Quando qualche giorno fa, ai microfoni di Amazon Prime, ad Alessandro Bastoni veniva chiesto dopo quanti secondi dal fischio finale di Inter-Benfica avesse iniziato a pensare al derby, il difensore nerazzurro rispondeva: «Dieci minuti prima, da quando abbiamo fatto il 3-1 col Benfica già c’era questo pensiero». È una risposta abbastanza anomala di questi tempi, abituati come siamo allo standard retorico del qui-e-ora ostentato dalla stragrande maggioranza dei giocatori che si presenta davanti ai giornalisti. Un’anomalia che però rivela cosa succede quando Milan e Inter si giocano tra di loro l’accesso a una finale di Champions League. Perché gli euroderby a Milano sono quelle partite che giochi tre volte: prima, durante e dopo. E se il prima può risucchiare la concentrazione di un giocatore proiettandolo in una partita che si disputerà soltanto di lì a tre settimane, il dopo per un tifoso può significare decenni di cori, striscioni e sfottò col vicino di casa. Gli interisti ne sanno qualcosa.
È sempre difficile scrutare dentro i rapporti tra tifo e squadra, tra il sentimento popolare e l’approccio dei giocatori a una partita, azzardare parallelismi. Però, a giudicare dall’atteggiamento con cui sono scese in campo le squadre nel primo tempo, è come se, per qualche strana forma di telepatia, entrambe avessero incarnato l’attuale spirito delle rispettive piazze. Da un punto di vista storico, la pressione maggiore era sulle spalle del Milan. Forti delle vittorie negli euroderby del 2003 e del 2005, erano i rossoneri ad avere di più da perdere, a cominciare proprio dal predominio nei derby europei. L’Inter, invece, al di là della tensione del pre-partita (quella c’è sempre), aveva il canino ben scoperto e scintillante da settimane, pregustando una vendetta storica che attendeva da vent’anni.
E infatti sono proprio i nerazzurri ad approcciare la gara nel migliore dei modi, trovando un gran gol dopo neanche otto minuti. Su calcio d’angolo, Dzeko fa qualcosa di straordinario, prendendo posizione col corpo alle spalle del diretto marcatore per anticiparlo e girare in porta al volo di sinistro. Il modo in cui Calabria cerca di contrastarlo in area di rigore, però, sembra troppo poco convinto. In generale è tutto il Milan a non essere entrato del tutto in partita. Perde la maggior parte dei duelli individuali, arriva quasi sempre in ritardo sulle seconde palle. L’Inter ne approfitta e tre minuti dopo raddoppia. Su una palla vagante a centrocampo si avventa per primo Barella, che la addomestica e la prolunga sulla corsa di Dimarco sulla fascia sinistra. Il suo traversone basso per un attimo sembra troppo arretrato, e invece Lautaro la lascia scorrere intelligentemente per Mkhitaryan, a cui basta un solo controllo per entrare in area e battere Maignan col destro. Anche qui, Tonali e Theo sembrano in ritardo più nell’atteggiamento che nella condizione fisica o nel posizionamento, col primo che si perde l’imbucata dell’armeno e il secondo che scivola nel momento in cui vorrebbe andare a contrastarlo.
È un inizio shock, non solo per il Milan. Anche per gli stessi tifosi interisti, che difficilmente si sarebbero immaginati di trovarsi sopra di due gol dopo undici minuti. Al di là dei discorsi tattici, sulla profondità delle rispettive rose e sugli infortuni (dopo Leão, rimasto in tribuna, il Milan perde anche Bennacer al 17esimo), è proprio l’approccio mentale a fare la differenza. Queste sono partite che iniziano molto prima del fischio e che finiscono ben oltre i 180 minuti. E questo derby, nello specifico, non solo può valere una stagione intera (ricordiamo che per entrambe la qualificazione alla prossima Champions League è tutt’altro che scontata), ma porta sulle spalle il peso dell’intero movimento calcistico italiano che, dopo anni di decadenza e del tutto a sorpresa, sembra essersi ripreso il centro del palcoscenico più prestigioso. Almeno per il momento, almeno a Milano.
L’Inter lo sa, ha fretta di pareggiare i conti con la storia, vorrebbe chiudere subito il discorso qualificazione. Ci va vicino in più di un’occasione: col palo di Çalhanoğlu da fuori area prima e con un rigore procurato da Lautaro poi, che l’arbitro decide di non concedere dopo il consulto col VAR. In generale, la sensazione è che possa finire in goleada. C’è un dettaglio che fotografa perfettamente il primo tempo del Milan: un solo tiro in porta, zero nello specchio. Onana è così poco impegnato che a un certo punto Julio Cesar, chiamato da Amazon Prime a commentare la partita, riferisce che il portiere nerazzurro sta spalmando «una specie di vaselina» sui pali della porta.
Il Milan però è bravo a portarsi all’intervallo limitando i danni, e nel secondo tempo tira fuori una reazione d’orgoglio. Arrivano le occasioni di Diaz e Messias, che calciano entrambi a lato col sinistro da buona posizione, e chissà se al 63esimo è quella stessa vaselina a far schizzare il pallone lontano dal palo sul tiro di Tonali, sporcato appena dalla punta del piede di Bastoni. Dopo un primo tempo in cui ha speso molto, fisicamente ed emotivamente, l’Inter fa una cosa che non sempre gli è riuscita quest’anno: abbassa i giri, gestisce. Lascia buona parte del possesso agli avversari (finirà 57% a 43% per i rossoneri) e quando può prova a piazzare il colpo del ko. Al 52esimo Maignan si supera su Dzeko chiudendogli lo specchio della porta in spaccata, al 73esimo è invece Thiaw a murare Darmian dentro l’area.
La sintesi
Quando dopo 95 minuti l’arbitro fischia la fine, la sensazione è che, a dispetto dei pronostici, che vedevano una partita d’andata bloccata sullo 0 a 0 per poi giocarsi tutto al ritorno, si sia assistito a una partita intensa, vivace. Oserei dire bella, a suo modo. Milano è quella città da cui ti aspetti poco e che ogni tanto invece ti sorprende, non sai nemmeno tu come. Come diceva Roberto Tallarita nella sua Piccola ode milanese, capita magari di andare a lavoro e incrociare uno di quei «portinai che al mattino presto gettano l’acqua sui marciapiedi davanti ai portoni dei palazzi borghesi, lasciando intravedere ai passanti i bei cortili segreti». Così, sorprendente, è stata anche questa semifinale di Champions. Nessuno si aspettava che ci arrivassero le due milanesi, nessuno si aspettava una partita di questo tipo. Certo, con una bellezza diversa dall’altra semifinale, quella tra Real e City, ma pur sempre una sua bellezza. E siamo solo a metà. All’Inter è bastato un tempo per aggiudicarsi l’andata e ipotecare la qualificazione alla finale con un discreto margine di vantaggio, ma nulla è scontato, di questi tempi, a Milano.