Il Barcellona è guarito?

Il successo nella Liga è solo un primo passo, visto che non ha cancellato la crisi economica e gli errori di gestione degli ultimi anni.

Mancano meno di sette minuti alla fine di un Barcellona-Maiorca senza una storia da raccontare. Il quarto uomo alza la lavagnetta luminosa, Sergio Busquets legge il suo numero, sorride, saluta i compagni e le tribune, poi cerca Sergi Roberto, si sfila la fascia da capitano e gliela lascia in eredità mentre il Camp Nou gli dedica un’ovazione. Pochi minuti prima era toccato a Jordi Alba, sfilato in lacrime verso la panchina al momento della sostituzione. Il finale di stagione del Barcellona è un rapido passaggio di testimone, il saluto a due veterani che hanno fatto la storia del club e del calcio, i nuovi spazi che si apriranno per Balde, de Jong e gli altri che prenderanno il loro posto. Sembra passata una vita ma era solo novembre quando Gerard Piqué, un altro che con i blaugrana ha vinto tutto più volte, ha dato l’addio al professionismo lasciando spazio e minuti a Eric García, Jules Koundé, Ronald Araujo. Il Barça che a fine campionato è tornato a vincere la Liga dopo quattro anni è una squadra per il presente e per il futuro, con tanti protagonisti giovanissimi: Gavi, Balde, Pedri, Ansu Fati, poi anche Ferran Torres, Dembélé, e gli stessi Koundé, Araujo, García. Nessuno sopra i 25 anni.

Poche cose restituiscono una duplice sensazione da fine di un’era e inizio di un nuovo ciclo come questa primavera in Catalogna. L’uomo dell’amalgama è stato Xavi, tornato a Barcellona e al Barcellona per la prima volta da allenatore per provare a riportare i blaugrana alle versioni scintillanti viste più volte negli ultimi quindici anni, con Pep Guardiola, con Luis Enrique, in misura minore con Ernesto Valverde. Xavi è più culè dei suoi tifosi, e quindi non vedeva l’ora di riportare al Camp Nou lo stesso playbook che ha imparato a memoria da giocatore: il suo pressing sistematico ha funzionato più di quanto non abbia fatto la circolazione di palla sulla trequarti e la capacità di perforare le difese schierate; il controllo del possesso e dei tempi è andato a fasi alterne ma è già una caratteristica della sua squadra; le citazioni del juego de posición catalano-nederlandese, di Cruijff e della Masía, sono continue eppure declinate in una versione più veloce e verticale, un po’ come aveva fatto Luis Enrique a suo tempo.

Il Barcellona ha completato questa transizione tra il vecchio e il nuovo nel modo migliore, vale a dire vincendo, dominando un campionato in cui non aveva rivali, di certo non il Real Madrid e non l’Atlético Madrid visti quest’anno, né nessun’altra squadra in un campionato in cui la varietà di opzioni del Barça è diventata molto presto un enigma irrisolvibile per chiunque: la rosa è stata trattata come un unico nucleo solido e allargato, con 19 giocatori che hanno superato i 1700 minuti di gioco in tutte le competizioni. Tanto è bastato per vivere una stagione da 90 punti e anche di più: sono 88 a una giornata dalla fine, ma con due pareggi e tre sconfitte nelle ultime dieci gare, con la corsa al titolo virtualmente già chiusa.

Il grosso del lavoro Xavi ha dovuto farlo fuori dal campo, ben oltre la lavagnetta tattica e gli schemi. Un aneddoto raccontato da The Athletic riguarda proprio questo aspetto: il tecnico del Barça, dopo essere tornato dalla gita in Qatar, dopo aver vissuto sei anni nell’emirato  tra campo e panchina, aveva chiesto proprio a Busquets di aggiornarlo sul codice comportamentale in vigore in spogliatoio. Risposta: delle vecchie regole, un sistema misto scritto e non scritto, non c’era più niente. Niente multe per i ritardi, nessun orario fisso per gli allenamenti, nessun pasto tra compagni di squadra. Il Barça era diventato un ambiente scomodo per lo sviluppo e la crescita dei giocatori, c’era mancanza di disciplina e concentrazione e, di conseguenza, l’intensità dell’allenamento era diminuita. Xavi ne è rimasto scioccato, e perciò non perse tempo a ristabilire l’ordine. Al punto da chiedere a tutti i suoi giocatori, scrive The Athletic, di «arrivare all’allenamento 90 minuti prima dell’inizio della sessione, in modo che potessero mangiare e prepararsi tutti insieme».

Da quando è diventato allenatore del Barcellona, a novembre 2021, Xavi ha messo insieme 55 vittorie, 15 pareggi e 17 sconfitte in 87 partite di tutte le competizioni (David Ramos/Getty Images)

A un anno e mezzo dal ritorno di Xavi, il Barcellona ha già un grande trofeo da sfoggiare, proprio quello di cui l’ambiente aveva bisogno. O meglio: una vittoria era necessaria, di certo non sufficiente. L’idea che circola tra i corridoi del club catalano è che il lavoro sia completo solo al 50%. Vincere Liga e Supercoppa è come la posa della prima pietra, adesso bisogna costruire tutto il resto per far tornare il Barcellona tra le migliori squadre d’Europa. In estate ci sarà da sostituire un totem come Busquets, trovare un giocatore affidabile per lo slot di terzino destro – dove troppe volte è stato impiegato Koundé – e la fase offensiva va resa più pungente e imprevedibile, come suggerisce il numero record di vittorie per 1-0 e il fatto che solo Lewandowski e Raphinha abbiano raggiunto la doppia cifra di gol.

La parte più difficile è quella che non si può aggiustare in allenamento né con le giuste intuizioni di calciomercato. Negli ultimi due anni la dirigenza guidata da Joan Laporta si è occupata dei suoi affari e solo di quelli, ha fatto politica con l’hard power, dimenticando che c’è un’intera sfera di potere in cui più dell’economia e dei contratti e vale la capacità di attrazione, l’abilità di persuadere e affascinare. Sono risorse intangibili che sfumano nelle sfere della cultura, dei valori, della comunicazione, dell’immagine: l’amministrazione Laporta potrebbe aver minato parte del suo soft power tra “leve” di mercato, Superlega, indagini sugli arbitri e comunicazioni superficiali (come quel videomessaggio andato in onda sull’emittente russa che trasmette la Liga, Okko Sport, apertamente criticato dai più importanti club ucraini).

Non è detto che tutto questo abbia ricadute sulle prestazioni della squadra, però può essere un ostacolo nel percorso immaginato e tracciato da Xavi. Sul caso Negreira, ad esempio, alcune fonti vicine ai giocatori e allo staff tecnico hanno detto che tutta la faccenda legata alle indagini, le dichiarazioni pubbliche, i titoli della stampa e la pressione mediatica ha aumentato la pressione sul gruppo, fino al punto che allenatore e calciatori hanno avvertito maggiori difficoltà nello svolgimento del proprio lavoro. Di sicuro, per ora lo scandalo ha fornito ai tifosi di tutte le altre squadre un pretesto per surriscaldare l’ambiente nei propri stadio, come successo in occasione dell’ultima trasferta a Bilbao.

A conti fatti anche le operazioni economiche della scorsa estate potrebbero non aver funzionato, o comunque non sembrano aver risolto tutti i problemi. Il club vive ancora al di sopra delle proprie possibilità, con un budget ingaggi e delle quote da ammortizzare troppo alte per il suo bilancio: la Liga ha già fatto sapere che il Barça deve tagliare circa duecento milioni di euro dal proprio monte stipendi per stare nei parametri finanziari del campionato, altrimenti non potrà registrare i nuovi acquisti né il nuovo contratto “senior” di Gavi. In più, tutte le “leve” azionate la scorsa estate hanno portato enorme liquidità nell’immediato, ma hanno anche privato la società di molti asset e messo nelle mani di altri investitori e altre istituzioni finanziare almeno una quota delle future entrate: una situazione non così rara e non così anomala, ma in una società storicamente in mano ai suoi soci – che di fatto detengono potere decisionale sull’indirizzo politico, economico e generale del club – la presenza ingombrante di partner del calibro di Goldman Sachs e JP Morgan potrebbe essere un peso non da poco.

Con i rischi presi la scorsa estate, era assolutamente imperativo avere un grande successo da festeggiare. «Questo titolo è molto importante per i tifosi, per il club. Dimostra che stiamo facendo un buon lavoro, il che ci dà stabilità. Ora possiamo pianificare con calma il futuro», ha detto Xavi dopo la vittoria del titolo, restituendo una volta di più la sensazione di un successo di cui il Barcellona aveva tremendamente bisogno dopo anni di delusioni, eliminazioni in Champions League a loro modo storiche – la rimonta della Roma, quella del Liverpool, gli otto gol incassati dal Bayern – e una Liga che mancava da troppo tempo, ma anche la consapevolezza di aver riavviato la macchina nel modo giusto, almeno a livello sportivo. I problemi del Barça non si esauriscono con questo campionato, ma almeno adesso Xavi e i suoi sono in una posizione più forte per affrontarli.