Una Formula 1 sempre più americana

Dal 2016, quando è stato acquistato da Liberty Media, il circus motoristico più esclusivo del mondo sta cambiando pelle: è il marketing che sta portando la F1 lontano dall’Europa, e la sta rendendo più ricca che mai.

Da quando nel 2016 gli statunitensi di Liberty Media hanno acquistato la proprietà della Formula 1, è iniziato un lento percorso di “americanizzazione” della categoria, così come l’ha definito l’ex patron Bernie Ecclestone. Un processo che passa attraverso nuovi regolamenti tecnici pensati per creare un maggiore equilibrio fra le scuderie (sul modello IndyCar Series), ma anche per un nuovo modello di business più simile a quello di sport a stelle e strisce classici come il basket della NBA o il football della NHL, con l’intento di rendere la Formula 1 più attrattiva non solo per il pubblico ma anche per gli investitori. Si è iniziato con un radicale cambio di target: è più giovane e smaliziato rispetto al passato, ed va raggiunto attraverso un utilizzo più attivo delle piattaforme social, e l’ideazione della serie di Netflix Drive to Survive, che racconta i dietro le quinte della categoria, spettacolarizzando e romanzandola. Spingendo insomma sul lato dell’intrattenimento, a volte a discapito anche dell’aspetto sportivo. I weekend di gara sono stati poi resi dei piccoli eventi, con tutto un contorno di spettacoli – motoristici e non– sia all’interno degli autodromi che fuori.

Nel 2017, per esempio, le vetture sfilarono per le strade di Londra, girando attorno alla Colonna di Nelson, e l’evento richiamò circa 100.000 persone. Lo scorso novembre, la presentazione del nuovo Gran Premio di Las Vegas è stata altrettanto spettacolare, con un grande party e una sfilata pubblica delle auto: «Penso che abbiamo fatto quello che il mercato americano vuole: grande intrattenimento e un’esperienza unica», ha detto Stefano Domenicali – presidente e amministratore delegato di Formula One Group – in un’intervista al Financial Times. I risultati sono arrivati subito: nelle ultime tre stagioni, l’età media degli spettatori della Formula 1 si è abbassata di 4 anni, in controtendenza con gli altri sport, che invece segnalano un “invecchiamento” del pubblico. Allo stesso tempo, negli Stati Uniti la categoria è diventata più popolare che mai, con le emittenti televisive ESPN, ESPN2 e ABC che nel 2022 hanno registrato un incremento del 28% nei dati di ascolto rispetto all’anno precedente e una media di 949 mila spettatori per ogni Gran Premio.

Non c’è stato però solo un abbassamento dell’età, ma anche un’apertura al pubblico femminile e un’esplicita attenzione a temi come “diversità” e “inclusione”: secondo alcuni studi condotti dall’università della California, negli ultimi anni film e serie tv con una maggiore rappresentazione delle minoranze hanno registrato incassi migliori o maggiori visualizzazioni sulle piattaforme di streaming. Non deve stupire quindi che la Formula 1 stia per esempio finanziando programmi per la formazione di piloti con background sempre più differenti, soprattutto per categorie inferiori come Formula 2, Formula 3 e gli E-Sports, nella speranza che arrivino poi anche al top.

Di pari passo c’è in corso anche un progressivo abbandono della tradizione: nel calendario del 2023 mancano per esempio due Paesi dalla forte cultura motoristica come Francia e Germania, con il Belgio invece presente ma più volte messo in dubbio nel corso degli ultimi anni. In un calendario mai così lungo (23 Gran Premi, che sarebbero stati 24 senza il forfait della Cina all’ultimo momento), trovano invece spazio ben tre gare negli Stati Uniti e soprattutto Paesi dalle grandi disponibilità economiche – e desiderosi di esercitare il proprio soft power attraverso lo sport – come Arabia Saudita, Bahrein ed Emirati Arabi Uniti. Domenicali ha affermato che «eravamo un campionato mondiale molto eurocentrico». In futuro, questa centralità scomparirà, perché avremo sempre più gare in tutti i diversi continenti del mondo. Tutto questo, ovviamente, principalmente per questioni economiche: un allargamento dei confini comporta un possibile e ulteriore allargamento della fan base.

A inizio campionato le gare in calendario erano 23, e sarebbe stato un record assoluto nella storia della Formula Uno; l’annullamento del Gran Premio di Imola, però, ha portato il numero di gare a 22, lo stesso dell’ultima stagione (Rudy Carezzevoli/Getty Images)

L’incremento del numero dei fan, le gare in più e il corrispondente aumento degli sponsor si stanno rivelando un fattore positivo per gli affari della Formula 1. Nei primi nove mesi del 2022, i ricavi hanno totalizzato 1,8 miliardi di dollari, contro gli 1,5 miliardi del corrispondente periodo del 2019, l’ultimo anno di attività regolare prima dell’avvento della pandemia. Di conseguenza, il valore della Formula 1 è cresciuto notevolmente: nel 2016 Liberty Media spese 8 miliardi di dollari per il suo acquisto, ma secondo le stime di Bloomberg oggi il circus varrebbe circa 15 miliardi. Negli scorsi mesi l’azienda americana avrebbe inoltre rifiutato un’offerta di acquisto di 20 miliardi da parte di un fondo saudita, segno che forse questo valore è ancora tendente al rialzo.

Un altro indizio del grande appeal economico della Formula 1 di questi anni è il fatto che molte grandi case automobilistiche stanno tentando di entrare (o rientrare) nel circus, attratte dalle limitazioni alle spese introdotte negli ultimi anni ma anche dai ricavi sempre più ricchi (nel 2022 i premi per le scuderie sono aumentati di circa 30 milioni rispetto all’anno prima, per esempio). Audi ha annunciato il suo ingresso nel 2026, rilevando la maggioranza delle quote del Team Sauber; Ford si è legata a Red Bull per la fornitura dei motori a partire dallo stesso anno; Porsche ha flirtato a lungo con la scuderia austriaca, senza però riuscire a raggiungere un accordo. A queste si è aggiunta la leggenda del motorsport americano Mario Andretti, che sta spingendo per un ingresso in Formula 1 di un suo team – in aggiunta ai 10 già presenti – con l’appoggio del colosso General Motors. L’apertura a nuove scuderie però è uno dei temi più discussi di questi ultimi mesi: da una parte c’è la FIA che non partecipa alla distribuzione dei premi e che gradirebbe un aumento dei team; dall’altra figurano Liberty Media e le scuderie, che invece preferirebbero mantenere intatti i propri privilegi, soprattutto economici. La Formula 1 è diventata insomma un campo da gioco sempre più appetibile per i partecipanti – o aspiranti tali – e per gli sponsor, in grado di sollevare tanto rumore e far circolare tanti soldi.

Da Undici n° 49