L’Arabia Saudita ha avviato un progetto gigantesco per poter dominare il calcio

Non solo una quantità infinita di denaro, ma anche un nuovo modello di mercato e di proprietà dei club.

Circa due settimane fa, alla domanda sui margini di crescita futuri della Saudi Professional League, Cristiano Ronaldo rispondeva: «Credo che nel giro di qualche anno, passo dopo passo, il campionato dell’Arabia Saudita sarà tra i primi cinque al mondo». Queste parole hanno ovviamente fatto il giro del mondo, perché le ha pronunciate Cristiano Ronaldo e per il loro significato. Anche perché, a pensarci bene, in passato tanti altri campionati hanno provato a fare ciò che stanno facendo ora in Arabia Saudita, basti pensare al Qatar o alla Chinese Super League. Ora, però, dall’Arabia Saudita arrivano notizie piuttosto importanti in merito al nuovo corso del campionato. il ereditario dell’Arabia Saudita e il primo ministro Mohamed bin Salmán hanno infatti annunciato l’avvio di un gigantesco piano nazionale di investimenti per lo sviluppo dello sport nel paese, con un particolare focus sul calcio.

Ma andiamo con ordine: intanto, è già stato annunciato che i quattro club più seguiti del campionato locale – Al Hilal, Al Nassr, Al Ittihad e il neopromosso Al Ahli – hanno ceduto il 75% delle loro quote al fondo PIF (acronimo di Public Investment Fund), vale a dire lo stesso fondo sovrano che ha acquisito e gestisce il Newcastle. Come ha spiegato anche il New York Times, tutto parte dalla volontà di convincere i migliori giocatori al mondo a trasferirsi in Arabia Saudita, esattamente come fatto un anno fa con Cristiano Ronaldo e ora con Karim Benzema – l’attaccante francese ha già firmato un ricchissimo triennale con la squadra rivale dell’Al Nassr di Ronaldo. E allora l’idea è stata quella di centralizzare tutti gli investimenti, fino al punto da creare un sistema di mercato ibrido, a metà tra calcio europeo e MLS americana: i quattro club in questione, oltre a giovarsi di accordi commerciali più vantaggiosi, dovrebbero poter schierare tre grandi campioni stranieri provenienti dal calcio europeo, mentre altri otto calciatori famosi sarebbero assegnati dalla lega alle altre squadre. E sarebbe la stessa lega, poi, a contrattare con i calciatori e i loro agenti per poi smistare i calciatori, e questa sarebbe la parte del modello assimilabile a quello del calcio – e dello sport – americano.

Dal punto di vista puramente economico, l’obiettivo principale è quello di aumentare gli introiti del campionato, facendoli passare dagli attuali 120 milioni a oltre 480 milioni di dollari l’anno. Ma per una nazione così ricca, ovviamente, certe cifre hanno un significato relativo, per non dire nulle. I programmi reali hanno un’anima essenzialmente politica, e infatti nel mirino c’è l’assegnazione dei Mondiali 2030: un progetto che va avanti da molto tempo, e in cui è stato coinvolto anche Leo Messi – ancora prima che si parlasse di un suo trasferimento per continuare a giocare in Arabia Saudita, un’ipotesi che tra l’altro è ancora in piedi, visto che il fuoriclasse argentino non ha ancora deciso dove giocherà il prossimo anno.

Il progetto è più che ambizioso, è davvero enorme, proprio come gli stipendi che, si dice, vengono offerti ai calciatori. Non tutti, però, condividono il grande entusiasmo che c’è intorno a questa rivoluzione in atto: come era inevitabile che fosse, i dirigenti delle altre squadre saudite hanno sollevato alcune perplessità sulla centralizzazione della proprietà e sul fatto che alcuni club saranno finanziati in maniera diversa rispetto ad altri. Tra tutti, sono stati quelli dell’Al-Shabab, la terza squadra più grande di Riyad dopo Al-Nassr e Al-Hilal, a manifestare il loro disappunto: «l divario sta diventando troppo grande», ha detto Khalid Al-Baltan, presidente del club. «Il monte ingaggi dell’Al-Shabab è quattro volte inferiore rispetto al solo stipendio di Cristiano Ronaldo. Come faccio a colmare da solo un gap co ampio? Se la mia macchina è una piccola berlina giapponese, come ci si può aspettare che gareggi contro Lamborghini e Ferrari?». A pensarci bene è una condizione che potrebbe accomunare tutti, anche fuori dall’Arabia Saudita: come abbiamo visto anche con il caso LIV nel golf, è impossibile competere con i salari offerti da Riyad, quindi l’unica cosa da fare è capire fino a quando e fino a dove andrà avanti questo progetto, se si fermerà come è successo in passato ad altre leghe di altri Paesi. Gli esponenti della famiglia reale continuano a rigettare ogni accusa di sportswashing, insistono nel dire che si tratta di investimenti fatti per il bene del popolo saudita, grande appassionato di sport e soprattutto di calcio. Potrebbe anche essere vero, ma è difficile pensare che sia davvero tutto qui.