La retrocessione del Leicester è la crisi di un’intera città

«Una volta era un luogo dove i sogni sembrava potessero diventare realtà, ora le cose sono molto diverse», scrive Jonathan Wilson.

Il Leicester City ha vissuto una stagione tormentata, che l’ha portato a retrocedere in Championship dopo nove anni ininterrotti di Premier League. Sembrerebbe non esserci nulla di strano, in fondo parliamo di una squadra che storicamente ha fatto altalena tra prima e seconda divisione, che nel 2008 ha vissuto anche una stagione in League One, insomma di un club piccolo-borghese del calcio britannico. Solo che c’è stato il miracolo del 2016, l’incredibile titolo nazionale vinto con Claudio Ranieri in panchina, un miracolo sportivo irripetibile perché recente, e allora questa retrocessione assume tutto un altro significato, tutto un altro sapore. Anche perché un anno dopo il City ha giocato i quarti di finale di Champions League e poi, nonostante mille difficoltà, era riuscito ad avviare un nuovo progetto tecnico e societario con grandi prospettive, non a caso per due stagione la squadra allenata da Rodgers ha sfiorato – perdendola anche in maniera molto crudele – la qualificazione in Champions League. E ancora: nel 2021 ha vinto la sua prima FA Cup e un anno fa, di questi tempi, aveva perduto – di misura, per altro – la semifinale di Conference contro la Roma di Mourinho.

La retrocessione di quest’anno, si può dire a ragion veduta, è arrivata in modo inatteso. Ovviamente si tratta di un evento dovuto a scelte tecniche non proprio lungimiranti compiute nell’ultimo anno, ma c’è stato anche qualcos’altro, un declino trasversale che va oltre il club, che riguarda l’intera comunità di Leicester. L’ha spiegato Jonathan Wilson in un articolo pubblicato sul sito UnHerd: uno dei punti più interessanti riguarda la netta inversione di una tendenza che sembrava consolidata, infatti negli ultimi dieci anni «la città ha vissuto un periodo incredibilmente florido, la visibilità conquistata attraverso lo sport era globale, e non solo per il successo del City: nel 2011 la squadra di cricket del Leicestershire County Club ha vinto la sua terza T20 Cup, nel 2013 la squadra di rugby dei Leicester Tigers si aggiudicava la sua ottava Rugby Union Premiership; pochi minuti dopo la vittoria del titolo da parte di Ranieri e dei suoi uomini, Mark Selby – nato e cresciuto a Leicester – ha piazzato il colpo decisivo per portare a casa il suo secondo World Snooker Championship. Insomma, tutti questi successi hanno portato Leicester a essere il centro del mondo, hanno generato un aumento del turismo e degli investimenti esterni. Tutti in Inghilterra vedevano Leicester un po’ come la città dei sogni, un luogo quasi magico dove tutto fosse possibile e realizzabile».

Questo fermento, però, non ha cancellato le difficoltà dei cittadini “normali” di Leicester: il livello di povertà della popolazione è rimasto tra i più alti della Gran Bretagna, inoltre lo scorso anno la città ha dovuto affrontare un’emergenza legata alla difficile convivenza tra le tante etnie del suo tessuto sociale. Alla fine dell’estate 2022, infatti, ci sono stati disordini tra i musulmani britannico-pakistani e gli indù britannici, scoppiati a partire dai festeggiamenti per la vittoria dell’India sul Pakistan nella Coppa d’Asia di cricket. Dopo questo evento, e per quasi un mese, si sono verificati diversi episodi di violenza in città, e la polizia è stata costretta ad arrestare un totale di 47 persone. Il Centro per la democrazia, il pluralismo e i diritti umani con sede a Delhi non ha preso bene le modalità d’intervento delle forze dell’ordine, accusate di aver discriminato alcune minoranze etniche. Per Wilson si è trattato di «un danno d’immagine enorme per Leicester, che fino a qualche anno prima era considerata un luogo in cui avvenivano davvero l’integrazione e l’accoglienza degli immigrati».

L’inversione di tendenza di cui parlavamo è stata innescata, almeno inizialmente, dalla pandemia: Leicester, infatti, è stata «la prima città inglese a dover imporre restrizioni e divieti per i tanti casi di Covid-19 avuti sul proprio territorio, anche per via delle condizioni di sovraffollamento nelle fabbriche. Durante la pandemia, il Sunday Times ha condotto un’indagine nelle industrie della comunità e così si è scoperto come molti lavoratori venissero pagati solo 3,50 sterline all’ora. Per gli stessi motivi, Leicester è stata una delle ultime città a eliminare le restrizioni, quindi a ritrovare una parziale normalità all’allentarsi della pandemia: inevitabilmente, tutto questo ha portato a un profondo impoverimento degli abitanti, alla chiusura di tantissimi negozi, pub, ristoranti».

Tra le aziende colpite dal Covid c’è anche la proprietà del Leicester City: la proprietà thailandese, guidata dal figlio di Vichai Srivaddhanaprabha dopo la sua tragica morte nel 2018, ha come business principale quello della vendita al dettaglio, soprattutto nei negozi degli aeroporti. Vale a dire i luoghi che più di ogni altro hanno risentito delle restrizioni dovute alla pandemia, visto che era proibito viaggiare. Molti punti vendita hanno chiuso del tutto, e così anche gli investimenti nel calcio sono stati ridimensionati. Le conseguenze non hanno riguardato solo il calciomercato: come spiega Wilson, infatti, «per ragioni economiche la proprietà non ha potuto o comunque voluto fare un passo indietro su alcune delle sue scelte sportive: Brendan Rodgers, per esempio, è stato esonerato solo ad aprile pur essendo chiaro da tempo che la squadra non lo seguisse più».

Nell’articolo, però, c’è anche qualche raggio di ottimismo. E di realismo. Lo ha emanato Paul Simpson, fondatore di FourFourTwo e tifoso del City: «Quando abbiamo vinto la Premier League, la maggior parte dei tifosi che conoscevo si diceva disposta a vivere dieci anni in Non-League, quello che stavamo vivendo ci sarebbe bastato. E invece siamo rimasti in Premier League, abbiamo vissuto grandi stagioni, siamo rimasti competitivi. Le cose sono andate meglio di quanto non fosse mai successo nella nostra storia. Quindi, per quanto sia devastante questa retrocessione, si tratta di un ritorno alla normalità. Almeno in parte. La città e il club assorbiranno il colpo perché è già successo altre volte: questa è la nostra ottava retrocessione negli ultimi 50 anni». E il fatto che sia inattesa non cambia la sostanza delle cose.