erano PSG e Juventus non è stata un caso, tutt’altro.

Il merito di questi risultati va ascritto anche alla società, che ha assemblato una squadra perfetta per le richieste del suo stesso allenatore: è stato lo stesso Schmidt a rivelare di essere entusiasta della composizione della sua rosa, delmix di giocatori esperti e giovani promettenti, per esempio il pilastro difensivo Antonio Silva e Gonçalo Ramos in attacco. I giocatori più decisivi, però, sono Rafa Silva e João Mário. In particolare l’ex Inter sembra un altro giocatore dall’arrivo di Schmidt: siamo ancora a marzo e ha già messo insieme 21 gol e 12 assist in tutte le competizioni, dimostrando come Schmidt sia capace di coltivare tutte le individualità a sua disposizione, quindi di creare valore di mercato. Una capacità che si sovrappone perfettamente al modello di business calcistico del Benfica, che da sempre investe tantissimo nel suo settore giovanile e per acquistare i talenti del domani. Come per esempio Andreas Schjelderup, arrivato a gennaio dal Nordsjælland e che proprio domenica scorsa ha fatto il suo debutto con la prima squadra, nella vittoria esterna per 0-3 col Marítimo.

La storia del Benfica arrivato ai quarti di finale di Champions per il secondo anno consecutivo si compone quindi di tanti pezzi diversi, ma il più interessante è proprio quello che riguarda Roger Schmidt. Un allenatore che sembrava perduto e invece ha trovato il modo e i luoghi adatti per reinventarsi, per dare una seconda vita e una seconda chance alla sua carriera. Una carriera che sembrava destinata ad assumere i contorni di una partita di Football Manager, ma che lo sta restituendo al calcio che conta. E con gli interessi. Non a caso, si parla già di alcuni top club interessati a lui: arrivarci sarebbe davvero una grande rivincita.