Se esistesse un ideale spettro delle tattiche calcistiche contemporanee, Real Madrid e Manchester City dovrebbero essere poste ai due punti più estremi. Sono due squadre opposte dal punto di vista culturale, prima ancora che tecnico o tattico. E non perché il Madrid ha una nobiltà secolare mentre il City è diventato grande solo negli ultimi anni, queste sono poco più che suggestioni: il punto è che lo stesso calciomercato intensivo ed estensivo – da anni entrambi i club alternano grandi colpi milionari all’acquisto di talenti futuribili altrettanto milionari – viene declinato e si esprime in maniera completamente diversa. È un discorso di strategia, anzi di pura filosofia calcistica: il Real Madrid viene schierato e si muove in campo come se fosse un composto liquido in grado di deformarsi continuamente, quindi di adattarsi a qualsiasi condizione tattica ed emotiva; il Manchester City, invece, è una specie di monolite fatto di e con un materiale durissimo, inscalfibile, che si installa sul terreno di gioco e prova a prenderne il controllo appropriandosi del pallone, e senza modificare mai la propria struttura.
Per capire cosa intendiamo, ecco una suggestione che invece non lo è: Real Madrid e Manchester City sono talmente distanti tra loro che Ancelotti può “inventarsi” Camavinga esterno difensivo e utilizzarlo in quel ruolo – con un ottimo rendimento, per altro – in una semifinale di Champions, mentre Guardiola finisce la stessa semifinale di Champions senza fare sostituzioni. Era accaduta la stessa cosa anche nell’andata degli ottavi contro il Lipsia, ma è chiaro che una scelta del genere, fatta al Bernabéu e a pochi minuti di gioco dalla finale, con il risultato in bilico, abbia un altro senso, un altro sapore. Un altro peso.
Tutte le sensazioni – puramente visive, ma anche emotive – trasmesse dalla partita del Bernabéu rimandano a questo scontro tra approcci e stili: il City ha cercato di tenere il pallone e di muoverlo usando sempre le stesse direttrici, non si è mai scomposto, neanche dopo essere andato sotto, Grealish e Bernardo Silva larghissimi sulle fasce a piede invertito, Gündogan accanto o subito davanti a Rodri, De Bruyne che andava dove credeva fosse giusto – il fenomeno belga sembrava essere l’unico licenziatario di una certa libertà, ma in realtà anche quella libertà era codificata – e Haaland che alternava movimenti a venire incontro e attacchi alla profondità; il Real non aveva una forma definita e nel caso specifico si tratta di un pregio, così Benzema, Vinícius e Rodrygo potevano scambiarsi la posizione e cercarsi e trovarsi molto più facilmente, così Modric e Kroos potevano andare a farsi dare il pallone e smistarlo con la consueta pulizia tecnica, così Camavinga ha potuto aggiungersi al centrocampo in fase di impostazione, lasciando spazio e tempo a Valverde per inserirsi in avanti.
Al di là delle preferenze – tattiche, estetiche, relative ai personaggi e quindi politiche – di ciascuno di noi, non esiste un tipo di calcio ontologicamente superiore, cioè oggettivamente più efficace e più vincente, rispetto a un altro. Se è servita a qualcosa, al di là del puro intrattenimento, Real Madrid-Manchester City 1-1 è servita proprio a questo: a mostrarci che due stili di gioco così diversi, diametralmente opposti tra loro, possono essere ugualmente funzionali. Non è una questione di risultato, non solo: Real Madrid e Manchester City hanno offerto entrambe una buonissima prestazione, si sono stuzzicate e annullate a vicenda, basti pensare che Haaland e Benzema sono stati entrambi poco pericolosi, ma questo non ha impedito a due campioni assoluti – Vinícius e De Bruyne – di trovare due gol molto belli; Rüdiger e Rúben Dias sono stati i soliti titani difensivi, eppure Courtois ed Ederson hanno dovuto sfoderare alcune parate di grande qualità.
La partita, insomma, si è retta su un equilibrio del tutto simile al Mi Cantino di una chitarra elettrica: estremamente sottile eppure difficilissimo da tagliare, da spezzare. Ed è proprio questo il punto: i giocatori del Real Madrid hanno fatto certe cose, le stesse di sempre, e sono sembrati sempre consapevoli, sempre tranquillissimi, sempre sicuri che sarebbe andato tutto bene; lo stesso discorso vale anche per quelli del Manchester City, che però lavorano con Guardiola e allora è tutto normale, è tutto scontato, ma non è così: andatela a trovare una squadra che gioca la terza semifinale di Champions consecutiva con la stessa serenità, la stessa calma, anche dopo che il risultato è diventato sfavorevole. Vi aiutiamo a svolgere questa ricerca: questa squadra non c’è, non esiste. O meglio: ne esiste una sola, ed è proprio il Real Madrid. Che è arrivato in semifinale dieci volte dal 2011 a oggi.
Ecco perché Real Madrid-Manchester City 1-1 è stata una partita davvero bella. Sicuramente in modo diverso rispetto alla giostra senza controllo di un anno fa, quando entrambe le gare tra Guardiola e Ancelotti furono dominate e decise dal caos, ma in fondo anche la bellezza è come il calcio: è una questione soggettiva, è un discorso di gusti, di inclinazioni. Di scelte, quindi di cultura. Qualcuno sceglierà di preferire il calcio liquido Real Madrid, altri invece amano il possesso e i ritmi cadenzati del Manchester City, ma due cose sono certe: non apprezzare queste due squadre meravigliose, entrambe, è da stupidi; la Champions League avrà una finalista di primissimo livello. Dobbiamo solo scoprire quale sarà.